giovedì 2 luglio 2015

Crisi greca. Il futuro di un paese guidato da politici in preda all'ideologia piuttosto che alle leggi -antipatiche- della scienza economica

Il governo argentino qualche decennio fà seguì la strada del default per rimettersi in sesto. 
Pensava che la situazione pesante del paese si sarebbe risolta solamente cl "fallimento". L'Argentina in quella occasione pagò però un prezzo molto, molto, caro.
Tra Argentina e Grecia c’è la comune origine della crisi: l’ipertrofia della spesa pubblica finanziata cn debiti su debiti. 
L'Argentina, alternando dittature militari e deboli governi democratici, iniziò a indebitarsi negli Anni 80 in maniera massiccia per portare avanti progetti velleitari come la riconquista delle Falkland/Malvine, la nazionalizzazione del debito, la parità tra dollaro e peso, le incentivazioni per gli allevatori di bestiame. In pratica iniziative magnifiche affidate a chi è asciutto sul funzionamento del sistema economico.

Atene, ha fatto impennare la spesa pubblica per ospitare le Olimpiadi del 2004, poi ha falsificato i conti dello Stato per rispettare i parametri europei e restare nella moneta unica.


Nel 1989 la disoccupazione a Buenos Aires schizzò al 18%, l’inflazione al 200%, il debito pubblico era saldamente in mano estera, mentre chi poteva - ricchi, ceto medio o poveri - nascondeva il proprio denaro all’estero.
Numeri e situazioni non diverse ad Atene in questi giorni, dove un terzo della popolazione è senza lavoro e ogni settimana vengono prelevati dalle banche (per essere nascosti chissà dove) circa 100 milioni di euro a settimana.
Adesso  già si manifesta il disastro: nel 2000 in Argentina partirono le file ai bancomat e venne introdotto il corralito, il congelamento dei conti bancari per 12 mesi, permettendo unicamente prelievi di piccole somme di denaro. Vennero le proteste di piazza, che presto si trasformarono in rivolte: assalto alle sedi di banche e compagnie private straniere, furti nei centri commerciali.


Ragioni simili

La notte tra il 20 e 21 dicembre 2001 l'Argentina implose, la folla provò a prendere possesso della Casa Rosada. Le cariche con la polizia non evitarono morti e feriti né che l’allora presidente, Renato de la Rua, abbandonasse il Palazzo in elicottero.
L'Argentina col suo debito pubblico alto, la forte inflazione, aveva sperperato gli introiti delle privatizzazioni, aveva pagato la crisi dei suoi principali compratori. 
Anche Atene - che ha un’economia molto più povera di quella argentina - è andata in recessione per motivi simili: la crisi è partita quando sono crollati i noli marittimi e il Paese - appesantito da una spesa troppo alta - si è trovato a dover pagare salari e materie prime con una moneta, l’euro, che valeva almeno 20 volta la dracma.

Gli uomini di Tsipras sperano di ripetere lo stesso percorso argentino dopo che la moneta locale si staccò dal dollaro. 
Ma  sarà possibile? 
All’epoca del default il debito pubblico argentino era pari al 50% del Pil e il disavanzo raggiungeva appena il 2,5% del Pil. Con questi dati, l’Argentina sarebbe tranquillamente rientrata nei criteri di Maastricht.
Questi numeri dovrebbero essere sufficienti per capire le differenze tra i due Paesi. Nel 2001, in Argentina, la spesa pubblica a carico del governo centrale era inferiore al 30% del Pil. Nel 2010-2011, in Grecia, tale valore si aggira intorno al 50% del Pil. In pratica un greco su due vive a carico dell Stato.
Questo elevato livello di spesa pubblica che Tsipras si ostina a non voler toccare, serve a pagare le pensioni e svariati sussidi, di disoccupazione e di altro genere, a favore di una notevole percentuale della popolazione: i dipendenti pubblici e i beneficiari di pensioni e altre prestazioni e, pertanto, difficilmente modificabili.


La Grecia difficilmente si rimetterà in piedi dopo il default. In queste circostanze servono governi consapevoli non governi in preda all'ideologia.

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