domenica 6 marzo 2016

Libia. La prudenza del "Corriere" e la contrarietà degli italiani ad inoltrarsi nei deserti tripolitani

CORRIERE DELLA SERA



Guido Olimpio WASHINGTON 
Alleati. Forse meglio dire partner in una coalizione che cessa di essere tale quando entrano m gioco i propri interessi. E allora prima di sbarcare con i nostri soldati in terra d'Africa meglio valutare. L'Italia ha i suoi obiettivi che non necessariamente collimano con quelli americani, francesi e britannici. Alti i rischi. 

La scelta degli Usa 

Sulla scacchiera di sabbia e petrolio libica, Washington muove secondo la classica strategia di guerra leggera. I caccia e i droni braccano l'lsis, ogni tanto un commando sbarca per portarsi via un terrorista. Azioni condotte con l'aiuto di elementi locali. 
Il Pentagono ha pescato la sua milizia ad hoc - il Battaglione 22 -, ha contatti con il generale Haftar, l'ambizioso ufficiale di Bengasi, ha uomini tra Misurata e l'aeroporto di al Watiya, nell'Ovest. 
La scelta è quella del contenimento unito a qualche mazzata per scompaginare le file dello Stato Islamico. 
Unità terrestri? Solo incursioni di forze speciali. Per loro è possibile grazie alla base di Sigonella, alla task force navale e alle sponde regionali. Se vogliono, possono tirarsi fuori rapidamente. 

La strategia francese 

Con Sarkozy, la Francia è stata il motore della campagna anti-Gheddafi, ha continuato a operare in modo aperto e coperto. Ha puntato su Haftar a oriente, e le brigate di Zintan a occidente, usando come elemento di contatto la comunità berbera, ben presente a Parigi e attestata su posizioni laiche. 
Da tempo soldati francesi e forse britannici lavorano a Benina: addestrano le unità del generale. Se la milizia è riuscita a conquistare due importanti posizioni costiere a Bengasi attraverso le quali l'lsis riceveva aiuti lo si deve anche all'assistenza dei consiglieri transalpini. 
Parigi vuole imporre la sua influenza e contrastare i jihadisti. Che minacciano anche l'area francofona del Sahel. 

I rischi militari 

Lo scenario libico non è diverso da altri dove operano gruppi guerriglieri, miliziani, l'lsis e al Qaeda nella terra del Maghreb (mai dimenticarla). 
Tutto è fluido, mai netto. Nell'arsenale nemico molte le frecce. Veicoli-bomba guidati da kamikaze (tattica identica a quella vista in Siria). Agguati con ordigni esplosivi: gli estremisti, in questi anni, hanno sviluppato le tecniche. Imboscate mordi e fuggi. Attacchi a installazioni fisse. Incursioni con barchini riempiti di esplosivo. Il territorio è ampio anche se l'attività dovrebbe essere concentrata sull'area settentrionale. 
L'Italia in passato ha parlato di 3 mila uomini, gli accordi «segreti» ne prevedevano 5 mila, la cifra indicata dall'ambasciatore Usa nell'intervista al Corriere. Comunque pochi rispetto allo schieramento opposto. 
Il Califfo ha circa 6 mila uomini, sempre che il dato sia veritiero. La studiosa Claudia Grazzini dell'ICG, ha invitato alla prudenza, sostenendo che le testimonianze raccolte sul campo parlano di numeri più bassi. 

 I rischi politici 

La vicenda degli ostaggi è la piccola spia dei grandi giochi. Lo schieramento che ora ti accoglie come amico, domani ti tratta da nemico. E la storia del governo di unità nazionale - la cui nascita è condizione principe posta da Roma per intervenire - è solo l'esile foglia di fico. C'è l'evidente pericolo che mentre l'Italia insegue un vago piano di stabilizzazione, altri lavorino per sabotarlo. Le fazioni possono cambiare di campo, altri ci considereranno degli invasori. L'epoca coloniale è lontana, ma ci vuole poco a usare questa carta dopo una mano di pittura islamista o nazionalista. Poi ci sono gli alleati occidentali: vogliono darti il comando per poi fare quello che gli pare. 
L'Italia può diventare il parafulmine che attira vendette, provocazioni. Se non ci sono certezze sul dopo, meglio restare a casa.

 Beirut e Mogadiscio 

Nell'82 l'Italia partecipò alla missione di pace con Usa, Francia e Gran Bretagna in Libano. Una forza di interposizione. Gli americani rimasero trincerati, i francesi affiancarono in modo discreto i cristiani, noi molto più neutrali. Un disastro per gli alleati, con il doppio attentato del 1983 contro para e marines, considerati target dall'asse Siria-Iran-Jihad sciita. 
Dieci anni dopo la Somalia. Anche là, non poche incomprensioni e contrasti, accresciuti da differenti vedute su cosa fare. Ai vertici Onu c'era chi non ci amava. Gli Usa subirono anche l'umiliazione di Black Hawk Down, con gli elicotteri in una trappola. 
Due storie lontane studiate da Bin Laden, convinto di aver scoperto i punti deboli dell'Occidente ogni volta che hanno messo il piede in terra straniera.

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