martedì 29 novembre 2016

Cristianesimo. Storie, ricorrenze, fatti, personaggi ed Ecumenismo di oggi n. ''004

010)
celibato
“La formazione dei presbiteri e la possibilità di ordinazione di uomini sposati”. 
Parte di un articolo pubblicato
nell'agosto di quest'anno su
ItaliaOggi

Nella Chiesa di Roma, che tiene molto a riferirsi a Pietro, l'apostolo che in casa -a Cafarnao- aveva moglie e suocera, è Questione delicata, e lo stesso Papa Francesco l'ha più volte toccata in interviste e interventi ufficiali, ma sempre ribadendo che il celibato è una buona cosa e non lasciando presagire cambiamenti imminenti su tale prassi. 
In particolare, tornando dal viaggio in Terrasanta, nella primavera del 2014, a domanda di un giornalista rispose: 
“La chiesa cattolica ha preti sposati, nel rito orientale. Perché il celibato non è un dogma di fede, è una regola di vita che io apprezzo tanto e credo che sia un dono per la chiesa. Non essendo un dogma di fede, sempre c’è la porta aperta.

011)
celibato

Il sacerdozio assicura alla Chiesa bizantina (cattolica o ortodossa) il carattere di apostolicità; su queste basi è da sempre stato consentito ai sacerdoti sposati -prima dell'ordinazione- di svolgere la missione nello stato di coniugato.
Si tratta di una antica tradizione ed è la tradizione della generalità delle Chiese orientali. 
Lo prevede e lo sancisce il Codice di diritto canonico.

Evitiamo in questa sede di affrontare problematiche dottrinali e/o teologiche, ma soffermandoci su alcune diffuse sensazioni è facile -per chi vive a Contessa Entellina- smentire l'asserzione secondo cui il sacerdote celibe ha più tempo per dedicarsi alla chiesa, alla missione ed ai fedeli. 
La verità è che i sacerdoti sposati, dal parroco attualmente in carica alle figure storiche di cui si conserva la memoria, tutti hanno svolto bene la loro missione e la gente avvia più facilmente il dialogo con i papàs sposati che con quelli celibi. A Contessa i papàs non sposati sono stati negli ultimi due/tre secoli una minoranza esigua.   
012)
identità
Essere amanti delle specificità comunitarie e/o locali è al contempo una via decisiva per desiderare l'unità fra tutti i cristiani.
Possedere gerarchie che siano convinte assertrici dell'identità e della libertà della Chiesa bizantina è più facile per far pulsare l'antica tradizione spirituale, levigata da secoli di sopraffazioni "romane" e per coltivare l'attaccamento alle radici antiche.
Il forte (fortissimo)  senso di identità non è mai stato giocato in senso opposto all'ecumenismo e all'unità della Chiesa cattolica.
Per gli arbëreshe libertà e identità non sono mai state usate in contrasto con l'unità. 
Anzi è avvertito bene che l'unità sia una esigenza  pressante di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, secolarizzato, globalizzato, senza frontiere.
Tutti oggi proviamo ad essere e ci ritroviamo uomini universali, ma ciascuno resta nel contempo ciò che è stato, ciò che ha vissuto e ciò di cui è stato plasmato sul piano culturale; nel nostro caso di arbëreshe con il gusto pronunciato all'incontro e la sensibilità aperta alla comprensione dell'altro.
Ecco perchè anche la piccola violenza "culturale" ai nostri danni ci indigna, e parecchio.   

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