Al grido «i diritti acquisiti non si toccano!», gli ex consiglieri
regionali che ogni mese incassano i vitalizi, hanno dissotterrato l’ascia di
guerra. La valanga dei ricorsi per sommergere ogni tentativo di limitare certi
trattamenti ormai scandalosi e inaccettabili, per un Paese incapace di crescere
e devastato dalla disoccupazione, non si arresta.
....
In ogni Regione esiste un’associazione degli ex consiglieri, che non si mantiene soltanto con le quote dei soci, ma pure con i contributi dei consigli regionali a cui vorrebbero fare causa nel caso di «attacco ai diritti acquisiti». E che oltre ai soldi mettono a disposizione di quelle associazioni strutture, spazi e personale. Un esempio per tutti? L’associazione degli ex consiglieri del Lazio che tuonano contro la legge appena approvata ha avuto a dicembre 2013 l’ultimo contributo di 10 mila euro, e occupa attualmente alcuni locali negli uffici che ospitano il centro studi Arturo Carlo Jemolo della Regione. Con tanto di segretaria: dipendente e ovviamente stipendiata dal consiglio regionale.
PAOLO CONTI, giornalista
Proviamo a mettere da parte per una volta valutazioni politiche, o
logiche banali (questo è un ragionamento né renziano né antirenziano). Il punto
è uno solo. Viviamo tutti le conseguenze di una revisione generale della spesa
pubblica. Le famiglie stringono la cinghia in senso non metaforico, rinunciando
non ai lussi, ma spesso al necessario. I tagli coinvolgono persino un diritto
fondamentale come la sanità pubblica, provocando la chiusura di ospedali
importanti per molti territori. La Rai può fare eccezione? Può la tv pubblica,
sostenuta per metà dei suoi introiti da un canone faticosamente pagato proprio
dalla popolazione colpita dai recenti provvedimenti del governo, sottrarsi a un
contributo chiesto all’intera collettività? Perché mai un’azienda che ha nel
ministero dell’Economia (la «centrale» della spending review ) il proprio
azionista dovrebbe rappresentare una clamorosa anomalia e ritagliarsi uno
spazio di privilegio rispetto ad altre realtà pubbliche?
ANTONIO POLITO, direttore del Corriere del Mezzogiorno
Matteo Renzi ha molti meriti che gli resteranno, comunque finisca la sua
avventura politica. Ha mandato a casa una generazione di capi della sinistra
mai veramente uscita dalla cultura del Pci, ha ringiovanito drasticamente e
reso più femminile il governo, ha ristabilito il primato del consenso
democratico dopo una stagione di paralisi e di soluzioni tecniche. Che cosa è
allora che genera ancora diffidenza in lui da parte di molti che pure hanno
sempre auspicato una tale svolta?
...
... L’ idea
di Renzi sembra essere che l’Italia, altrimenti grande Paese in grado di
«guidare l’Europa», soffra esclusivamente per il fatto di essere stata rovinata
da una élite incapace, vecchia e da cambiare. Che ci sia insomma un possibile
capro espiatorio, sacrificato il quale si possa riprendere il cammino della
dolce vita italiana, fatta di stile, bellezza e furbizia. Naturalmente l’errore
non sta nel fatto che la nostra élite è effettivamente vecchia e da cambiare;
sta nel lasciar credere agli italiani che non ne fanno parte che le cose siano
così facili, e che loro non vi abbiano nessuna colpa e dunque nessuna necessità
di cambiare. Esattamente ciò che vogliono sentirsi dire.
Dalla bocca di Renzi si sono
sentite in questi mesi molte e
dure invettive contro i politici da rottamare, contro i burocrati, contro i
sindacati, contro i magistrati, contro i salotti buoni, contro il club delle
tartine, contro Cernobbio e contro Bruxelles. Ma pochi ragionamenti su come
intervenire nel profondo sul fenomeno dell’evasione fiscale, del sistema degli
incentivi alle imprese, sui mercati chiusi dalle corporazioni professionali,
sul sistema del socialismo municipale e delle migliaia di società partecipate,
sui cacicchi locali che, anche nel suo partito, drenano risorse pubbliche solo
per auto-riprodursi.
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