martedì 7 agosto 2012

Legge elettorale. Si fa presto a dire "democrazia" -II-

Abbiamo evidenziato come la riforma elettorale del 1882 aveva allargato il diritto elettorale ad una iniziale fetta della classe operaia, concentrata prevalentemente –se non esclusivamente- nelle città del Nord. 
La nuova legge sostituiva il “sistema fondato esclusivamente sul censo” col quello basato oltre che sul censo sulla “capacità” formativa (sapere leggere e scrivere). Abbiamo inoltre evidenziato come attraverso la nuova legge trovano spazio nel Parlamento le forze che hanno propositi “innovativi” rispetto alla società liberale vigente. Vengono eletti deputati che i resoconti parlamentari definiscono dell’Estrema; si tratta di un pugno di repubblicani che vogliono sostituire il regime dei Savoia con una Repubblica (mazziniana) e pongono all'attenzione della gente la questione istituzionale,  ed un paio di socialisti che invece vogliono apportare correttivi alla società borghese, vogliono porre in primo piano nella vicenda della Nazione la questione sociale.
In poche parole quella legge consenti  l’immissione nell’arena politica di ceti della società fino ad allora esclusi dalla vita politica attiva.
Al di là della limitata rappresentanza portata in Parlamento da queste formazioni dell'Estrema si trattò di una svolta che rimescolò le carte: operai ed artigiani non erano più solamento oggetto di manovra dei potenti ma facevano arrivare mediante la pattuglia dell’Estrema direttamente in Parlamento la loro voce.
Anche con questa nuova legge elettorale l’Italia di fine Ottocento continuava comunque  a restare una Italia politica ristretta. Possiamo solo dire che la maglia era stata tuttavia aperta e le forze che si sentirono minacciate dal nuovo che covava, non tanto in Parlamento quanto nella società, tentarono inutilmente di tornare indietro, inutilmente.
La politica crispina era sicuramente liberale, ma era frutto di una classe politica che aveva dedicato la propria vita a costruire uno stato, una Italia unica e tendenzialmente stabile e forte.
Le forze che attorno allo statista siculo-arbereshe si coagulano puntarono ad
-una politica protezionista sul piano commerciale,
-imposizione dell’autorità  centrale dello Stato al fine di sopprimere qualsiasi potenziale contestativo della società civile.
L’intero periodo crispino –culminato fra il 1887 ed il 1896- è spesso definito “democratico-autoritario”. Il Crispi ribelle, garibaldino, al momento di reggere in prima persona il timone dello stato è in verità un Crispi alla Bismarck, un Crispi bonapartista. Egli riuscì a centralizzare lo Stato ma non portò a compimento nessuno dei programmi socio-economici dell’antica  formazione garibaldina. Il fallimento crispino dell’antica vocazione garibaldina lo si coglie nella mancata riforma agraria in Sicilia nel ’1893-94 -quando il movimento socialista dei “fasci siciliani” spinge per l’abolizione del latifondo-. La vicenda repressiva del Movimento dei Fasci Siciliani mostra per intero l’inconsistenza del progressismo di Crispi.
Il Crispi liberale di Sinistra, quando raggiunge i vertici dello Stato, in realtà non fa altro, mediante il processo di accentramento del potere statuale, che perfezionare quanto la Destra storica, la destra liberale aveva avviato nei primi anni dell’Unità.

La vicenda di Crispi, da progressista a quasi reazionario, che sarà seguita da tantissimi uomini politici del Novecento e del Terzo Millennio.

Benefici effetti della legge elettorale del 1882
Fino ad allora, al 1882, la classe dirigente del paese apparteneva esclusivamente all’aristocrazia, ai proprietari latifondisti. La loro egemonia sulla società era garantito dalla coincidenza perfetta che esisteva fra  società civile da loro plasmata e società politica a cui solo loro accedevano.
Il nuovo criterio elettorale (criterio meritocratico dell’istruzione) spostò il meccanismo di selezione della classe politica. Non era più sufficiente il possesso della terra ma bastava la qualificazione professionale propria, personale.
Non è cosa da poco.
A Contessa Entellina fino al 1882 gli elettori erano solamente i grossi proprietari terrieri latifondisti che avevano potuto comprare i feudi  del grande “fallimento” della famiglia Gioeni, quando nel 1812 (ed anni seguenti) l’intero territorio comunale fu preda di acquisti e divisioni. Divisioni comunque limitate a pochi ambienti sociali. Da quell'antico fallimento a giovarsi -a Contessa- furono le famiglie Genovese, LoJacono e poche altre.
Nel referendum istituzionale del 1860 (annessione ai Savoia) a Contessa su una popolazione di 3.500 abitanti votarono un centinaio di elettori, tutti –o quasi- proprietari (pseudo baroni  xx, baroni yy) residenti a Palermo che si erano immessi -già in epoca borbonica- nella proprietà dell’antico dominio dei Cardona-Colonna-Gioeni.
Dopo la legge 1882 a Contessa, ma in tutto il Meridione accade il medesimo fenomeno, si assiste al sia pure lento declino dell’antico e storico ceto baronale.
Le famiglie “civili”  degli ex-domini baronali che fino ad allora erano state l’anello di congiunzione fra il feudo (Vaccarizzo, soprattutto da noi) e la comunità locale su cui coltivavano l'ascendente,  avevano infatti posto per secoli  la loro istruzione e credibilità al servizio dei Gioeni-Mortillano-Pecoraro capiscono che mediante la possibilità di "esprimere il voto" possiedono una forza straordinaria e possono anche non votare per gli antichi feudatari-latifondisti, da cui da secoli si sentivano imbrigliati.
Queste poche famiglie -istruite- di Contessa Entellina cominciano a votare infatti per personaggi quali Finocchiaro Aprile ed altri esponenti  (spesso legati alla mafia) e non sempre per i baroni di un tempo.  
A questo punto accade qualcosa di non previsto dall'antica classe liberal-agraria.
I nuovi parlamentari non di estrazione baronale nel tempo cominciano a divenire “ceto professionale”, gente che vive di politica, di intrecci di potere, di saccheggio alle banche (che con  frequenza falliscono).
Si, la legge del 1882 non estese il voto a tutti gli italiani maggiorenni, ma fu avvio per il passaggio dalla “casta dei baroni” alla “casta dei scilipoti”.
(Continua)

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