mercoledì 7 gennaio 2015

Una foto, una riflessione: Il futuro dell'Homo sapiens sapiens --3--

In precedenza abbiamo già vagliato, nei limiti in cui possiamo farlo in un Blog, il rapporto uomo-natura iniziando dalla concezione che gli antichi greci si fecero di esso e poi lungo i secoli fino all'umanesimo e poi all'Ottocento.
E' ormai sensazione diffusa che la pervasività tecnologica da una parte esaltà le potenzialità dell'essere umano, dall'altra sembra togliergli le coordinate naturali che erano certezza di radicamento.

Tecnologia ed evoluzione biologica
Nel secolo scorso (il Novecento) l'uomo non si è più visto nell'ottica natura/cultura ma in un nuovo binomio concettuale tra il biologico ed il tecnologico. In pratica dopo secoli di predominio si è visto vacillare il binomio di origine umanistica, quell'idea statica e separativa tra ontologia umana e tecnica. A perdere spazio è stata la visione della "tecnica" di complemento all'insufficienza dell'uomo (stampella al corredo organico) insieme all'emergere in natura di interventi selettivi.
Cn lo sviluppo tecnologico più recente è apparso chiaro ed evidente che l'Homo sapiens sapiens è egli stesso sottoposto alla selezione naturale attraverso la cultura e l'esercizio tecnologico. L'uomo tenta ormai di modificare il contesto selettivo cui è sottoposto in virtù degli slittamenti performativi che l'emergenza tecnologica gli sta creando. Il supporto tecnologico, in pratica, sta modificando il sostrato biologico dell'uomo. 

La tecnologia continua a restare esterna all'uomo però si iscrive (... si incarna) e modifica la pressione selettiva dell'essere umano e nel lungo periodo modifica l'insieme genetico della specie.
L'antica sensazione dell'uomo di essere incompleto, adesso si sviluppa tra paragone di una performatività di più alto profilo, resa possibile dalla mediazione tecnica, e la prestazione eseguibile in totale autarchia. 
La tecnica non è più stampella ma fonte di grandi performatività.

L'antica incompletezza oggi viene percepita non come condizione originale dell'uomo, ma come carenza percepita e la tecnica non è una carenza percepita a priori ma complementare all'insufficienza biologica, che consente nuovi livelli performativi.
Non una stampella chiamata a supplire l'incompletezza dell'uomo ma è enucleabile, essa stessa (la tecnica), dai supporti culturali dell'uomo.

Stando così le cose, l'uomo non può spogliarsi dei supporti culturali e tecnici senza perdere di umanità, nè può aspirare ad essere misura del mondo o a ritenersi al centro dell'universo.
E' caduto il mito della "purezza esistenzialistica dell'uomo" (realtà autocontenuta).
La tecnica è essa divenuta motore di autocontaminazione ed essa stessa, di volta in volta, altera in profondità il concetto di "umanità". L'uomo continua ad essere uomo nella misura in cui sa contaminarsi con le alterità non umane: siano animali che tecnologiche.

L'uomo ha ormai raggiunto una dimensione ibrida: eccentrico da un lato e aperto ad un nuovo divenire ontologico, di nuova umanità.

Se il quadro è questo, è chiaro che serve un nuovo umanesimo.
I progressi effettuati nel campo della robotica, a causa della loro frequente ispirazione
 “naturale”, ci hanno abituati a vedere 
droni e robot le cui forme e movimenti
 riproducono quelli dei più disparati 
animali. Si tratta di automi che sostituiscono
in pieno l'essere umano. Ricevono ordini in linguaggi complessi, orientato al compito ad essi affidati (si pensi ai droni che conducono la guerra all'Isis in Medio Oriente),
trasformare autonomamente gli ordini in un precisa
e particolareggiata sequenza di istruzioni ed eseguire le relative
operazioni.

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