sabato 26 novembre 2016

Appunti e riflessioni sulle origini del "pensiero dell'Occidente"

10)
Socrate
(appunti da Emanuele Severino)

Quando Socrate fa coincidere il "divino" col lato misterioso del mondo ed implicitamente disconosce le divinità mitiche e le divinità delle città greche viene subito accusato di insegnare ai giovani di disconoscere gli dei della tradizione e di praticare il culto di divinità nuove.

Socrate così si difende. 
Nega che il Sole e la Luna siano divinità, l'uno è pietra e l'altra è terra e prosegue -usando l'ironia- e queste cose i giovani non è necessario che le apprendano da lui, basta che leggano i libri di Anassagora di Clazomene. 
Per Socrate la filosofia dei fisiologi e l'illuminismo dei sofisti erano -quindi- qualcosa di acquisito.

Egli ribatte ancora agli accusatori " .. dunque, se io ritengo, come tu dici (rif. a Meleto) ci sian dei demoni; se questi demoni sono degli dei: ecco il punto dove io dico che tu fai enigmi e ti prendi gioco, quando affermi  che io, pur ritenendo che non ci siano dei, ritengo viceversa che ci siano dei, in quanto ritengo ci siano demoni" (Apologia, 27 d).

Socrate crede al divino come entità non immediatamente sensibile, ma questo daimòn è alquanto ambiguo e risponde alla sua ansia di voler conoscere i mistero con lo spirito della ricerca. 
Con lui avviene la metamorfosi del divino (dagli dei pagani al mistero). 
Agli occhi degli accusatori la sua visione possedeva una dimensione immensamente eversiva perchè veniva a coincidere con la voce interiore (l'autodeterminazione) e quindi con l'istanza critica del soggetto. 
Chiunque in nome del "dio" poteva quindi contraddire l'ovvio e l'abituale. Chiunque -soprattutto- poteva contraddire  l'autorità costituita.

Socrate verrà ucciso da coloro che avvertirono il pericolo eversivo proveniente da un simile soggetto critico. Con la condanna essi vollero probabilmente  -come espediente- farlo allontanare dalla città (farlo fuggire).
Sbagliarono. 
Socrate non avrebbe mai (e poi mai) lasciato la sua città (Atene) pena il rinnegare se stesso.
Egli era un "politico"; intendeva promuovere il bene della città ed il bene della città  non è connesso al bene individuale del politico, prescindendo dal bene collettivo.
La mediazione fra queste due istanze, individuo-comunità, sta nella Legge.
La Legge è la condizione d'esistenza della vita comune: senza di essa esplode la disgregazione.

Le leggi possono essere modificate o, come Socrate dice nel Critone, persuase, ma non possono essere negate, nè, tanto meno, evase.
Per questo Socrate muore: egli sa che non è possibile ad un singolo sussistere al di fuori della città; d'altra parte egli sa anche che non si dà città senza legge.
Dinnanzi a questo dilemma (rispettare le leggi, e quindi riconoscere alla città il diritto di legiferare, oppure promuovere le pretese del soggetto contro la legge, contribuendo alla caduta della polis e con essa degli individui) Socrate è bene che muoia per far vivere meglio la città.
Socrate che muore legittima, però, le sue istanze con l'impersonalità della "critica" sia pure limitandola negli spazi della legge.
Socrate che muore continua ad interrogare i concittadini nelle palestre, per le strade e per le piazze. Interroga (da morto) per portare allo scoperto gli aspetti problematici della realtà.  Egli continua ad insegnare ciò che è buono, valido e sicuro.

Mentre i sofisti additavano i valori ma non sapevano definire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto non riuscendo a cogliere il loro tratto e si limitavano ad illustrare le circostanze, con Socrate si individua il loro carattere e si riconosce ciò che è santo, buono e giusto. Di ogni cosa bisogna riconoscere, quindi, che cosa è .  
Detto in altro modo: una azione è riconoscibile come santa se si sà cosa sia la santità, è buona se si sa cosa è la bontà, bellezza etc.
Un atto è quindi riconoscibile solo se si possiede il relativo "concetto". Socrate è quindi lo scopritore del concetto, dissolve le apparenti certezze e mostra l'ambiguità delle parole in cui esse si radicano.

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