mercoledì 18 novembre 2015

Medio Oriente. Terra dove si incontrano (e si scontrano ?) le tre religioni monoteiste -2-

Situazione dei cristiani nell'Impero Ottomano
Sotto l’impero ottomano la situazione dei cristiani conobbe un notevole miglioramento, rispetto al precedente dominio arabo; miglioramento  che comportò nei secoli successivi da un lato la loro crescita numerica, dall’altro una ripresa della loro importanza a livello sociale e culturale.

L’impero ottomano dal punto di vista amministrativo adottò il sistema dei millet (nazioni), con cui conferiva riconoscimento giuridico alla composizione multiconfessionale dell’impero e la organizzava in modo strutturato all’interno dell’apparato statale. 
Il millet coincideva alla confessione religiosa e identificava le principali confessioni cui appartenevano le popolazioni dell’impero ottomano; all’inizio i millet riconosciuti erano quattro:
quello musulmano,
quello ebraico,
quello greco-ortodosso
e quello armeno.
In seguito, nel corso del XIX secolo, spesso su pressione degli stati europei, il numero dei millet cristiani aumentò per dare un riconoscimento specifico alle varie comunità cattoliche di rito orientale. 
La peculiarità di questo sistema era che il millet definito su base religiosa diveniva un organismo intermedio tra il singolo e lo stato. 
Tutti i cristiani orientali,
ad esclusione degli armeni,
erano ascritti al Millet
del Patriarca di
Cstantinopoli
Tutti i sudditi dell’impero erano infatti ascritti al proprio millet, al cui interno l’autorità rappresentativa era costituita dai membri della gerarchia religiosa: per i cristiani erano i patriarchi e i loro rappresentanti locali, per gli ebrei erano i membri della gerarchia rabbinica, per i musulmani i propri ulema e mufti.
Le autorità religiose di ogni millet esercitavano un ruolo di rappresentanza con funzioni di intermediazione di carattere amministrativo tra il potere centrale e i membri del proprio millet, in quanto a esse veniva riconosciuta la giurisdizione sulla propria comunità non solo per tutti gli affari religiosi e per quelli riguardanti lo statuto personale, ma anche per ampia parte della materia civile e penale ed erano inoltre responsabili della raccolta delle tasse, che venivano poi consegnate alle autorità dello stato.
I millet ricoprivano dunque ambiti molto vasti della vita sociale, e sebbene vi siano divergenze di opinione sul loro effettivo funzionamento organico durante tutta l’epoca ottomana, è certo che almeno dal XIX secolo avevano un ruolo strutturale determinante.
Un tratto di fondamentale interesse concettuale nel sistema del millet sta nel fatto che esso recepiva e trasmetteva con formulazione innovativa alla cultura mediorientale successiva l’identificazione della nazione con la confessione religiosa. 
In questo senso il sistema del millet riprendeva l’appartenenza confessionale come elemento determinante per definire lo statuto del suddito dell’impero, secondo la tradizione politico-giuridica musulmana, dall’altra istituzionalizzava ulteriormente il concetto di confessione, e poneva le basi per identificare il concetto di nazione con l’appartenenza religiosa, che avrebbe influenzato profondamente le dinamiche interne all’impero ottomano verso la fine della sua esistenza, quando il fattore religioso come elemento fondamentale di identificazione nazionale provocò, nell’area turca ed europea dell’impero, la crisi della convivenza multiconfessionale. 
Sempre riguardo al sistema del millet occorre anche tenere presente che esso recepiva e istituzionalizzava il diverso statuto giuridico delle confessioni cristiane ed ebraica rispetto all’islam, secondo la tradizione della dhimma.
Il millet musulmano era infatti considerato quello dominante, cui gli altri dovevano essere subordinati, e tale subordinazione trovava espressione nelle limitazione giuridiche e sociali poste ai non musulmani. 
Solo con le riforme (tanẓīmāt) del 1839 e del 1856 fu proclamata l’eguaglianza giuridica dei membri di tutte le confessioni religiose e furono abolite le limitazioni poste a cristiani ed ebrei. I provvedimenti relativi all’eguaglianza giuridica di tutti i sudditi si inserivano in un ampio spettro di provvedimenti di riforma dello stato ottomano che miravano a modernizzarlo sia dal punto di vista economico sia amministrativo, rafforzando nel contempo il potere centrale. Le modalità concrete con cui le tanẓīmāt furono applicate, anche riguardo ai cristiani, variarono a seconda dei luoghi e dei governatori locali: in molte città furono salutate da manifestazioni pubbliche della propria appartenenza cristiana prima impensabili, e che provocarono sovente l’opposizione dei musulmani, i quali consideravano un ingiustificato sovvertimento dell’ordine sociale la libertà e l’eguaglianza concessa ai non musulmani.

Sull’evoluzione interna all’impero ottomano nel XVIII e, soprattutto, nel XIX secolo, ebbero un’influenza rilevante le strategie delle potenze europee, in particolare Gran Bretagna, Francia, Austria e Russia, che incrementarono i rapporti commerciali e politici con l’impero ponendosi in concorrenza tra loro per garantirsi le relazioni migliori e i benefici conseguenti. Il sistema del millet rappresentò anche da questo punto di vista l’elemento decisivo che determinava il tipo di immagine che all’esterno si aveva dell’impero ottomano, sulla cui base venivano elaborate strategie politiche. 
Il Sultano era al contempo
califfo
Le nazioni europee percepirono infatti l’impero ottomano come un impero di comunità organizzate su base confessionale, con a capo la massima autorità politica del sultano, il quale deteneva anche la massima autorità religiosa musulmana, quella califfale. Nella fase di penetrazione nell’impero ottomano le nazioni europee utilizzarono per i propri fini l’istituzione dei millet, in particolare assumendo un ruolo di protezione nei confronti delle comunità cristiane d’Oriente rispetto al potere centrale musulmano. Questa fase della storia della regione mediterranea caratterizzata dalle strategie molteplici di penetrazione europea nell’impero ottomano, vide le comunità cristiane arabe e orientali entrare in una nuova fase della loro storia. 
Le comunità cristiane, proprio per l’affinità religiosa con gli stati europei, vennero identificate da questi ultimi come interlocutori privilegiati in Oriente, e beneficiarono della nuova posizione. Anche se l’appoggio dato dalle nazioni europee diveniva spesso strumentalizzazione per fini economici e geopolitici, è innegabile che grazie ai maggiori contatti con l’Europa i cristiani entrarono in contatto con un mondo nuovo: si aprirono alla cultura illuminista, impararono le lingue europee, incrementarono la loro posizione economica, specie nell’ambito commerciale, nell’ambito amministrativo statale e in quello delle libere professioni; questa nuova apertura culturale si espresse anche a livello politico rispetto allo stato ottomano, con richieste di modernizzazione istituzionale che riconoscesse a tutti i sudditi, compresi i non musulmani, uno stato di diritto egualitario ispirato ai principi liberali.
In questo contesto l’arrivo di missionari europei appartenenti alla chiesa latina e alle comunità protestanti contribuì a promuovere l’incontro dei cristiani orientali con la modernità: i missionari dettero infatti vita a una rete di istituzioni sanitarie e di scuole con cui influirono efficacemente sullo sviluppo culturale e sul miglioramento delle condizioni di vita in particolare dei cristiani arabi, ai quali offrirono l’opportunità di accedere localmente all’istruzione moderna. 
Un’analisi dei dati relativi al tasso di scolarizzazione in alcune province dell’area araba dell’impero ottomano alla fine del secolo XIX mostra che i cristiani avevano ovunque un tasso di scolarizzazione di gran lunga più alto di quello dei musulmani, e, spesso, con l’eccezione di Aleppo e Bassora, anche di quello degli ebrei. 
La fase finale dell’impero ottomano segna dunque un periodo di prosperità per i cristiani arabi e orientali, caratterizzato da un ruolo economico e sociale rilevante, dal possesso di strumenti culturali vasti e innovativi che aprì loro nuovi spazi anche nell’amministrazione dello stato ottomano impegnata a modernizzare le proprie strutture. D’altra parte le idee dell’illuminismo sulla cittadinanza, l’eguaglianza e le altre libertà fondamentali esercitarono la loro influenza in modo peculiare in ambito cristiano: furono gli armeni i primi a chiedere una revisione delle modalità con cui veniva amministrato internamente il loro millet, per limitare il potere del patriarca e garantire il controllo e la partecipazione più ampia della comunità nella sua amministrazione. 
Infine le tanẓīmāt, al di là dei loro esiti concreti in uno stato ormai in crisi, segnarono giuridicamente e politicamente il riconoscimento che occorrevano nuove sintesi culturali per basare il rapporto tra cittadini e stato: nell’affermare l’eguaglianza di tutti i sudditi dell’impero, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, esse sancirono almeno in linea di principio la nuova posizione dei cristiani, nonché degli ebrei, nell’impero ottomano, anche se il processo politico di modernizzazione susseguente avrebbe conosciuto involuzioni e situazioni conflittuali in cui i cristiani sarebbero stati per primi coinvolti. 
Lo sviluppo sociale della comunità cristiana in questo periodo si espresse anche in termini demografici: verso la fine dell’impero ottomano, nel 1914, i cristiani erano circa il ventiquattro per cento della popolazione dell’impero, raggiungendo il trenta per cento nell’area della grande Siria, comprendente gli attuali Libano, Siria, Giordania e Palestina.
( Vedremo come nel Novecento l'area mediorientale si ristrutturerà)

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