Il marchio di mafiosità sulla Sicilia
La notizia della condanna definitiva di Cuffaro ha fatto il giro del mondo e non mancano, ancora una volta, i giudizi negativi sulla Sicilia: e fra essi spicca quello di essere terra della mafia.
Il problema, la questione, certamente non va sottovalutata (al di là del comportamento dignitoso, o meno, con cui Cuffaro ha accettato la condanna). Per noi siciliani, nessuno lo dimentichi, si tratta di avere assistito ad un presidente di Regione che va in carcere, anche se ormai da ex.
Secondo i giudici di tre gradi, questo politico, avrebbe gestito il potere con la connivenza della mafia, che, nemmeno questo va dimenticato, gli faceva raccogliere voti di preferenza fino all'incredibile cifra di 80.000.
E' un dato di fatto dal quale è difficile sottrarsi o trovare giustificazioni.
La magistratura, e in particolare quella di Palermo, di processi a politici sospetti di mafia ne ha intentati diversi: Andreotti, Mannino, Musotto.
A cadere però è stato Cuffaro.
Se gli altri sono stati assolti può darsi che anche Cuffaro non era contiguo alla mafia. Si tratterebbe quindi di una vittima sacrificale dell'infinita campagna di lotta alla mafia ?
L'attuale governatore Raffaele Lombardo, successore di Cuffaro, è coinvolto in una indagine legata a personaggi in odore di mafia, e neanche questa indagine contribuisce ad allontanare l'ombra che grava sulla Sicilia.
La sentenza su Cuffaro, avendo avuto il sigillo della Cassazione ha, adesso, tutti i crismi della veridicità. Come si è solidi dire: le sentenze non si commentano; si applicano.
Cuffaro ha governato per anni, con le istituzioni che erano impegnate nella lotta alla criminalità organizzata, ed oggi il danno all'immagine dell'isola è incalcolabile, incommensurabile. Da mesi a Palermo non si vedono tracce di turisti, se non in misura irrisoria e la colpa viene attribuita alla crisi economica. E' probabile che per i prossimi mesi non ne vedremo in assoluto di turisti.
Non c'è dubbio che la Sicilia già era marchiata prima di questa sentenza. E' vero, ma che un Presidente della Regione finisca in carcere perché accusato di convivenza con i colletti bianchi della mafia, è ancora più grave e mortifica un popolo, come quello siciliano, che lo ha eletto, ed eletto con decine e decine di migliaia di voti.
Cosa fare adesso? Si riuscirà a voltare pagina?
Ci vuole una presa di coscienza che vada al di là delle proteste di piazza -il più delle volte a fini politici più che sociali-, come probabilmente è stata quella dei mangiatori di cannoli davanti all'Ars non appena si è diffusa la notizia della sentenza.
La presa di coscienza per essere reale deve iniziare dal mondo della scuola, dalle università, dai sindacati, da tutto ciò che costituisce il tessuto sano della nostra società. Un'ardua impresa culturale, è ciò che serva.
Occorre tagliare vecchi legami con un passato che da qualunque parte si voglia valutarli recano un marchio che, giusto o sbagliato che sia, continua a umiliarci. Non è più possibile che da noi qualsiasi cosa si faccia, qualsiasi mano si stringa, qualsiasi progetto si voglia realizzare, sappiano di mafia.
Se continua così è difficile che la Sicilia abbia un futuro.
Però tagliare con l'arretratezza culturale è un compito che spetta ai siciliani, a tutti.
Nessun commento:
Posta un commento