mercoledì 22 ottobre 2014

Hanno detto ... ...

RENATO ACCORINTI, sindaco di Messina
«In questo palazzo c'era puzza di mafia e continua a esserci» (ndr. riferimento al Palazzo dei Normanni)

STEFANO MENICHINI, direttore di Europa-Quotidiano
E oggi? Oggi che, forse più per demerito altrui che per meriti propri, arriva a sinistra un nuovo gruppo dirigente capace di capovolgere questo destino, e di ritrovare l’attenzione e il consenso di lavoratori, giovani, donne, di voti e di persone in carne e ossa dati per dispersi, ecco che gli italiani di cui si piangeva la lontananza diventano tutti «rimbambiti» affamati di «paccottiglia». Lo erano prima quando votavano Forza Italia, lo sono adesso che votano Pd.
È con questo vezzo profondamente elitista che Padellaro, e altri come lui, si pongono in attesa della manifestazione della Cgil di sabato affidando a Susanna Camusso la missione salvifica di dare voce, volto e forza agli italiani che non si bevono le promesse di Renzi e in quanto tali sono gli unici meritevoli di appoggio e simpatia.
Capitò già a Sergio Cofferati, un destino del genere. Si sa come andò a finire. Perché fatalmente non può che finire male, quando si pretende dal sindacato (anzi, da un sindacato) di svolgere un ruolo tutto politico e perfino morale che non è il suo. Per di più schiacciandolo contro il suo più grande limite: l’essere appunto rappresentante di una parte sola del mondo del lavoro, neanche maggioritaria. E quindi accettare di mettere in piazza una divisione tra italiani intelligenti e per bene, e italiani scemi ed evasori: esattamente il racconto dal quale la Cgil, per il proprio bene, dovrebbe fuggire.


MICHELE AINIS, editorialista del Corriere della Sera
L’ inefficienza. Declino economico, degrado etico. C’è un nesso? Certo: la corruzione drena risorse, come l’evasione fiscale. Non a caso perTransparency International siamo terzultimi in Europa, quanto al tasso di legalità. Ma la questione non coinvolge solo il codice penale, travolge pure il codice morale. Quello scolpito dai rivoluzionari francesi, due secoli fa, nell’articolo 6 della Déclaration: «I cittadini sono ugualmente ammissibili a tutti gli incarichi e impieghi pubblici, senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti». Ecco, i talenti. Quanto contano in Italia le qualità professionali, le competenze, le esperienze? Ben poco, a giudicare dall’ultima vicenda: un dirigente genovese rinviato a giudizio per inondazione colposa, e al contempo premiato dal Comune. O la penultima: una signora eletta al Csm senza averne i titoli. Ma i titoli vanno a rotoli, quando succede che il bando per la direzione del Museo egizio di Torino non menzioni l’egittologia fra le conoscenze richieste ai candidati, o quando la gestione di Pompei venga sottratta agli archeologi, come ha denunziato Salvatore Settis. D’altronde chi decide è la politica, ed è l’unica decisione tempestiva: una nomina ogni 4 giorni per il governatore siciliano Crocetta, nei primi due anni di mandato. Mentre il suo collega Maroni ha designato un esperto d’antifurti alla presidenza di Lombardia Informatica. 

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