venerdì 23 agosto 2013

Il debito pubblico italiano cresce, Enrico Letta non si accorge

Interessante articolo di Stefano Feltri sul Fatto-Quotidiano
Ci siamo dimenticati il debito pubblico. Certo, sappiamo che ha superato il 130 per cento del Pil e i 2 mila miliardi di euro, ma nessuno discute di che fare quando nel 2014 scatteranno i vincoli del Fiscal Compact che ci impongono di ridurre ogni anno la quota in eccesso di una cinquantina di miliardi. La sostenibilità del debito, cioè la capacità dell’Italia di gestire la sua zavorra, sarà misurata anche da quanto zelo metterà nella riduzione.
 
Niente taglio, penseranno i mercati, significa debito fuori controllo. E lo spread basso, a 230 punti, non deve illudere: i rendimenti dei titoli di Stato incorporano le aspettative sull’azione della Bce, sono dopati al ribasso dalle promesse di intervento di Draghi (e nel caso dell’Italia pesa anche il fatto che gran parte dei Btp in mani straniere sono tornati in portafogli italiani, soprattutto di banche, che non venderanno mai in massa e all’improvviso). Due importanti economisti, Pierre Paris e Charles Wyplosz, sul Voxeu.org hanno scritto che la vera misura della salute di un Paese è l’andamento del rapporto del debito rispetto al Pil, più che lo spread: quello dell’Italia non è incoraggiante (il debito cresce anche quando cala il deficit).
 
Se ammettiamo – cosa che i politici non fanno – che la situazione è peggiore di due anni fa, perché i debiti sono sempre più alti e dunque pericolosi e costosi, che possiamo fare? Il dibattito europeo si è paralizzato in attesa delle elezioni tedesche del 22 settembre, nell’illusione che al terzo mandato, Angela Merkel si comporti diversamente che nei primi due. Chissà. L’avanzo primario è la via tedesca alla riduzione del debito: lo Stato deve spendere meno di quanto incassa, quello dell’Italia sarà enorme, oltre il 5 per cento del Pil. Ma dal conto sono esclusi gli interessi sul debito: nonostante il nostro avanzo primario, il debito continuerà ad aumentare perché paghiamo oltre 80 miliardi di interessi.

Ci sono le privatizzazioni come scorciatoia: l’Italia ha una delle percentuali europee più basse di asset pubblici sul Pil, il 27,3 per cento contro il 39,6 della Francia, il 45,1 del Portogallo, il 29,3 della Spagna. È rimasto poco da collocare sul mercato. La svendita di Ferrovie e Finmeccanica sarebbe un’aspirina con tanti effetti collaterali. Si può scaricare il debito sui fondi europei salva Stati? L’Esm ha circa 500 miliardi, i Paesi mediterranei hanno debiti per 4.710. Troppi. Si potrebbe forse riproporre il metodo del “club di Parigi”, il perdono reciproco di quote di debito. Ma il trasferimento di ricchezza sarebbe esagerato. Pierre Paris e Charles Wyplosz su Voxeu dicono che l’unica via sarebbe trasferire i debiti pubblici sul bilancio della Bce. Opzione impossibile, per ora.
E l’Italia sceglie quindi la strategia dello struzzo. Ma a rimanere troppo sotto la sabbia si muore soffocati.

Nessun commento:

Posta un commento