venerdì 2 dicembre 2016

I grandi dell'Umanità

Fëdor Michajlvic Dostoevskij (Mosca 1821 -  San Pietroburgo 1881)


Fëdor Dostoevskij, uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, dopo un primo momento di impegno sociale e politico, sperimenta tragicamente l’esclusione sociale e conduce una vita da “maledetto”. 

È uno scrittore drammaticamente moderno, complesso e problematico. Di qui la grande influenza di Dostoevskij sul romanzo del Novecento, di cui anticipa le tematiche interiori ed il senso dell’angoscia.

Nacque l’11 novembre del 1821 da una famiglia aristocratica decaduta e di modeste condizioni economiche.
Nel 1837, alla morte della madre, fu iscritto alla scuola militare di Pietroburgo, ma seguì gli studi controvoglia, perché i suoi interessi erano già rivolti verso la letteratura. Così dopo essersi diplomato cominciò a scrivere, tra le difficoltà finanziarie che lo opprimevano.

Nel 1843 pubblicò il suo primo libro, il romanzo Povera gente, che attirò l’interesse e l’approvazione della critica.
Sei anni dopo, nel 1849, per aver partecipato ad alcune riunioni di carattere socialista, fu arrestato come sospetto di attività rivoluzionaria, processato e condannato a morte; solo davanti al plotone di esecuzione si vide commutare la pena in quattro anni di lavori forzati in Siberia.

La terribile esperienza e gli anni di prigionia incisero molto sul suo carattere e sulla sua salute, che, già precaria, da allora fu minata da frequenti crisi epilettiche.
Di ritorno dalla Siberia, dove si era anche sposato, Dostoevskij rievocò quanto gli era successo nelle Memorie da una casa di morti (1861-1862).
Per quanto angustiato da gravi problemi economici, aggravati dalla sua passione per il gioco e dalle sue condizioni di salute, negli anni successivi Dostoevskij compose vari romanzi: 
Umiliati e offesi (1862), 

Memorie del sottosuolo (1864), 
Delitto e castigo (1866), 
L’idiota(1868).
Su quanto accadutogli mentre si trovava davanti al plotone d’esecuzione e poi quando gli viene comunicata la riduzione della pena ai lavori forzati perpetui resterà segnato per la vita e gli ispirerà alcune delle riflessioni più amare dei suoi capolavori:


«Dove mai ho letto che un condannato a morte, un'ora prima di morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato vivere in qualche luogo altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo cosí stretto da poterci posare soltanto i due piedi, - avendo intorno a sé dei precipizi, l'oceano, la tenebra eterna, un'eterna solitudine e una eterna tempesta, e rimanersene cosí, in un metro quadrato di spazio, tutta la vita, un migliaio d'anni, l'eternità, - anche allora avrebbe preferito vivere che morir subito? 
Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere in qualunque modo, ma vivere! […] È un vigliacco l'uomo!... Ed è un vigliacco chi per questo lo chiama vigliacco». 
(Delitto e castigo).

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La sua citazione più conosciuta 
"La bellezza salverà il mondo".

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