sabato 19 novembre 2016

Ipotesi del post-referendum. Il Pd-Partito Democratico che verrà se la stella d Renzi volgerà al declino

Corriere della Sera
GIOVANNA CASADIO ROMA. 
«Siamo alle simulazioni sul "dopo"». Nei corridoi di Montecitorio e di Palazzo Madama gruppetti di dem ipotizzano già da giorni schemi su come sarà il Pd post-referendum. Perché una cosa è certa: il partito cambierà. Non tanto per immediate scissioni della "ditta" bersaniana, ma perché se vince il No «si riapre la Borsa». 
A dirlo è stato il ministro Guardasigilli Andrea Orlando, alludendo ai rapporti di forza pro o contro l'ipotesi di elezioni subito che Renzi, a quel punto, potrebbe sottoporre alla direzione e ai gruppi parlamentari. Quanti lo seguiranno? 
Nella gran confusione di queste ore, con i sondaggi tutti a favore del No, ripartono infatti le quotazioni delle correnti del partito. Il premier-segretario, se sconfitto, chiamerà a raccolta i dem, ma rischia di accorgersi che i renziani della prima ora non sono più di una cinquantina.
In Transatlantico si fanno calcoli. 
Quando *Enricostaisereno Letta era ancora in sella e Renzi appena eletto segretario, Bersani poteva contare su 120 deputati, che erano l'ago della bilancia nel voto alla Camera, e su una cinquantina di senatori. In questi anni si sono squagliati, attirati dal renzismo. 
Oggi i bersaniani di "Area riformista" che ha in Roberto Speranza, Pierluigi Bersani e Nico Stumpo le figure di riferimento - sono trenta a Montecitorio, una ventina al Senato. 
Gianni Cuperlo, leader di "Sinistra dem", ha 15 parlamentari dalla sua. 
Rosy Bindi, anche lei tenacemente anti-renziana, ha un seguito di 5-8 parlamentari. Ma è la resurrezione delle correnti negli ultimi anni "in sonno" e diventate filo renziane, che farà la differenza. 
Prima tra tutte "Area dem", il gruppo del ministro ed ex segretario del Pd, Dario Franceschini. Franceschini, uomo delle emergenze, sa come far sentire il suo peso politico e parlamentare. I "suoi" sono circa 50 deputati e 40 senatori. Se si spostano, fanno perdere equilibrio alla barca, saranno il segno che la maggioranza renziana si è frantumata. 
Va ricordato che il Pd ha 301 deputati e 113 senatori. Faranno sentire forte la loro voce i "Giovani turchi", alle ultime primarie del 2013 sostenitori di Cuperlo contro Renzi, diventati fiduciari del premier-segretario. 
Buon rapporto personale tra Renzi e Matteo Orfini, il leader (con Francesco Verducci) dei "Turchi", presidente del partito. I "Turchi" possono contare su una sessantina di parlamentari. Anche i numeri tuttavia invecchiano. Ecco quindi che cresce il peso della corrente di Maurizio Martina e Cesare Damiano, ministro dell'Agricoltura e presidente della commissione Lavoro della Camera. Si chiama "Sinistra è cambiamento" ed è diventata molto attraente, tanto che - partita da 50 deputati e 20 senatori - sta ingrossando le file. Lo stesso Orlando, fondatore dei "Giovani turchi", è sempre più impegnato in iniziative con Martina. 
«La "Sinistra per il Sì", creato in vista del referendum, a cui aderisce Anna Finocchiaro, sarà incubatrice del Pd che verrà», dice Damiano. 
Risorgerà la corrente dei lettiani? Francesco Russo, senatore, amico di Letta, racconta che le carte si sono mescolate: «II 6 dicembre ci vedremo a cena, non rispettando antiche correnti, ma nuove sensibilità con Pizzetti, Vaccari, Zanda...». 
Poi ci sono i 15 ex Sel, i 10 ex Scelta civica, Retedem degli ulivisti: il Pd è un puzzle. 
Una domanda su tutte: i catto renziani di Delrio e Richetti cosa consigliano a Renzi per il "dopo"? 
Beppe Fioroni con i suoi 30 "popolari" bacchetta: «Sono scaramantico, parlare del "dopo" porta sfiga». 

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