martedì 1 dicembre 2009

Francesco Giunta e le indagini storiche sugli arbrëshë -1-

O bella Morea ...
come ti lasciai e mai più ti vidi.

Riportiamo un breve saggio del  prof. Francesco Giunta del 1974. In quell'epoca il famoso storico non dubitava della veridicità di tanti documenti sulle origini dei paesi albanesi di Sicilia. E' negli anni '90 che, dopo accurate indagini negli archivi spagnoli, cominciano le sue perplessità su tante descrizioni 'leggendarie' della venuta in Sicilia degli arbreshe. I suoi dubbi, come abbiamo riportato in un post precedente, sono diventati certezze col libro demitizzante di Matteo Mandalà, Mundus vult decipi.
Il Contessioto

Quando è cominciata l'avventura albanese un Sicilia ? A questo, che è il primo di tanti interrogativi che toccano le vicende dell'insediamento greco nell'isola, da tempo si è cercato di dare una risposta. E la documentazione in nostro possesso, che in verità non si è accresciuta di molto col passare del tempo, è stata esaminata da ogni punto di vista, nella speranza di poter avere una risposta esauriente. Studiosi molto impegnati di parte greca e di parte latina non sono, tuttavia, riusciti a dare un sicuro inizio cronologico alla prima presenza albanese in Sicilia.
Piuttosto che riproporre un siffatto quesito, penso che sia più producente per l'avvio di un discorso sugli Albanesi di Sicilia, partire da dati certi, senza affidarsi alla suggestione delle ipotesi, per ricreare il clima nel quale la vicenda albanese matura. E di dati certi, come ha prontamente suggerito il Garufi, non abbiamo che un'affermazione dello storico siciliano Tommaso Fazelo (vissuto dal 1478 al 1570), e quindi vicino agli avvenimenti, che nelle sue decadi sulla storia di Sicilia, ha legatp l'inizio della diaspora del popolo albanese alla caduta di Costantinopoli in potere di Maometto II (1453) e alle conseguenti conquiste turche di Durazzo e del Peloponnese, e la data del 1482 che segna l'approvazione dei più antichi capitoli di colonia greca, cioè quelli di Palazzo Adriano.
In realtà, il trentennio che corse fra la proposta fazelliana e le prime capitolazioni rappresenta, senza dubbio, la fascia cronologica dei primi insediamenti albanesi in Sicilia. Le successive immigrazioni rimangono con certezza vincolate a due altri avvenimenti che contribuirono a mutare la facies politica dell'Europa balcanica: la morte di Giorgio Castriota Skanderbergh nel 1468, e la caduta di Corone nel 1532. Venuta meno, infatti, ogni possibilità di resistenza all'invasione ottomana in terra d'Albania, l'Italia aragonese e la Sicilia costituirono il naturale rifugio per gli esuli superstiti.
Erano non soltanto convenzionali, ma efficaci i legami che da tempo avevano unito gli Stati delle due sponde adriatiche, che avevano avuto come sostenitori re come Alfonso il Magnanimo e Ferrante, da una parte, e uomini valorosi come Skanderbeg, dall'altra.
L'accoglienza fu, in realtà, pari all'aspettativa, non solo per coloro che amarono fermarsi nell'Italia Meridionale, ma anche per chi preferì ricostruirsi una vita al di là dello Stretto di Messina. Il dramma di coloro che immigravano nell'isola è sottolineato da Giovanni II d'Aragona, in lettere del 1467, dalle quali può vedersi come il re iberico lo abbia fatto suo, su sollecitazione del nipote Ferrante di Napoli; egli dice testualmente: "dall'illustrissimo re di Napoli ... ci sono raccomandati Nicola Biderio Lascari e Costantino Masrechio Castriota reguli di Epiro e d'Albania, valorosi comandanti contro i Turchi, di Giorgio Masrechio Castriota Skanderbeg consanguinei, i cui padri, insieme col predetto Skanderbeg e i suoi soldati, pochi anni or sono, dall'Albania venuti per la salvezza del nostro Regno di Sicilia e di tutto il Regno di Napoli e l'Epiro dai Turchi, i predetti Nicola e Costantino, passati nel nostro regno di Sicilia con alcuni coloni, lì desiderano fermarsi. Pertanto noi certi della loro cattolicità, integrità, bontà, onore e valore, tenendo conto nello stesso tempo della loro povertà, dato che hanno abbandonato beni, provincie e poteri nelle mani dei pessimi Turchi, e considerando la loro grande nobiltà, desideriamo, vogliamo e sanciamo che ai predetti coloni Albanesi ed Epitoti dal nostro vicerè siano assegnate terre e possedimenti".
In tale documento si nota la recezione in sede politica della necessità dei profughi e la compenetrazione del re d'Aragona per quanto è accaduto agli esuli dell'Albania e dell'Epiro, forse anche per scrollarsi di dosso la responsabilità di un non interventyo oltre Adriatico, nè direttamente, nè attraverso il nipote.
(continua)

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