lunedì 24 agosto 2015

Hanno detto ... ...

DONATELLA DI CESARE , filosofa
Festeggiare è un’arte. Se nell’antichità la festa era ben nota, nel nostro mondo appare sempre più lontana e irraggiungibile. Non è difficile intuire perché. La festa è il tempo della liberazione a cui tutti sono chiamati — nessuno escluso. Di più: la festa è comunità, anzi, è la rappresentazione della comunità nella sua forma più completa e elevata. Solo quando la comunità si riunisce, quando si raccoglie, la festa può essere celebrata. Perciò la festa è un’opera d’arte che è comune e che accomuna. È come quando si danza in un cerchio prendendosi per mano.
Così la comunità si ricostituisce festeggiando. Supera l’isolamento, l’estraneità, le divisioni prodotte dal lavoro, i conflitti della quotidianità. 
Ecco perché la festa è sospensione del lavoro, ingresso di un tempo altro. Vale, però, anche l’inverso: dove non c’è festa, dove non si sa più festeggiare, non può costituirsi neppure una comunità. Il nostro disincanto ci fa provare una intensa, acuta nostalgia per la festa, per la comunità, per un tempo in cui intrattenerci. 
Ma forse è possibile un nuovo incantamento….

SABINO CASSESE, giurista
Qualcosa si muove nella giustizia
Le riforme avviate nel giugno 2014, articolate in dodici punti, dopo una pubblica consultazione, stanno dando qualche magro frutto: calo dell’arretrato civile, tempi più brevi dei processi. 
Ma la china da risalire è erta. Il contesto è difficile. La qualità delle leggi pessima (ma nessuno se ne dà carico). Gli avvocati troppi (ma continuano ad aumentare). Il Consiglio superiore della magistratura dominato da gruppuscoli denominati correnti (ma non c’è accordo per uscirne). La Cassazione intasata da un numero abnorme di ricorsi (ma le proposte di soluzione troppo timide). I magistrati troppo leggeri nel limitare la libertà personale (la Scuola della magistratura non dovrebbe fare qualcosa per insegnare che la detenzione cautelare, senza processo, va usata in casi estremi?). Troppe le carriere politiche di magistrati in carica e troppe le loro esternazioni (mentre il Consiglio superiore della magistratura sta a guardare). Eccessiva la tendenza di procure e corti a dettare l’agenda della politica e a stabilire i criteri della politica industriale, quasi fossero la coscienza del Paese e il governo della politica economica (perché 
il Consiglio non fissa linee guida non vincolanti, come fa negli Stati Uniti il Dipartimento di giustizia, 
e perché la Scuola della magistratura non promuove il ricorso all’analisi economica del diritto?). Palese l’inadeguatezza - con l’eccezione di alcune importanti procure - del contrasto alla criminalità organizzata. La criminalità organizzata si è diffusa in vaste aree del territorio nazionale (non varrebbe la pena di fare una analisi sulla preparazione di chi dirige le investigazioni, comprese le forze di polizia?).

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