lunedì 28 dicembre 2015

La democrazia. Il sistema più confacente all'essere umano che rischia di ... ...


Remo Bodei (Sole 27.12.15) 

”Che la democrazia non goda di buona salute è testimoniato non solo da una diffusa percezione di disagio, ma anche da una ormai numerosa mole di ricerche. Le ragioni addotte e i sintomi descritti sono molteplici. Ne elenco alcuni: 
il dominio dell’economia sulla politica; 
lo svuotamento dei contenuti della democrazia stessa a causa della scarsa partecipazione dei cittadini ai suoi processi; 
il rafforzarsi al suo interno delle oligarchie. In quest’ultimo caso, è significativo che perfino insigni studiosi siano giunti a sostenere che le elezioni costituiscono un “inchino” al popolo, una riverenza che serve a dargli l’illusione di contare quale autentica fonte di legittimità.

Attraverso analisi acute e stringenti, Geminello Preterossi prende sul serio tutte queste affermazioni, non esorcizzandole con uno scaramantico vade retro!, ma cercando di individuare i punti deboli delle attuali democrazie per capire se è possibile porvi rimedio senza cadere nelle banalità della retorica pro o contro questo regime. 
Da questa prospettiva, anche il populismo, comunque inteso, non è oggetto di una facile condanna, giacché rinvia a una crisi profonda del sistema di rappresentanza e a un disagio che, puntando su aspetti reali di degenerazione della politica, crede di combatterla grazie alla totale sostituzione delle attuali classi dirigenti, accusate in blocco d’incompetenza e corruzione.

Per dare una risposta a queste difficoltà, sostiene Preterossi, occorre «fare i conti con la metafisica moderna, con i presupposti teorici ultimi del nostro lessico politico e con le implicazioni reciproche dei concetti che lo strutturano (come soggetto e diritti, volontà e artificio, sovranità e popolo, egemonia e consenso)». 
Egli mostra così come tutte queste entità siano costruzioni simboliche moderne, che non hanno nulla di naturale e che sono perciò fragili qualora non vengano sorrette da qualche appoggio esterno; sa, inoltre, che la “secolarizzazione” non è semplicemente la traduzione senza residui di termini e modelli teologici nel linguaggio della politica, la discesa del trascendente nell’immanente, dell’eterno nella storia o la trasfigurazione del Dio immortale delle religioni positive nel «Dio mortale» dello Stato teorizzato da Hobbes.

Le categorie del politico moderno non si sviluppano, infatti, per opposizioni nette in cui ogni elemento delle coppie sopra ricordate cancella il proprio antagonista. L’immanenza della politica non ha, ad esempio, eliminato il bisogno di trascendenza e già Max Weber aveva colto «la funzione compensativa del potere carismatico rispetto alla perdita simbolica che il tramonto delle forme tradizionali di legittimazione e il passaggio alla legittimità come legalità e razionalità scopo-conforme comportava». 
Ma è, soprattutto, con l’ultimo Habermas di Verbalizzare il sacro. Sul lascito religioso della filosofia (Roma-Bari, Laterza, 2015) che Preterossi si confronta, accogliendo alcune sue tesi e respingendone altre (così come fa, in altre parti del volume, con Carl Schmitt o Ernesto Laclau).
Per Habermas la debolezza della democrazia dipende dal fatto che il disincanto moderno ha fatto dimenticare che le norme giuridiche e politiche non poggiano soltanto sulla pura ragione, ma su presupposti inespressi, pre-razionali e “presecolari”, che le sostanziano e danno loro l’energia necessaria per essere efficaci. La filosofia (ma anche la politica, aggiunge Preterossi) deve tradurre nel suo linguaggio questi presupposti taciti, rappresentati dal sacro e veicolati dal rito e dal mito. Per quanto appartenga a una fase pre-linguistica, il rito è un potente mezzo di comunicazione, capace di plasmare l’identità collettiva, di rispondere alle paure e alle speranze che caratterizzano la condizione umana, di costituire il ponte che, assieme al mito, elabora linguisticamente – e in parte razionalizza – il sacro, permettendogli di entrare nel discorso mondano.

Nel puntare sull’autonomia dei soggetti, Habermas ne sottovaluta la politicizzazione, la sola in grado di creare, a partire da persone atomizzate, la massa critica indispensabile ai cambiamenti. In più, il rifugio da lui trovato «nell’asilo offerto dalla cultura religiosa [...] è più un sintomo che una risposta». Preterossi accoglie però il concetto più generale che, per funzionare, la democrazia necessita di un apporto energetico mobilitante, «di un investimento simbolico, dell’edificazione di credenze e convinzioni collettive, orientate (egemoniche)».
In mancanza di tale eccedenza rispetto al sistema delle regole e delle procedure, si ottiene l’opacizzazione del potere e la spoliticizzazione dei cittadini. Non coinvolgendoli più direttamente nelle sue vicende, questo genere di democrazia anemica rischia pertanto di renderli inermi nel «grande e terribile» mondo globalizzato. 
La loro passività avvalora poi l’immagine nichilistica di un regime privo di fondamento proprio perché, in quanto artificiale, ha rinunciato a ogni “vero” fondamento. In quanto volutamente infondata, la democrazia deve essere compensata «da un processo di legittimazione permanente», da valori simbolici condivisi e unificanti, che le diano senso.

Da dove trarre simili risorse? Da una politica che si fa carico «di riempirla di contenuti sociali e apre spazio all’azione collettiva, compensando quel senso di relativo spaesamento che un ordine post-tradizionale sempre comporta». Tali contenuti sono, tra l’altro, offerti dallo Stato sociale, oggi minacciato nella sua esistenza, senza il quale le attuali democrazie non possono esistere nella loro pienezza e senza il quale perdono di consistenza la solidarietà, la dignità umana e i diritti (anch’essi costrutti artificiali non garantiti in assenza di un «ambiente democratico»): «La sicurezza sociale è il terreno sul quale fiorisce tanto un concetto di giustizia compatibile con il pluralismo, quanto l’azione di individui liberi come cittadini (e non solo come privati) perché non troppo diseguali».
Il libro di Preterossi ha il merito di disincagliarci dai dibattiti contingenti sulla crisi della democrazia per scavare in profondità sui suoi presupposti.”"

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