martedì 17 novembre 2015

Medio Oriente. Terra dove si incontrano (e si scontrano ?) le tre religioni monoteiste -1-

La Siria ci viene presentata oggi come il paese che sta al centro della destabilizzazione politica dell'intero mondo arabo e -dopo i recenti fatti stragisti avvenuti a Parigi- pure dell'Occidente.

In quel paese a stragrande maggioranza mussulmana si sta giocando verosimilmente una partita pericolosa per la pace nell'intero bacino del Mediterraneo.
Vediamo in breve quali sono gli addebiti che l'Occidente muove ad Assad.
1) Il governo siariano, come di tutti i paesi arabi, non e' di tipo democratico. Assad e' un dittatore come atrettanto autoritarie e antidemocratiche sono le famiglie che governano l'Arabia Saudita e che, tuttavia, godono delle simpatie della presidenza Obama.
Medio Oriente
o
Mashreq
2) Assad e' inoltre legato al governo sciita di Teheran e gia' per questa sua propensione gode dell'avversione di quasi tutti i paesi arabi che  sono sunniti.
2) Assad  e' legato da rapporti di amicizia ed alleanza con la Russia di Putin ed infatti non e' mai stato ostile ai cristiani ortodossi che prima della guerra vivevano in assoluta liberta' religiosa in quel paese.
3) Assad nello spazio del Medio Oriente oltre a non piacere all'Arabia Saudita non piace nemmeno ad un altro grande alleato degli Usa, alla Turchia.
Non e' difficile capire o intuire su quale humus finanziario e di abbondanza di armamenti sia stato messo su' il fronte degli avversari del governo siriano, quell'Isis che  deve essere sfuggito dal controllo dei suoi ricchi ed interessati sostenitori della prima ora.
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Fatta questa premessa, vorremmo provare a capire chi sono i cristiani che vivono in Medio Oriente e perchè non hanno finora suscitato alcun interesse ne' culturale ne' umanitario da parte dell'Occidente.



Il Medio Oriente arabo e turco e' un’area di cultura mussulmana decisamente maggioritaria e al contempo un’area di intenso popolamento multiconfessionale in cui musulmani, ebrei e cristiani tradizionalmente convivono all’interno dello stesso sistema sociale, anche se i termini istituzionali e sociali in base ai quali tale convivenza si è articolata hanno subito variazioni nel corso della storia, fino all’epoca più recente.
Nel caso della componente ebraica le mutazioni più sostanziali delle sue modalità di popolamento del Medio Oriente si sono avute nel corso del Novecento e in particolare dopo il 1945, con la proclamazione dello stato di Israele nel 1948.
La fondazione di Israele come stato del popolo ebraico in cui tutti gli ebrei della diaspora hanno in linea di principio il diritto di stabilirsi ha provocato l’emigrazione nel nuovo stato di porzioni consistenti delle comunità ebraiche stanziate nel bacino meridionale del Mediterraneo e nelle aree mediorientali limitrofe e non solamente da esse.
Sotto l’aspetto del popolamento confessionale queste nuove dinamiche innescatesi nella seconda metà del Novecento hanno provocato da un lato il sorgere di una nuova area ben delimitata e politicamente riconosciuta a presenza ebraica prevalente, lo stato di Israele appunto, dall’altra la quasi totale sparizione o drastica diminuzione della presenza capillare di comunità ebraiche consistenti, prima diffuse in tutta l’area, Medio orientale.
Nell’area araba del Medio Oriente, che comprende Egitto, Giordania, Libano, Siria, Iraq e territori palestinesi, in Israele e, in proporzioni attualmente assai minori, in Turchia, sussistono invece in modo varimente diffuso sul territorio popolazioni cristiane che, sebbene oggi numericamente ridotte, continuano a rappresentare nei singoli stati una presenza cristiana autoctona, le cui radici precedono la nascita e la diffusione dell’islam, e che hanno contribuito fino all’epoca moderna e contemporanea allo sviluppo culturale, sociale ed economico di quelle regioni.
Si tratta di una presenza cristiana che è a pieno titolo radicata e appartenente al mondo mediorientale, perché i suoi membri sono per lo più arabi o, in misura oggi ben minore, appartengono a popolazioni di antichissimo insediamento come gli armeni e i greco-ortodossi della Turchia, e condividono con il resto della popolazione la storia e gran parte del retaggio culturale. L’unico elemento di notevole differenziazione, gravido di conseguenze sul piano socioculturale, è l’appartenenza religiosa al cristianesimo in un mondo a maggioranza musulmana. L’appartenenza al cristianesimo non deve però intendersi in modo monolitico: la caratteristica propria del cristianesimo mediorientale è infatti proprio il suo essere costituito da una molteplicità di comunità emananti dalle rispettive chiese, ognuna con la sua tradizione e il suo rito liturgico, che affondano le radici nella storia antica e più recente delle società mediorientali e che costituiscono una testimonianza ancora oggi eloquente della ricca vita culturale e religiosa espressa durante i secoli dal cristianesimo delle varie tradizioni orientali.
Con l’espansione progressiva dell’islam arabo a partire dal VII secolo si è avviato un processo di islamizzazione che si è esteso progressivamente a tutta la regione mediorientale di nuova espansione.
La conquista musulmana ha comportato per le popolazioni cristiane l’inserimento in una struttura sociale e politica che trovava nella nuova religione islamica i suoi fondamenti e che prevedeva per i non musulmani uno statuto specifico che regolava le modalità del loro inserimento nella società musulmana.
Si tratta di uno statuto che, nei suoi elementi di fondo, è rimasto sostanzialmente in vigore in tutta l’area fino al secolo scorso, e che tuttora fa sentire talvolta la sua influenza a livello di pratiche culturali, sociali e anche giuridiche.



Per curare nel proprio ambito politico i rapporti con i sudditi non musulmani l’islam si dotò fin dall’inizio della sua espansione conquistatrice nel VII secolo di criteri giuridici e istituzionali, i cui fondamenti risiedevano sul piano religioso, ovvero sul tipo di riconoscimento che l’islam annetteva alle altre religioni. Così, anche se l’islam era la vera religione definitivamente rivelata da Dio, e come tale godeva del diritto di assoluta preminenza, trovavano spazio nella società musulmana i membri delle «religioni del libro», cioè di quelle religioni che avevano un libro sacro come fondamento: si trattava in primo luogo degli ebrei e dei cristiani. L’elemento fondamentale nella strutturazione di questi rapporti era comunque quello religioso-confessionale, che determinava il ruolo sociale e politico dei membri che vi aderivano.
Se l’islam si è proposto come una cultura globale in cui la dimensione religiosa include e legittima la dimensione giuridica, politica e sociale, tale approccio si è concretizzato in modo esplicito anche nella gestione dei rapporti con le varie comunità confessionali presenti al suo interno.
In concreto lo statuto riconosciuto ai membri delle religioni del libro era quello di dhimmī, o protetti, i quali, in cambio del riconoscimento e dell’accettazione del potere politico musulmano e della superiorità sociale dell’islam, potevano continuare a vivere nell’ambito politico musulmano seguendo la propria religione con limiti ben precisi e istituzionalmente sanciti in alcune disposizioni che rendevano l’islam la religione dominante dal punto di vista politico-sociale e che, in definitiva, resero gradualmente possibile l’islamizzazione delle aree soggette all’autorità musulmana.
Il primo tipo di limitazioni poste ai cristiani, e agli altri dhimmī, fu di natura religiosa: essi potevano seguire la propria religione, ma ogni attività missionaria venne loro vietata, mentre la missione islamica era incentivata. Vennero di conseguenza proibite le processioni, le esposizioni in pubblico di simboli cristiani, il suono delle campane e furono anche codificate norme molto severe sulla possibilità di costruire nuove chiese o restaurare le antiche.



Il secondo tipo di limitazioni fu di natura prevalentemente sociale ed esprimeva concretamente l’inferiorità sociogiuridica dei non musulmani: a questi ultimi era vietato l’esercizio di qualsiasi potere politico e militare ed erano assoggettati a una maggiore pressione fiscale che si concretizzava, in aggiunta alle imposte fondiarie e sulle varie attività, nel pagamento di un’apposita tassa di capitazione, la jizya, considerata come il compenso della protezione loro accordata dal potere politico musulmano.
Anche nell’ambito familiare la preminenza dell’islam veniva garantita attraverso il particolare regime giuridico dei matrimoni misti, secondo cui l’unico matrimonio misto ammesso è quello contratto dall’uomo musulmano con la donna cristiana o ebrea, e in cui la prole è obbligatoriamente musulmana; nel caso di un non musulmano che voglia sposare una musulmana si esige invece la conversione all’islam del nubendo. Questo particolare regime giuridico sembra avere avuto una rilevanza notevole nei primi secoli dell’impero musulmano nel promuovere il processo di sostituzione della popolazione cristiana con quella musulmana.
Sebbene l’ordine sociale e giuridico instaurato dall’islam abbia in definitiva comportato nel corso dei secoli l’islamizzazione dell’attuale Medio Oriente arabo, con la scomparsa totale del cristianesimo autoctono dal Maghreb a partire dal secolo XII e con la progressiva diminuzione dei cristiani nell’area del Mashreq, i cristiani ebbero però un ruolo attivo, e spesso poco noto, nell’evoluzione della cultura araba: proprio perché esclusi dalle attività politiche e militari e da ruoli di governo, essi si dedicarono a quei settori professionali che restavano loro aperti, in particolare l’ambito burocratico dell’amministrazione dello stato e l’ambito culturale degli studi filosofici e delle scienze.
La Russia degli Zar fu
sempre protettrice
dei cristiani ortodossi
del Medio Oriente
Poiché conoscevano il greco e il siriaco ed erano in possesso della cultura greco-ellenistica e bizantina, i cristiani orientali svolsero un ruolo fondamentale di mediatori di tale cultura verso gli arabi musulmani, sia per gli aspetti dell’organizzazione amministrativa dello stato sia per gli aspetti più prettamente culturali, fornendo un apporto indispensabile per la fioritura della nuova sintesi culturale e filosofica islamica che riprendeva, rielaborandolo, il patrimonio culturale greco.
Furono proprio studiosi cristiani a svolgere un ruolo attivo e creativo nel tradurre in arabo dal greco o da versioni siriache i filosofi greci, come Aristotele, Platone, i neoplatonici.
Con la formazione dell’impero abbàside dal 750 e il trasferimento della capitale a Baghdad, i califfi dettero un forte impulso alla cultura e favorirono la diffusione delle opere della cultura greca nell’impero arabo.
Se è vero che la cultura musulmana ebbe il suo apogeo nei secoli XI e XII e influenzò in modo innovativo anche la cultura europea di quel periodo, in particolare trasmettendole le opere di Aristotele tradotte in latino da ver- sioni arabe, è anche vero che fu soprattutto la componente cristiana del mondo arabo a rendere possibile la trasmissione e la rielaborazione delle conoscenze della cultura greca ed ellenistica.
Il ruolo e l’influenza dei cristiani decrebbero a partire dal secolo X, a motivo essenzialmente della diminuzione sensibile del loro numero, che rese loro più difficile esercitare un ruolo significativo nella società araba, in cui, nel frattempo, grazie alle attività culturali dei secolo precedenti, un maggior numero di musulmani si dedicò con eccellenti risultati alle varie discipline.
I secoli che vanno dal X al XVII furono caratterizzati da un declino più marcato dei cristiani arabi: nel 1570, al momento del primo censimento dell’impero ottomano, essi erano ridotti al solo otto per cento della popolazione globale dell’impero.

(vedremo in seguito quale e' stata la condizione dei cristiani sotto l'Impero Ottomano)

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