to dello spazio e del tempo in cui fa la sua comparsa» una
voce diretta sul culto di Cristo: quella di Paolo, appunto. La foto del
satellite è appannata, imprecisa, circostanza probabilmente inevitabile in un
approccio non storico, ne teologico, ma puramente letterario; e inoltre
ambiguamente confessionale, o postconfessionale: credente nella giovinezza, poi
ateo, poi di nuovo affascinato dal cristianesimo come dal buddismo, l'autore ha
fatto, scrive, la comunione tutti i giorni allo stesso modo in cui è andato
dall'analista due volte a settimana; durante il lavoro ha avuto un altro
prezioso consigliere, l'i Ching. Anche se a Carrère si può applicare quanto
scrive dei suoi contemporanei «orfani di ideali collettivi, ai quali è rimasto
l'io come unico punto di riferimento» — nel suo caso, l'ego —.
II regno è piaciuto a molti non solo perché ha una scrittura
simpatica, a volte spiritosa, altre volte anche intelligente (lo sono per
esempio la prima definizione di regno dei cieli e gli appunti sul volto di
Cristo), ma anche perché nomina alcuni grandi libri (le Origini del
Cristianesimo e la. Vita di Cristo di Ernest Renan, pazienza se la ritiene
«invecchiata male»; la Vita felice di Seneca; i Racconti di un pellegrino
russo) e soprattutto perché è utile il suo punto di partenza. Che cosa Cristo
abbia detto, non lo sappiamo. I Vangeli, cosiddetta parola del Signore, sono
testi bellissimi ( come sosteneva Oscar Wilde, vale la pena di imparare il
greco già solo per leggerli), ma tardi, con una tradizione scritta che non si
consolida prima di due o tre secoli dalla sua morte, a partire da raccolte di
detti più volte manipolati e mescolati. Sono più antichi gli Atti degli
apostoli, ma sempre non anteriori agli anni 80 del I secolo. Su Cristo, la
cosa più vicina a una testimonianza storica sono in effetti le lettere di
Paolo; anche se non sono ancora un'attestazione del cristianesimo come
religione distinta dall'ebraismo, che nasce solo nella seconda metà del II
secolo. Ed è solo nel IV-V che il canone evangelico si forma, escludendo per un
soffio testi della predicazione protocristiana come il Pastore di Erma o la
Lettera diBarnaba, interpretazioni vertiginose , allegoriche e visionarie
dell'ancora fluido magma di parabole, comandamenti, vaticini che si coagulerà
nei Vangeli. Li pubblica ora la Fondazione Valla in un volume che getta luce
sulla cosiddetta "sequela di Cristo* dei primi due secoli (Seguendo Gesù,
a cura di E. Prinzivalli e M. Simonetti, Fondazione Valla, pagg.680,euro 30).
Storicamente, Cristo è un punto minuscolo nel mare di parole
della letteratura antica: poche sillabe in Giuseppe Flavio, Tacito, Svetonio;
due righe della lettera di Plinio il Giovane a Traiano; l'accenno nel De morte
Peregrini di Luciano; frammenti del perduto Celso.
Un ebreo chiamato Yeoshua e soprannominato Christos,
l'"unto", calco dell'ebraico mashiah, "messia"; o forse di
nome Chrestos, in questo caso magari uno schiavo grecizzato; che si definì
"figlio dell'uomo"; un altro profeta, per le altre due religioni del
libro, che a quella cristiana somigliano abbastanza da comporre quasi un'unica
religione, che più volte politici e filosofi, come Nicola Cusano, hanno sognato
di riunire.
Cristo mori a trentatré anni, o forse a trentanove o a
quarantuno, crocifisso perché finito in conflitto, probabilmente involontario,
con l'autorità statale romana. Lo condannò Ponzio Pilato, governatore della
Giudea, prefettura della provincia romana di Siria, un funzionario
incompetente, crudele e corrotto secondo Filone d'Alessandria; forse, ma non
necessariamente, fiancheggiato da alcuni vertici religiosi ebraici di
Gerusalemme e da autorità politiche giudaiche come Erode Antipa. Ma le
narrazioni evangeliche della vicenda giudiziaria sono frutto
di un'interpolazione a posteriori, che ricorre alle scritture ebraiche per
alimentarne la dimensione profetica e l'implicazione escatologica; è più
affidabile, forse, quella extracanonica del Vangelo di Pietro uno dei magnifici
apocrifi riemersi alla fine dell'Ottocento. L'indagine sul processo di Cristo
ha ossessionato per millenni la cultura occidentale, ipnotizzato la poesia
celtica, la speculazione islamica e la filosofia tedesca, strappato milioni di
pagine alla ricerca storico-giuridica e prodotto nella modernità libri
memorabili come la già citata Vita si'Gesù di Renan. II Maestro e Margherita di
Bulgakov, Jesus Rex di Robert Graves. Fino a un'appartata autrice italiana.
Elena Bono, di cui sono ripubblicati in questi giorni, a un anno dalla morte,
alcuni racconti (La moglie del procuratore, Marietti, pagg. 208, euro 12; Morte
di Adamo, Breviario digitale, pagg. 812, euro8,80) in cui ricorre ostinata la
storia della Passione. Anche Bono è stata affascinata dall'oriente prima che
dal cristianesimo ma è ferrata in studi classici e teologici. La sua rêverie è
colta, i suoi personaggi sono Seneca, Lucano, Pisone, Petronio; lo scenario,
come per Macrobio, la Roma dei Saturnali. Anche qui c'è Paolo, «piccolo
reziario scattante», e c'è il non-volto di Cristo, umanità senza individualità;
anche qui si esita sulla resurrezione («una forma tipicamente orientale di
apoteosi») e la si ridefinisce filosóficamente come stato interiore (la
metamorfosi della protagonista, Claudia, vedova appunto di Filato) e condizione
psichica di partecipazione al dolore cosmico ( «soffro il mondo, le pene degli
altri» ) che appare ispirata, oltre che ai misteri pagani e alla mistica
cristiana, alla letteratura buddista. La dolorosa trance della matrona romana è
un'immersione nel profondo di sé che ricorda l'estasi esicasta, quella corrente
mistica transconfessionale che come un fiume carsico scorre sotterranea e
riemerge in epoche diverse nelle diverse zone del globo: in India e nel Tibet
come nell'Alessandria di Filone e delle sette platoniche elleniche o nel
deserto egiziano dei Padri, per riemergere nella scuola gnostica di Kenya, aitempi
di Rumi e del sincretismo tra sapienza cristiana, sufi ed ebraica, per
diffondersi nel monte Athos, nelle steppe mongole e nella Madre Russia dei
"pazzi in dio", fino ai Racconti di un pellegrino russo, il diario
ottocentesco che folgorò Tolstoj e che anche Carrère cita con devozione.
All'ancestrale tecnica della respirazione diaframmatica presupposta dalla
preghiera continua, cui si riferisce anche Paolo («pregate ininterrottamente»)
nella prima lettera ai Tessalonicesi, si ricollega forse il più oscuro dei
moniti evangelici, quello di Matteo 5.3: «Beati i poveri di spirito. È loro
infatti il regno dei cieli». Considerando la teoria mistica della respirazione,
si può intendere pneuma nel senso sacramentale, cioè lette rale, di
"alito": i poveri di spirito saranno allora i "poveri di
fiato", che attraverso l'espirazione hanno raggiunto il Regno, se è vero
che «il regno dei cicli è uno stato dell'anima», come scriveva già nel IV
secolo Evagrio Pontico, uno degli autori inclusi poi nella Filocalia. Quid est
ventas?, «checos'èla verità?», è la famosa domanda con cui Pilato ribatte, in
Giovanni 18.38, alla dichiarazione processuale di Cristo: «Chiunque è per la
verità ascolta la mia voce sulla verità». Secondo Bacone «il nobile disprezzo
di un romano davantiall'usosfacciatodellaparola verità ha arricchito il Nuovo
Testamento dell'unica frase che vi possieda valore». Sia Bono sia Carrère la
menzionano ampiamente, ma non ricordano la soluzione fornita in anagramma, si
dice, da Agostino: quid est veritas? = est vir qui adest, «è l'uomo che è
qui».
Il telo del Crocifisso che viene esposto ogni anno nella Chiesa Madre di Contessa Entellina |
Se il regno dei cieli non è un luogo ma una condizione psichica, non una
promessa futura ma una possibilità presente, il Regno è l'esserci, l'essere ora
e qui.
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