sabato 24 aprile 2010

L'edizione 'Shega' 2010 finisce in mano ai politici. Il sindaco di Piana degli Albanesi organizza, gestisce e fa flop. Quando i politici si sostituiscono alle strutture competenti ...

  Non è un segreto per nessuno, il sindaco Caramanno è un uomo capace di grandi amori e di analoghi odi. Tutto dipende dall'interlocutore. Se questi ha una visione delle cose del mondo differente dalla sua, è un uomo finito, da mettere da parte, per il sindaco. 
Sindaco, ricordiamocelo, che nel 2009 non ha fatto partecipare, dopo 60, il gonfalone del Comune all'annuale celebrazione a Portella delle Ginestre della strage eseguita dal bandito Giuliano, in cui perirono lavoratori anche di Piana.
Piana degli Albanesi ha la fortuna di avere, nell'organico del Comune, un uomo dalle qualità eccezionali nel comparto della cultura, delle tradizioni e della storia: Pietro Manali.
Lo abbiamo letto in un fascicolo di 'Biblios', Pietro Manali -vero uomo di cultura- non rientra nelle grazie del sindaco Caramanno. Tanto è che quella preziosa collana editoriale, ci pare di aver capito, è stata sospesa.
A organizzare l'edizione, in tono minore, di Shega 2010 non è stato Pietro Manali e la differenza rispetto alle precedenti è stato palpabile. Non tanto per i relatori, tutti bravi, dotti e all'altezza del compito. L'organizzazione è stata un flop in assoluto. Dalle migliaia di partecipanti di tutte le precedenti edizioni si è passati a poche decine di persone presenti.
Conclusione:
I politici di quest'epoca impareranno mai a fare politica e a lasciare a chi di competenza la gestione delle iniziative ?

Riportiamo un articolo, di La Repubblica, sulla presenza a Palermo di Edward Luttwak (uno dei relatori di Shega 2010).
Edward Luttwak severo con Palermo: “Città abbandonata, in balia di se stessa”



In qualche modo si tratta di un ritorno. Edward Luttwak a Palermo ha abitato tre anni, dal 1948 al 1951. Era un bambino che frequentava le elementari. Suo padre, un industriale ebreo, aveva lasciato la Romania con la famiglia e scelto Palermo per farsi un’altra vita. Palermo era l’unica capitale europea sopravvissuta, pressoché indenne, al martirio del conflitto mondiale. Parigi, Londra, Berlino erano state distrutte. E Roma, Milano, Torino invivibili o quasi. “Palermo era confortevole, c’era il riscaldamento, le strade erano pulite e la città era ordinata e ben amministrata, in più – ricorda Luttwak – al Teatro Massimo si poteva assistere alle performances musicali più importanti del tempo. Grandi orchestre, grandi artisti”.
I ricordi di Luttwak sono nitidi e generosi. Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza pretendono gratitudine e nostalgia, ma qualcosa di buono deve essere rimasto nella memoria di una delle più celebri “teste d’uovo” Usa viventi.
Nel rievocare la “sua” Palermo e ricordare a chi non ne avesse più memoria che “abitano” qui i monumenti architettonici più importanti d’Europa, come la Cappella Palatina, Edward Luttwak si llascia andare ad una mezza invettiva che appare più un gesto d’affetto che una critica: “Palermo è abbandonata, male amministrata”. E poi, rivolto al Presidente della Provincia, Avanti, che gli sta accanto, gli propone l’annessione, visto che le cose vanno così male.
Se Edward Luttwak – cittadino del mondo, europeo ed americano insieme – ha questa percezione del capoluogo isolano, una città in balia di se stessa, qualcosa deve essere accaduto a Palermo.
Luttwak ha presentato a Palermo il suo ultimo libro, “L’Impero Bizantino”, la seconda fatica storica dopo “L’Impero Romano”, pregevole opera di grande successo. Difficilmente eventi siffatti destano interesse e guadagnano attenzioni, ma ascoltare Luttwak è come assistere alla performance di Luciano Pavarotti nel campo della storia. È impressionante la capacità di analisi, la qualità e la quantità delle conoscenze tenute insieme da un ragionamento lineare e di semplicità straordinaria. Chi s’era fatto idee su come sono andate le cose al tempo dei bizantini, deve averle riviste o rimosse. L’impero bizantino è stato raccontato come il più grande di ogni tempo. Nell’immaginario collettivo è stato tramandato come un’epoca di astruserie. I bizantini sarebbero complicati, ambigui, sofisticati a sproposito e perciò infrequentabili o, comunque, irragionevolmente complicati. Icona della doppiezza, dunque. Luttwak ha smantellato tutto questo, dimostrando esattamente il contrario. Erano fini diplomatici, colti e tolleranti, amanti della pace (ma preparati a far guerra) e in possesso di una forte identità. Ed è grazie ad essa che l’impero è stato il più longevo di ogni tempo: l’identità cristiana, la fiera padronanza della cultura ellenica, la conservazione e lo sviluppo delle istituzioni latine. Sono stati i bizantini a “salvare” la cultura greca e, in buona misura, quella latina. Sono stati loro a tramandare tutto ciò che valeva la pena di ricordare. Innumerevoli i documenti, i manuali, le testimonianze raccolte e diffuse in epoca bizantina.
Ma Luttwak ha fatto di più. Ha raccontato la storia di quell’impero tenendo sotto traccia la storia del nostro tempo. Per esempio ha confessato, forse è la prima volta che lo fa, il suo profondo dissenso nei confronti della politica statunitense degli ultimi anni nelle terre dell’Islam. Confidando nel buonsenso bizantino e nella conoscenza dei fatti, Luttwak considera un grande errore gli interventi militari in Iraq ed Afghanistan. Perché? Laddove prevale il fanatismo violento, basta sapere aspettare pazientemente e fare come i bizantini, creando le condizioni perché provvedano da soli alla loro dissoluzione. Il fanatismo, discetta Luttwak, fagocita se stesso perché non ammette deviazioni, piccole o grandi eresie. Sunniti contri sciiti e tutto il resto.

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