lunedì 11 novembre 2013
Frammenti delle prime pagine; dal libro "Ricordati di vivere" di Claudio Martelli, ed. Bompiani
--1) Se mi decido a scrivere non e' per rivendicare meriti e riscattare torti, non sono spinto da risentimenti e neppure da nostalgia, anche perche', se guardo indietro, piu' di quello che abbiamo compiuto vedo quello che avremmo dovuto fate.
--2) ...e voglio parlare alla moltitudine sconosciuta cui e' stata rubata la memoria, perche' un conto e' dire che il passato e' passato, ma fare come se non fosse mai esistito e' il modo piu' sicuro di restarne prigionieri.
A tutti racconto una storia recente, vicina, la nostra giovinezza politica, l'epopea laica e socialista che per dieci anni tenne in scacco le due chiese italiane, il dolore e il perche' del suo schianto.
--3) la politica si occupa di responsabilita', dunque delle conseguenze delle scelte e degli atti che compiamo. Il processo alle intenzioni non la riguarda. Senonche', un approccio cosi' protocollare si adatta bene ai manualetti per studenti svogliati, puo' aiutarci a concatenare e memorizzare gli eventi uno dopo l'altro, ma davvero non basta a comprendere il contesto e perche' gli autori di una storia abbiano agito in un modo anziche' in un altro.
--4) ...quando il gioco dialettico si fa duro, quando si scatena la polemica, il rischio molto concreto e' che a soccombere insieme con l'obiettivita' e l'onesta' intellettuale, sia la verita', la sua ricerca scrupolosa. E' sempre stato cosi' ed e' cosi' anche oggi. Se la storia la scrivono i vincitori e' perche' la verita' storica diventa anch'essa materia di potenza, scontro in cui prevale non chi dice il vero bensi' chi ha piu' potere e autorita'. O piu' mezzi di persuasione, palesi e occulti.
--5) ... La verita' non si mette ai voti, e quando lo si fa, spesso soccombe, perche' molti non hanno gli occhi per vederla eppure tutti si sentono giudici e vogliono sentenziare senza mai riconoscere le colpe e gli errori propri. Anche questa storia appartiene alla biblioteca di 'polemos', potente come un dio. Sebbene, da giovani, predicassimo "facciamo l'amore non la guerra" emalgrado io continui a pensare che sia la scelta migliore, bisogna ammettere che non e' cosi' semplice e, comunque, anche in questa storia le cose sono andate come sempre: senza pace tra amore e guerra.
--6) tutti sanno, nessuno ricorda. Il nostro passato prossimo, perlopiu', viene diseppellito ed evocato o per convenzione o per polemiche di giornata. Ma noi siamo il nostro passato -al netto della contemporaneita'- e il nostro passato prossimo e' la Prima Repubblica, per chi c'era e per tutti, anche per chi ha appena vent'anni e non l'ha vissuta ma ereditata.
Il mio racconto comincia nei favolosi anni sessanta e in una Milano cosi' aperta, laboriosa e cantabile da sembrare quasi Londra. Comincia in un liceo 'middle class' senza ricchi ne' poveri, con professori veri, cioe' esigenti, e allievi inquieti eppure ancora disciplinati; comincia con gli amici, le ragazze, la musica e uno stare insieme che cercava le sue bandiere nell'attualita' rinnovatrice, irriverente, ma anche negli esempi dei nostri grandi e in quelli internazionali, nelle tradizioni, nei libri, nei film, a teatro, dentro una societa' appena secolarizzata e una politica molto ideologizzata.
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