martedì 18 ottobre 2011

Leggiamo insieme il libro di Anton Blok su Contessa Entellina dalla metà del XIX al XX secolo

Proseguiamo la lettura del libro scritto dall'antropologo olandese Anton BLOK "La mafia in un villagio della Sicilia Occidentale", pubblicato in Italia in prima  edizione da Einaudi e successivamente dalle Edizioni di Comunità.
Quanto riportiamo sul Blog è solamente una libera interpretazione del contenuto del libro. Invitiamo pertanto -chi fosse interessato a meglio capire il pensiero dell'autore- a leggere direttamente il libro, che risulta essere ancora disponibile nelle migliori librerie.
L'iniziativa da noi condotta ha lo scopo di far conoscere, ma soprattutto di stimolare la curiosità e pertanto invogliare alla lettura del libro.
Ci preoccupa culturalmente parlando, infatti, che a Contessa si spendano decine e decine di migliaia di soldi pubblici per ricostruire presunte (e fantasiose) storie della comunità senza che mai si faccia riferimento alla Storia dai caratteri scientifici e dal metodo storico-antropologico su Contessa curata da Blok;.
Il libro da noi proposto è conosciuto  in tutto il mondo di lingua tedesca, inglese, italiana, olandese etc. etc. e che è l'unica storia su Contessa Entellina che segua -appunto- criteri di scentificità piuttosto che inseguire sentimenti, aspirazioni e orgoglio etnico; orgoglio etnico legittimo solamente se fondato sul metodo storico, o come nel caso di Blòk, storico-antropologico.
Non riteniamo che l'analisi di Blok, seppure scrupolosa e metodica, sia il 'vangelo' cui attingere, ed infatti la critica in alcune parti ha sollevato più di una osservazione (è lo stesso Autore a riportarne alcuni elementi nella presentazione), tuttavia questo importante lavoro, diffuso in tutto il mondo, all'attenzione di tutti gli studiosi di cose siciliane, non può essere ignorato solamente a Contessa Entellina.
Vero è che l'Autore ha ricevuto la cittadinanza onoraria durante la sindacatura di Piero Cuccia, ma -ci chiediamo- come mai si tengono, per esempio da parte dell'attuale Amministrazione, convegni su personaggi grandi e piccoli locali e si ignorano i veri punti cruciali della nostra storia (dall'emigrazione di massa al latifondo, dalla disoccupazione dilagante al terremoto del 1968 che ha abbattuto i tuguri in cui la gran parte della gente abitava); punti che invece l'analisi socio-economica di Anton Blok affronta ?
Fa -per caso- paura la tesi che Contessa Entellina, a cagione della sua storia economico-sociale, sia stata culla e luogo di mafia ?
Se questa paura dovesse davvero esistere, dovremo parlarne di più, dovremmo dibartene di più e discernerne di più e vedere e percepire che la "comunità" nel suo insieme ha sofferto le conseguenze, non ne è stata artefice. Il sistema era in mano a pochi ai danni dei moltissimi, infatti.
L'indifferenza, su queste cose, non è la medicina.
E poi non è detto che la tesi di Blok sia al cento per cento imperccabile. Salvatore Lupo (come abbiamo precedentemente scritto) solleva, per esempio, più di un dubbio.
L'importante che di queste cose si parli.

Capitolo terzo
La Terra
paragrafo primo
La conduzione della terra


Contessa Entellina e' la denominazione del centro abitato, contessioti sono chiamati gli abitanti.
Localmente il riferimento al centro abitato viene espresso, in dialetto siciliano, 'u paisi', in arbereshe, 'hora'. Le espressioni 'strani e 'paesani', in dialetto siciliano, definiscono rispettivamente 'chi non e' del luogo' e 'chi lo e'.
Considerando la natura italo-albanese del centro abitato, le espressioni corrispondenti usate sono 'arbereshe ' e 'litir'.
Contessa Entellina e' la denominazione, inoltre, dell'intero territorio, che afferisce alla giurisdizione comunale ( ha. 13.500).
I comuni siciliani complessivamente sono 370.
Non tutto il territorio comunale e' tuttavia giuridicamente di  proprietà della gente del luogo. Una delle ragioni dell'assetto proprietario disarticolato discende dalla permanenza in Sicilia, fino agli anni '50 del Novevento, del latifondo.
I 13.500 ettari della campagna contessiota sono frazionati in 46 feudi (latifondi) di estensione varia fra loro (dai 50 ai 1.000 ettari ciascuno).
Le denominazioni di ciascun feudo derivano:
-dalla rispettiva vegetazione,
-dalla natura dei luoghi,
-dagli accadimenti storici ivi accaduti,
-dai nomi, o dalle qualità, di precedenti proprietari.
Dall'inizio dell'Ottocento, ossia da quando la terra divenne un bene commerciabile (in seguito alla fine del feudalesimo in Sicilia) i confini di ciascun feudo hanno subito spostamenti e variazioni rispetto alla precedente situazione.
Vediamo, per esempio, quanto accaduto nell'ex feudo di Pomo.
La sua estensione e' di circa 400 ettari e sin dai primi anni del Quattrocento era parte dei possedimenti del Monastero di Santa Maria del Bosco. Dopo la confisca dei beni ecclesiastici operata dallo stato unitario il feudo fu inizialmente acquistato da cinque individui benestanti in lotti che andavano dalle 30 ai 180 ettari; successivamente la proprietà ha cambiato più volte titolari e già nel 1925 era in mano a due famiglie.
La parte più consistente apparteneva alla famiglia Inglese, che ancora oggi detiene anche i locali che furono sede dell'antico monastero.
Successivamente Pomo e' stato ulteriormente suddiviso fra eredi e compratori vari fino all'intervenuta, negli anni cinquanta, Riforma agraria.
Oggi, nel terzo millennio, quell'antico feudo e' parte integrante della Riserva Naturale di monte Genuardo.
Prima della riforma agraria, a Contessa Entellina, la terra era la principale (o l'unica) risorsa economica per la sopravvivenza degli abitanti e l'unica leva politica per il controllo della società. Tutta la popolazione, infatti, dipendeva da essa in quanto
A) la stragrande parte della popolazione non ne possedeva,
B) una piccola parte ne deteneva piccole porzioni
C) i latifondisti, che risiedevano a Palermo, detenevano la quasi totalità del territorio comunale. Contessa Entellina era, infatti, prima della riforma agraria, uno dei comuni più latifondista, cioe' a piu' alta densita' latifondista dell'isola, e  le cose stavano in questi termini -su questo territorio- fin da l'epoca romana, quindi da molto prima della fondazione nel XV secolo del paese.
Il latifondo moderno, ed oggetto dello studio di Anton Blok, e' sorto ai primi dell'Ottocento, quando nel 1812 sulla spinta degli inglesi -presenti nell'isola per fronteggiare le armate napoleoniche che avevano occupato la parte continentale dei domini borbonici- fu abolito il regime feudale e la terra poté avere, sia pure con gradualità, la natura di bene commerciabile.
In quel contesto storico vennero aboliti
-il fidecommisso,
-i diritti di primogenitura,
-il divieto per i creditori di confiscare per debiti la terra.
Col feudalesimo tutti i residenti sul territorio godevano della possibilità di sfruttare gli "usi comuni", che peraltro erano previsti nel capitoli sottoscritti dai Cardona con gli arbereshe nel 1520, usi comuni che comprendevano molte possibilità di sopravvivenza per la popolazione, mentre con l'introduzione del nuovo regime latifondistico i feudi divennero proprietà esclusiva degli antichi baroni che esclusero dalle loro terre le precedenti prerogative di cui la comunità si era avvalsa fino allora, cioè gli "usi comuni".
I baroni, rispetto al regime feudali, rinunciarono ai titoli signorili che li vedeva:
-amministrare la giustizia in sede locale,
-amministrare il potere locale mediante giurati da loro scelti,
-riscuotere le imposte.
I baroni divennero, al prezzo della rinuncia delle funzioni pubbliche, proprietari esclusivi e a pieno titolo degli ex feudi (che fino allora avevano sotto l'aspetto giuridico natura e funzione pubblicistica).
Se quanto descritto e' l'aspetto formale dell'innovazione dell'inizio Ottocento, la realtà tuttavia mostrerà che i retaggi feudali sull'uso ed il controllo della terra perdureranno, da noi, fino all'attuazione della riforma agraria di meta' Novecento.
Occorre premettere, prima di andare oltre, che già sin dal settecento molti baroni, inclusi quelli del casato dei Colonna, signori del territorio di Contessa, si erano indebitati per condurre vita aristocratica a Palermo o altrove ed avevano ceduto vaste porzioni dei possedimenti a nuovi proprietari, in genere i loro gabelloti. Inoltre le comunità che avevano fruito degli "usi comuni" avrebbero dovuto disporre a titolo di risarcimento di 1/5 delle superfici su cui avevano avuto la facoltà di 'uso'. Ciò non avvenne in molti casi. Contessa rientro' fra questi casi nonostante la relativa vicenda giudiziaria sia stata intrapresa già negli anni trenta dell'Ottocento e si sia esaurita senza esito nel secondo dopoguerra del Novecento.
Nell'isola la grande proprietà di origine feudale rimase vitale ancora allungo.
Nel 1820 l'80% dell'isola era in mano ai latifondisti e questa circostanza permarrà per tutto l'Ottocento. Nel 1860 i grandi proprietari erano 20.000, ma soprattutto all'interno dell'isola -quindi a Contessa- la situazione sembro' cristallizzarsi sull'antico regime feudale.
Pure i nuovi ceti di grandi proprietari, provenienti generalmente dai ranghi dei gabelloti, fondarono i loro stili di vita su quelli dei precedenti baroni, degli aristocratici: disprezzavano il lavoro o la conduzione delle aziende e trasferirono la residenza a Palermo. In questo contesto di accaparramento delle terre da parte dell'antica aristocrazia e da parte dei gabelloti-borghesi era inevitabile che le condizioni dei contadini (generalmente privi o quasi di terra) peggiorassero rispetto al preesistente regime feudale.
Il fragile progetto del governo borbonico di sostituire il feudalesimo con una solida classe di piccoli proprietari falli' ed era destinata a fallire data la debolezza delle strutture statuali di attuare il disegno complessivo nei confronti dei baroni e dei gabelloti che con essi si allearono.
Falli' pure il progetto dello stato unitario, dopo il 1861, di creare una vasta componente sociale di piccoli proprietari terrieri dopo l'avvenuta confisca dei beni ecclesiastici.
Anche in questa occasione furono i latifondisti ad accaparrarsi le terre della Chiesa ed anche in questa occasione le comunità locali non riuscirono a conseguire il risarcimento per la perdita degli "usi comuni".
Per quanto riguarda specificatamente Contessa, Blok riporta sul libro -che molto liberamente stiamo interpretando- che sin dal settecento l'uso della terra avveniva attraverso tre modalità giuridiche:
-il 10% era a conduzione enfiteutica sulla base dei capitoli sottoscritti fra i Cardona e gli arbereshe nel 1520 (Serradamo e Contesse) e dai Colonna con i medesimi arbereshe nel 1720 (Bagnitelle);
-il 20% era dominio della Chiesa (Santa Maria del Bosco ...) e comprendeva dieci latifondi, tre dei quali destinati prevalentemente a bosco.
-il 70% era sotto regime feudale e quindi faceva riferimento alla baronia dei Colonna, eredi dei Cardona.
La comunità arbereshe di Contessa godeva della facoltà degli "usi comuni" sia sui domini della Chiesa che su quelli dei Colonna:
-pascolo,
-semina,
-raccolta della legna e della pietra,
-caccia,
-transito e sosta notturna del bestiame,
-produzione di calce e gesso,
-raccolta di frutti selvatici, erbe e ghiande.
Ancora nel 1843, a feudalesimo legalmente cessato, il monastero di Santa Maria conservava tutti i suoi dieci latifondi, la baronia -già dei Colonna- risultava invece già frazionata fra sei aristocratici (un duca, tre marchesi, due principi) e alcuni borghesi; tutti comunque vivevano a Palermo.
Quando lo Stato vendette le proprietà del Monastero di Santa Maria queste, per i due terzi, finirono nelle mani di Antonino Ferrantelli, zio di Guglielmo Inglese, nonostante le norme che disciplinavano le aste pubbliche prevedessero il frazionamento in piccoli lotti per favorire la minuta proprietà contadina.
La famiglia FERRANTELLI aveva fondato la propria ricchezza con l'esercizio di attività commerciali nella zona circostante Contessa (Prizzi) e quando acquisì i possedimenti dell'ex Monastero procedette all'abbattimento di una parte del vasto bosco per destinare il suolo al pascolo e al terreno seminativo.
Il nuovo proprietario dei possedimenti della Chiesa destino' una parte delle sue fortune per acquisire simboli e prestigio aristocratici e sposo' su questi presupposti una baronessa molto indebitata che garanti' tuttavia agli eredi l'utilizzo del titolo nobiliare.
La comunità contessiota, il Comune, tento' in più modi e per le vie legali di farsi risarcire gli "usi comuni" sottratti con la recinzione degli ex feudi del monastero, ma il proprietario, Ferrantelli, grazie all'influenza di cui godeva nel apparato statale riuscì a sottrarsi agli obblighi cui era tenuto.
Ancora nel 1900, ad un secolo dall'abolizione del feudalesimo, solamente un decimo del territorio era proprietà dei contessioti. In pratica la comunità disponeva dei tre feudi originati dalle concessioni enfiteutiche dei Cardona e dei Colonna. Il resto della superficie del territorio apparteneva a 26 latifondisti.
Questa situazione di eccesso di addensamento latifondistico, nella sostanza, resterà inalterata fino al 1950.
Il paragrafo del libro di Blok su "la conduzione della terra", terzo capitolo, si chiude evidenziando che il sistema socio-economico locale fondato sul latifondo, anacronistico negli anni cinquanta del Novecento, ha potuto resistere, nonostante la conclamata volontà dello stato di voler espandere la piccola proprietà contadina e nonostante il malcontento dei contadini che versavano in condizioni più che misere, solamente per la presenza e l'opera della "mafia".
Il prosieguo del libro punta a dimostrare questa dolorosa circostanza della nostra terra.

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