Corriere della Sera del 3 novembre 2014
L’assurda amnesia sulla storia socialista
di Pierluigi Battista
Damnatio memoriae forse è troppo, ma questa cancellazione di ogni sia pur minimo frammento che ricordi la tradizione socialista italiana, questo annichilimento persino lessicale, questa sparizione assoluta di un pezzo importante della nostra storia, come vogliamo definirla? Se persino un «post» assoluto come Matteo Renzi, uno che con la tradizione comunista non ha niente a che fare e anzi sta smantellando ogni traccia residuale di ideologismo di marca comunista, se persino lui, senza nemmeno avvedersene, schiaccia tutta la storia della sinistra italiana come emanazione del Pci, che segno è? Dice Renzi che la sinistra nemmeno votò a favore dello Statuto dei lavoratori con l’articolo 18. Ma come, lo Statuto dei lavoratori è stato fatto dalla sinistra, quella socialista. Il padre dello Statuto è stato un socialista, Giacomo Brodolini e il suo ispiratore un grande giuslavorista socialista, Gino Giugni. E invece passa l’idea che la «sinistra» sia stata contro. Il socialismo espulso dalla storia e dalla sinistra. Una dimenticanza. Ma molto eloquente.L’assurda amnesia sulla storia socialista
di Pierluigi Battista
Fa bene sul Foglio Guido Vitiello a menzionare, con ironia e conservando il senso delle proporzioni, qualche precedente. Come le «mani di Karl Radek che continuavano a dimenarsi, staccate dal corpo del loro proprietario, nel filmato di un congresso della Terza Internazionale»: Stalin voleva azzerare ogni traccia del dirigente bolscevico caduto in disgrazia, ma quel particolare delle mani gli era sfuggito. Oppure le tre versioni nelle fotografie della Rivoluzione cubana. «La prima con Castro che parla animatamente accanto a Carlos Franqui e ad Enrique Mendoza» nella terza, strappati via i dissidenti Franqui e Mendoza solo Castro che parla come uno squilibrato. Ma sulla cancellazione della storia socialista nessun Commissariato degli archivi , come si intitola uno splendido libro di Alain Jaubert, provvede a distruggere i reperti scomodi del passato, come accade negli Stati totalitari. Qui è solo il trionfo del più vieto luogo comune, l’incapacità di capire, secondo gli stereotipi del senso comune, quanto sia stato importante il riformismo socialista nella storia italiana fino a Bettino Craxi, anzi soprattutto con l’accelerazione modernizzatrice impressa da Craxi, mentre il Pci ancora non aveva spezzato il legame di ferro con le mitologie del comunismo realizzato. Un luogo comune così pervasivo da sfiorare persino un campione della politica post-ideologica come Renzi.
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