sabato 28 maggio 2016

Hanno detto ... ...

GIANFRANCO PASQUINO, politolgo
La politica cammina sulle gambe degl uomini e delle donne. Ognuno è responsabile della sua camminata. 
La Politica e la societa' non sono brillanti.

CORRADINO MINEO, deputato e giornalista
Obama sa di essere americano. Sa che nel suo paese la bomba fu chiamata con affetto little boy. E l’aereo che portò la fine del mondo in una città del Giappone, Enola, come la mamma di un colonnello pilota. Sa che il presidente Truman disse che quella strage, e la successiva a Nagasaki, avevano evitato due milioni di morti. Quanti forse ne avrebbe fatti, secondo i suoi calcoli, l’invasione americana del Giappone. 
Sa che il generale McArthur voleva lanciare un’atomica pure su Pechino, al tempo della guerra di Corea. Sa che l’industria del sogno, il cinema americano, per decenni ha spiegato che l’atomica, se l’avevamo, dovevamo mettere in conto di usarla. Contro l’invasione degli ultracorpi, contro il virus comunista che si diffondeva in Occidente dalla lontana Russia e dall’Asia.
Una presidenza che chiude un epoca, quella di Obama. Questo Presidente ha riaperto un canale di dialogo con l’Iran, sessant'anni dopo il golpe contro Mossadeq e 35 dopo l’assalto all’ambasciata americana. È andato a Cuba da Castro, poi in Vietnam dove gli americani, che pretendevano di difendere laggiù il mondo libero, furono umiliati a partire dal 68. Ha riconosciuto che è stata la guerra imperialista e non la religione il vero motore della tragedia del Medio Oriente. I tanti critici di Obama dovrebbero ricordare che appena 15 anni fa il presidente Bush trascinava noi europei nelle sue guerre in Afganistan e poi in Iraq. Che era difficile parlare del fosforo bianco a Fallujah -un’inchiesta di Rainews24 di Morrione- che si parlava poco della tortura nel carcere americano in Iraq di Abou Garhib. Che la CIA rapiva i sospetti -e le spie italiane collaboravano- per deportarli in luoghi dove non fossero soggetti a un tribunale e quindi non fossero portatori di alcun diritto. Che parecchi intellettuali e giornalisti giustificavano il waterboarding, la tortura con l’acqua. Era così l’America, Gianni Riotta ne cantava le lodi, Giuliano Ferrara definiva “mascalzone” chi, come Sean Penn chiedeva alla sua America di aprire gli occhi. Oggi, certo, c’è un’altra America. che chiede di più: è quella di Sanders e dei millennials. Vuole una politica più indipendente dal mercato, dai dettami del capitale finanziario, dalla distruzione in corso del welfare e dalla riduzione, in Occidente, dei diritti del lavoro. Ma molti di quelli che criticano Obama non vogliono questo. Alcuni hanno giustificato i crimini di Bush e applaudito il corrivo Blair.

DANILO TAINO (Corriere 27.5.16)
Arretra la globalizzazione, avanzano i robot. La tedesca Adidas ha annunciato l’inizio di un processo di rimpatrio delle produzioni che aveva delocalizzato in Asia. Sta costruendo un nuovo stabilimento, stato dell’arte, a Ansbach, in Baviera. Si tratta di un impianto prototipo nel quale le scarpe saranno preparate e cucite da robot. Inizierà la prima sperimentazione nella seconda metà dell’anno, poi la produzione più massiccia prenderà il via con il 2017. Un impianto simile – si chiamano Speedfactories – sarà aperto negli Stati Uniti. Se funzionerà, e la società ha pochi dubbi che funzionerà, altri saranno aperti. È da 20 anni che la Adidas non produce in Germania, che ha delocalizzato, come praticamente tutti i suoi concorrenti, in Paesi a basso costo della manodopera. Ora, però, il costo del lavoro è aumentato significativamente in Asia, soprattutto in Cina. In parallelo, le nuove tecnologie permettono di costruire interi impianti robotizzati. Il processo di reshoring – il riportare la produzione in patria opposto all’offshoring – non sarà però repentino. 

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