LUCIANO VIOLANTE, politico
Alessandro De Angelis
intervista Luciano Violante
“Sa quale è la verità di fondo? È che su tutta questa vicenda di
quelli che chiamate ‘impresentabili’ c’è una resa della sostanza di fronte alla
forma. Manca il pensiero politico. Si parla di legge Severino, decadenza,
codice penale, spesso all’interno di un dibattito da azzeccagarbugli. Ma non si
parla del fatto che la prima responsabilità delle liste è di chi le fa, cioè
dei dirigenti di ciascun partito”.
“Oggi
l’unico strumento di misurazione della morale politica è diventato il codice
penale. È un frutto velenoso dello svuotamento del pensiero politico”.
Presidente Violante partiamo dall’iniziativa dell’Antimafia.
Dobbiamo tornare a settembre del 2014, quando la Commissione Antimafia ha approvato col consenso di tutte le forze politiche il regolamento per la formazione delle liste. Si tratta di quattro articoli semplici che formalizzano l’impegno dei partiti a non candidare persone che siano state o condannate in primo grado o rinviate a giudizio per determinati reati, visto che per le condanne con sentenza definitiva ci pensa la legge Severino. E si è stabilito che le formazioni che intendono comunque candidare queste persone, devono rendere pubbliche le motivazioni. Sempre nel regolamento è previsto che la Commissione verifichi che le liste rispondano a questi criteri.
Dunque difende l’operato della Bindi?
La presidente Bindi ha applicato un regolamento che la Commissione ha approvato. Poi però c’è un’altra questione. E cioè che per ragioni che non dipendono né dalla volontà della Commissione, né dalla volontà del suo presidente, siamo arrivati a due giorni dal voto.
Sta dicendo che la Bindi si è mossa in maniera tardiva?
Non parlo di colpe. Il dato oggettivo è che i nomi di coloro che non dovrebbero essere candidati, saranno resi noti a due giorni dal voto, a campagna elettorale conclusa. E non so se, a questo punto, le forze politiche interessate saranno in grado di esercitare il loro diritto, previsto dall’art. 3 del regolamento, di spiegare le ragioni per le quali alcune persone sono state candidate nonostante rientrassero nelle categorie “nere”.
Con lei però vorrei allargare il discorso sul concetto di “impresentabili”. Un soggetto discutibile, in odore di collusioni mafiose può anche essere un incensurato, senza neanche un avviso di garanzia e l’Antimafia non lo becca e non riesce a inserirlo nella sua “black list”.
Mi permetta di dire che, da democratico, guardo con preoccupazione a queste categorie create dal populismo e dalla degenerazione della lotta politica: “impresentabili” o, su un altro piano, i “coinvolti”, coloro che sono estranei alle indagini penali, ma che tuttavia vengono citati in un atto giudiziario. Detto questo, sono d’accordo con la sua analisi. E qui veniamo alla questione di fondo. Si discute di Severino, incandidabilità, decadenza, codice penale, Antimafia, di tutto un groviglio di regole e principi, ma la questione di fondo è che chi fa le liste sono i dirigenti dei partiti politici che su questo devono essere giudicati dai cittadini. In una fase come l’attuale in cui manca un robusto pensiero politico c’è una consegna alle forme del diritto. E mettiamo le scelte politiche in mano agli avvocati e ai magistrati. Stiamo formando una giuristocrazia, pericolosa per i valori costituzionali e per la stessa indipendenza della magistratura. In realtà il governo delle liste in democrazia è dei partiti politici. E i cittadini non possono limitarsi a fare da spettatori. Devono avere la forza di esigere che i partiti rispondano delle scelte effettuate. La democrazia prevede che i cittadini siano attori; le dittature preferiscono che siano spettatori.
In verità un dominio sulle liste l’hanno avuto e l’hanno riempite di impresentabili.
Non so se le hanno “riempite”. Stiamo ragionando di pochi nomi che qualcuno ha fatto trapelare per ragioni di lotta politica, facendo un uso immorale della questione morale. Prima di dare giudizi, cerchiamo di acquisire i fatti. Comunque ormai da anni il tema di fondo delle elezioni non è governare, ma vincere. E viene candidato chi offre maggiori garanzie di vittoria. È una visione ludica, infantile della politica. Leggiamo di sei a uno, quattro a tre, sette a zero. Non è il tennis, sono le elezioni. Ma chi vince come governerà, con chi, per quali obbiettivi? Tutto oscuro. Ed è su questo che andrebbe fatta una riflessione seria, non sul giuridicismo d’accatto, ma sulle condizioni materiali nelle quali si svolge la nostra vita democratica.
Il Pd, sulle liste, dice: gli impresentabili sono nelle liste alleate, le nostre sono pulite. Non crede che sia un approccio auto-assolutorio? Voglio dire: tu proponi una coalizione di governo, quindi se un alleato ti mette un camorrista dentro gli dici: se vuoi allearti con me, devi fare le liste pulite sennò arrivederci.
Capisco le ragioni del tiro a bersaglio sul Pd che è il partito più rappresentativo. Ma, in linea di massima, ciascuno risponde delle proprie liste. Ed è difficile caricare su un partito le responsabilità degli altri partiti. Tuttavia se e quando c’è stata una discussione nella formazione della liste, è grave la responsabilità di chi ha accettato liste alleate con situazioni discutibili.
No, anche perché nel caso di De Luca non si capisce se è eleggibile o quando decade. Ma, con franchezza, questa storia non le pare un pasticcio di immani proporzioni.
Le rispondo così. È sempre un pasticcio quando le questioni politiche diventano giuridiche. Ora però bisogna essere onesti: De Luca ha una condanna non definitiva per una vicenda obbiettivamente di scarso rilievo; non si può certo paragonare a un camorrista o a un mafioso. Quando si è candidato c’era una certa giurisprudenza del Tar e solo ora è intervenuta la Cassazione. Torniamo sempre allo stesso punto: ci incartiamo sulle norme, ma la prima responsabilità è della politica.
Lei ha usato la parola decadenza, che evoca quasi le analisi dell’ultimo Berlinguer sui partiti.
Berlinguer, in altri tempi, parlava della diversità comunista. Io, più modestamente, sostengo che è venuta meno, nei partiti, la comunità politica, una forma di organizzazione e gestione di tipo orizzontale dove si discute, ci si confronta, si selezionano i temi da proporre al dibattitto pubblico. Oggi siamo arrivati a quella che chiamo la caporalizzazione dei partiti che, da strutture orizzontali e verticali, sono diventati solo verticali. E questi limiti si vedono tutti in questa campagna elettorale. Per superare la crisi attuale c’è bisogno di pensiero politico e di comunità politica.
Un’ultima domanda. Saviano ha detto che il governo non ha la lotta alla mafia come priorità. Lei che giudizio dà su questa affermazione?
Non mi pare sia stata sospesa la persecuzione dei mafiosi, gli arresti o le confische. È stata approvata la legge anti-corruzione. Perciò non mi pare condivisibile dire che questo governo non fa la lotta alla mafia. Tuttavia se Saviano, che io stimo, fosse più preciso, potremmo discutere in modo più rigoroso.