venerdì 22 febbraio 2013

La Liturgia pontificale bizantina. (n. 3)

La grande intuizione dell’Oriente Cristiano:
“Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio”
Dio continua sempre a cercare l’uomo “malato” -che a causa di questa sua condizione con frequenza perde la via-. Ancora oggi lo fa nella liturgia celebrata dalla Chiesa. Liturgia che rievoca il disegno messo in atto dal Creatore a beneficio dell’uomo smarritosi.
Non c’è dubbio alcuno che la Liturgia presuppone da parte del fedele il possesso della Fede; il fedele deve essere intenzionato a rinunziare all’egoismo per potere riconoscere nel viso del prossimo il fratello che verosimilmente, per egoismo, è stato finora continuamente privato o addirittura derubato di qualcosa,  magari di un semplice sorriso.
Non v’è dubbio inoltre che colui che per la prima volta partecipa alla Liturgia bizantina si trova di fronte ad una serie di atti misteriosi. Il primo impatto lo si ha con i canti che devono essere ben curati per poter trasmettere una bellezza sconosciuta e devono poter affascinare. Altro impatto che il visitatore si ritrova immediatamente è quello dell’altare che non è facilmente visibile.
Il rito sin da subito trasmette il senso del mistero e si presenta con carattere lento e con la sensazione di volersi -in un alone di grande magnificenza- eccessivamente prolungare.
Il senso complessivo comunque è uno: nel corso della Liturgia deve potere avvenire l’incontro tra Dio e l’umanità, il Cielo e la Terra devono potersi congiungere. E’ questo quindi il fine (la missione) della Chiesa, quello di far scoprire all’uomo la bellezza, di farlo sentire bene e farlo gioire nella convinzione di aver superato la malattia dell’egoismo e di avere avuto parte –pertanto- dell’Indescrivibile, del Dio filantropo, amico degli uomini, sempre –nonostante tutto-  proteso a cercare l’uomo ammalato, guarirlo e associarlo a sé per andare incontro ad altri fratelli in condizioni di bisogno.
Nient’altro compete alla Chiesa. Se queste cose le dicessimo, le ricordassimo ad un Cardinale che siede nel Consiglio di Vigilanza dello Ior con assoluta certezza ci guarderebbe con l’occhio di chi non può perdere tempo con simili sciocchezze e chiamerebbe le guardie svizzere per farci scaraventare giù per le scale dei sacri palazzi. L’esercizio del potere, la frequentazione col denaro esaspera infatti in chiunque la malattia dell’egoismo.
Ogni volta che si imbatta in sacerdoti sovraccarichi di impegni, di preoccupazioni, di appuntamenti e distrazioni o in fedeli inconsapevoli che perdono di vista la ragione di essere della Chiesa (curare la malattia: l’egoismo)  ed il fine (incontro col divino) la celebrazione non diventa altro che spettacolo, folklore.
 
Se nella Liturgia si vuole leggere, leggere nel senso di percepire e comprendere, su quanto il divino ha fatto nel corso del tempo per recuperare l’uomo malato (di egoismo) occorre disporre –lo abbiamo già detto- della Fede che nelle chiese bizantine viene trasmessa senza alterazioni o innovazioni, sempre la stessa, dal periodo apostolico.
La Fede bisogna possederla, o quanto meno cercarla, inseguirla. Contrariamente lo stare in Chiesa ad assistere alla celebrazione della Liturgia potrebbe diventare manifestazione di ipocrisia.
Alcuni autori bizantini identificano la Chiesa ad un Ospedale dove si va per essere curati dall’egoismo. Chi ritiene di esserne invischiato (e dovremmo essere tutti gli esseri umani) dovrebbe tentare di liberarsene, cercare la Chiesa.
Solo chi crede, chi ha Fede,  nel corso della Liturgia riesce a vedere  ciò che agli altri resta invisibile. Lo dice San Giovanni Crisostomo. Chi poi nel corso della Liturgia ha visto riesce a capire perché essa è un dono, eucarestia, ringraziamento. Ha avuto infatti la possibilità di  immergersi  in qualcosa di nuovo, Dio tutto si è donato a lui.
Chi arriva alla condizione di vedere non avrà più bisogno di altro, solo di quelle visioni avrà bisogno.
LEGGERE:
La liturgia pontificale bizantina. (n. 1)
La liturgia pontificale bizantina (n. 2)

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