La libertà e i diritti della persona: la bussola dei padri costituenti
di Lorenza Carlassare
Le elezioni del 2 giugno 1946 ebbero come risultato l’emergere in Assemblea Costituente di due gruppi praticamente equivalenti, la Democrazia Cristiana da un lato e i partiti della sinistra (socialisti e comunisti) dall’altro; assai distaccate, alcune formazioni minori. L’elemento comune a tutte, dopo l’esperienza vissuta, era l’antifascismo. La Costituzione del 1948 ha la sua premessa nella resistenza, nel ripudio dello stato autoritario e dei suoi dogmi, nella volontà di ripristinare la democrazia e i principi dello Stato di diritto. Ciò spiega la forza delle idee liberali, ben superiore alla forza numerica del gruppo. Sulla base dell’idea liberale che vuole il potere regolato e sottoposto a limiti giuridici per garantire diritti e libertà, storicamente congiunto all’idea democratica, s’innestano alcuni elementi propri delle dottrine delle due forze dominanti, cristiano sociale e socialista. Ma il conto delle forze in campo e il loro confronto numerico, certamente assai rilevante, vale fino a un certo punto; le idee circolavano, in Italia e fuori. La Costituzione va collocata in uno scenario più ampio, addirittura mondiale, traversato da idee e speranze comuni maturate attraverso esperienze tragiche che non si volevano ripetere, aperto o orizzonti diversi e nuovi. Proiettandola in uno scenario meno angusto, meglio si comprendono le forti convergenze e i tra i Costituenti e il loro perché. È giusto, ma riduttivo, vedere nella Costituzione solo il prodotto dell’antifascismo, il rigetto della dittatura come esperienza italiana. La lotta antifascista si iscrive nell’ampio scenario di una guerra mondiale condotta e vinta contro tutti i ‘fascismi’ dominato dall’intento di costruire un mondo diverso e migliore, che potesse ridare dignità alla persona. Il valore della persona era nella cultura comune dei Costituenti, decisi nell’affermarne i diritti non solo come garanzia di una sfera intoccabile di libertà e di partecipazione politica, ma anche come tutela effettiva dei diritti stessi attraverso l’assicurazione di condizioni esistenziali dignitose.
Riecheggia nel testo della Carta italiana il pensiero espresso al di là dell’oceano nel pieno della seconda guerra mondiale (1941) da Franklin Delano Roosvelt, presidente degli Stati Uniti, nella famosa proclamazione delle quattro libertà, dove a quelle tradizionali - libertà di pensiero e di espressione , di religione - si affiancava la libertà dalla paura e la libertà dal bisogno. Non stupisce dunque che nella Costituente subito si parlasse di dignità della persona e di diritti sociali. Le idee girano. Tanto è vero che alcuni dei più significativi articoli della Costituzione, ad esempio l’art. 3, comma 2, riprendono affermazioni di persone, elette poi alla Costituente, neppure appartenenti alle formazioni politiche maggiori. Penso a Piero Calamandrei del Gruppo autonomista, una piccola formazione che si ispirava al pensiero di Carlo Rosselli, che considerava il problema della libertà individuale e il problema della giustizia sociale “un problema solo”: non basta assicurare al cittadino “teoricamente le libertà politiche, ma bisogna metterlo in condizione di potersene praticamente servire”. Di libertà politica “potrà parlarsi solo in un ordinamento in cui essa sia accompagnata per tutti dalla garanzia di quel minimo benessere economico”, senza il quale la possibilità di esercitare i diritti viene meno. I tradizionali diritti vanno dunque riempiti di “sostanza economica”, integrati da quel minimo di giustizia sociale, la cui mancanza “equivale per l’indigente alla loro soppressione giuridica”. Ai diritti sociali “corrisponde l’obbligo dello Stato di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che si frappongono alla libera espansione morale e politica della persona umana”. In termini analoghi si esprimevano Mortati e La Pira, cattolici entrambi. Si può parlare dunque di una cultura comune dei Costituenti, decisi nell’affermazione dei diritti della persona non solo come garanzia di una sfera intoccabile di libertà e di partecipazione politica, ma anche come tutela effettiva di quelli stessi diritti, attraverso l’assicurazione di condizioni esistenziali dignitose. Fin dal primo articolo si parla del “lavoro”, base della democrazia, condizione prima della dignità umana. Eliminare questo riferimento, è già rovesciare il senso dell’intera Carta.
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