sabato 11 luglio 2015

Procedure fallimentari. Gli stati come le aziende nel terzo millennio vanno in default


Il premier greco Alexis Tsipras ha chiesto ai creditori internazionali l'avvio di nuovi negoziati per arrivare a un accordo che contempli anche un taglio del debito.

Atene afferma che la proposta e' sostenuta anche dal Fondo monetario internazionale (Fmi).
Martin Jaeger, il portavoce del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, prontamente ha ribadito che la posizione della Germania al riguardo non è cambiata e che «il taglio del debito non è in discussione».

 Nel 2012 una ristrutturazione del debito ellenico si era già resa necessaria nonostante gli aiuti finanziari ricevuti fino ad allora dal Fmi e dall'Ue e l'imposizione di un programma di austerity, ma i conti pubblici di Atene, tre anni dopo, continuano a essere disastrati.

Nel 2001, dopo l'esplosione della crisi argentina, il Fondo monetario internazionale propose la creazione di un Sovereing Debt Restructuring mechanism (Sdrm) che, attraverso regole comuni e condivise a livello internazionale, rendesse possibile e non disfunzionale per le economie di altri Stati l'eventuale ristrutturazione dei debiti sovrani di Paesi insolventi, che non fossero cioè più in grado di ripagare i propri creditori. 
Dopo 14 anni, nulla in questo senso è stato fatto, nonostante la crisi dei debiti europei abbia dimostrato, dice il premio Nobel Joseph Stglitz, che avere «mercati dei debiti sovrani che funzionano bene sia importante non solo per i Paesi in via di sviluppo, ma anche per quelli sviluppati».


Nel 2010 uno dei più prestigiosi pensatoi europei, aveva proposto la creazione, attraverso un trattato internazionale, di un European crisis resolution mechanism (Ecrm) per affrontare la crisi dei debiti sovrani dei Paesi dell'Eurozona.
Comprendeva, per esempio, la possibilità di un default controllato, la creazione di una Corte speciale europea che supervisionasse il processo di rinegoziazione e ristrutturazione del debito, il ruolo della Corte di giustizia europea come risolutore di eventuali controversie tra creditori e tra creditori e debitori.
Sfortunatamente, ha scritto l'economista danese Lars Christensen, la «proposta non ha ricevuto molta attenzione da parte dei decision maker europei», ma se fosse stata accolta avrebbe consentito di affrontare adesso la crisi greca in maniera più ordinata ed evitando eccessive politicizzazioni.
 Anche perché a rischio default non c'è solo la Grecia. Fuori dall'eurozona sono in pericolo il Venezuela, l'Ucraina e il Porto Rico.
«Le aziende vanno in bancarotta», dice Christensen. «E così anche i governi. Abbiamo urgente bisogno di dar vita e istituzioni e meccanismi che ci consentano di affrontare anche il fallimento di uno Stato sovrano».

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