lunedì 24 febbraio 2014

Contessa Entellina nei suoi dintorni e nel suo maggior tempio .... ... di Calogero Raviotta

 Premessa
Dopo il testo di mons. Enrico Galbiati (12.02.14), dedicato alle testimonianze storiche, religiose e culturali di Contessa, propongo all'attenzione dei lettori del blog un altro splendido testo, scritto dall’avv. Raimondo Piazza di Mussomeli, dopo un breve soggiorno a Contessa, ospite della sorella Serafina Piazza, per parecchi anni titolare dell'incarico comunale di levatrice.
I due noti studiosi e intellettuali "non contessioti" autori dei testi, descrivono magnificamente e con grande ammirazione storia, territorio e patrimonio culturale di Contessa, dimostrando, una profonda sensibilità ed un grande interesse per la peculiare identità culturale del nostro paese natio, che noi contessioti a volte non riusciamo a cogliere e testimoniare. Per questa  motivazione,  i due testi, per lo stile e  per il contenuto, costituiscono uno stimolo per essere letti ed un contributo per meglio conoscere Contessa Entellina.
 Il testo "Contessa Entellina nei suoi dintorni e nel suo maggior tempio" dell'avv. Piazza, di seguito riportato tra virgolette, fu pubblicato dal quotidiano di Palermo L'ORA.

“Ponendo piede in Contessa Entellina, quel paese che sembra avergli dato la Natura tutta la sua bellezza e tutto il suo fascino, ci trasportiamo con la nostra fantasia ad otto chilometri circa da quest’abitato sopra la sommità di un monte, relativamente pianeggiante, ove vuolsi sorgesse Entella, quella città che oggi soltanto vive in una  storia nebulosa e che diede a Contessa il suo orgoglioso attributo.
Delle rupi inaccessibili precingono quel monte come tante amazzoni alla sua difesa, consentendo solo da una parte, cioè a Nord, la salita su quella sommità, oggi museo  di quelle preziose vestigia a cui é volta il cielo e pareti i più vasti orizzonti. Dei cocci di terracotta, delle colonne spezzate, tutto dice di una grandezza passata, di una potenza tramontata dei secoli.
La storia, nei suoi barlumi di verità e di leggenda, attribuisce la fondazione di Entella ai Troiani, ossia agli Elimi, quella gente che venne in Sicilia con Egesto, ed Elimo, dopo l’eccidio di Troia, e che si stabilì nella parte occidentale dell’Isola. Il Natoli, nel suo recente volume “Storia di Sicilia”, ci porta nella città di Entella fino al 1062  d. C.
Nel 397 a. C., Diogene, nel decretare la guerra contro Cartagine, sottomise Entella, portando il grosso del suo esercito sotto quelle mura. Nel 345 a. C., venne questa città assediata dai Cartaginesi e allorché passò sotto la dominazione di Roma, fu una città decumana, come Agrigento, Gela, Enna, Solunto, Apollonia, Assaro ed altre ancora.
Fra le mura che recinsero quella città non poteva non sorgere un tempio a Venere, la dea per cui gli Elimi ebbero un culto più grande, la venerazione più profonda.
Come ad Erice, così ad Entella ebbe Venere delle feste, come dice il Di Blasi. Ebbero pure il lato abominevole, per le laidezze che si commettevano da quelle donzelle addette al sacrificio di Venere. Ebbero pure in quelle città il loro culto e delle feste, che eccelsero per il loro tripudio, Cerere e Proserpina.
I dintorni di Contessa Entellina hanno tutto l’incanto di un bacio generoso della natura.
Dalla cima del monte sulle cui pendici Contessa si arrampica con le sue candide case, noi scorgiamo il più affascinante panorama, che vasto ed ondeggiante si estende con le sue vallate e i suoi monti. Si vedono disseminati, in questo orizzonte, Gibellina, Roccamena, Campofiorito e Realmonte. Come una inaccessibile fortezza, il convento e la chiesa della Madonna del Balzo stanno attaccati al dorso del Monte Triona; mentre sorride, con il suo verde, l’altura della Madonna del Bosco, sovrastata dalla chiesa e dalla vecchia Abbazia.
Dalle prime case di Contessa Entellina, fino laggiù ad un burrone, é tutto un tappeto di una lussureggiante vegetazione, frammezzata da dominanti pini: é questa la contrada Musiche che sprigiona tante melodie, simile al canto di mille e mille uccelli, che si diparte da quel verde per echeggiare in tutta la sua dolcezza nella quiete dell’abitato.
Ritornando dopo appena un anno a Contessa, noi troviamo il suo maggior tempio, che lasciammo nell’ultima nostra visita nel fervore dei restauri, palpitante nel culto, splendente nelle sue decorazioni. Il candore dei suoi stucchi, il ritocco delle sue pitture murali, l’artistico altare bizantino, che ha ridato a quel tempio il suo vero aspetto di chiesa greco-bizantina, il luccichio dei marmi, tutto ci porta a rendere omaggio a tre munifici cittadini di Contessa, i fratelli Giuseppe, Felice e Luca Vaccaro, di questi ora soltanto i primi due viventi, che hanno dimostrato con le più generose elargizioni come si ama il proprio paese natio, benché da tanti anni loro si trovino nella lontana America.
Quando quel tempio, nel 1924, minacciava rovina e le sue condizioni statiche rappresentavano un continuo pericolo,  una Commissione di contessioti si costituì pure in America, per raccogliere i fondi necessari per i restauri al primo tempio del luogo, tanto caro al proprio cuore. Sentì questa Commissione il bisogno di chiedere il suo obolo ai tre fratelli, conoscendo le loro floridissime condizioni economiche; ma grande fu la sorpresa, quando questi tre contessioti proibirono qualsiasi raccolta, assumendo loro la spesa non indifferente di tutti i restauri della Madre Chiesa del loro paese natio. Più di L.300.000 hanno rimesso sin oggi e in varie riprese, quei generosi figli di Contessa ed oggi quel tempio é della loro munificenza e del loro sentimento di patria il più grande e splendido monumento.
Nell’attività del culto nulla fa difetto in quella chiesa. Il parroco papas Michele Lo Iacono, alla sua profonda cultura accoppia pure una fattività mirabile, una dedizione completa a quel tempio, che sa di tante sue fatiche, acciocché potesse quel sacro luogo essere la suprema espressione di quel rito elevato da Papa Pio XI alla sua antica dignità.

Noi, lasciando Contessa, portiamo di questa colonia albanese il fascino del suo sorriso, il ricordo più bello di un tempio, dovuto alla immensa generosità dei fratelli Vaccaro.”

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