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mercoledì 13 gennaio 2021

Contessa Entellina. Quella domenica di cinquantatre anni fa (1)

 Il mio "Terremoto nel Belice"

Su quel tragico evento sprigionatosi nella notte fra il 14 ed il 15 gennaio del 1968, sul Blog, anno dietro anno ho riportato tutti i ricordi personali che sono rimasti impressi nella memoria. Gli anni trascorsi da quell'evento probabilmente mi hanno fatto dimenticare parecchi dettagli circa lo svolgimento e alcuni aspetti di natura sentimentali e di umanità che in quelle terribili situazioni hanno attraversato il pensiero e l'intera "personalità" non solo mia, ma di tutti coloro che abbiamo vissuto la terribile situazione e quella inimmaginabile notte. Resteranno -per sempre- impressi nel ricordo di tutti coloro che vissero quei lunghissimi momenti (minuti) di incredulità e di paura, specifici momenti: il pavimento di casa che si inclinava (o forse fu sensazione?) a modo (quasi) di  90' e che impediva di procedere, di andare avanti, per raggiungere la porta della scala e scappare fuori. E poi, contemporaneamente, un grande boato che annunziava il crollo di buona parte dell'abitazione adiacente a quella dove io ed i genitori ci trovavamo: era la residenza del mio nonno deceduto giorni prima e la cui salma dopo essere rimasta in Chiesa per due giorni, nella Chiesa Madre, proprio in quel 14 gennaio era stata portata in cimitero su un rimorchio trainato da un trattore a causa della neve super abbondante in quell'anno. In più punti la neve aveva superato il metro ed anche il metro e mezzo da terra. 

Nello Spiazzo Greco, quando assieme ai genitori siamo arrivati, era già radunato un vasto aggregato di persone e si sentivano grida arrivare dalla zona Rahjo, dove, -sapremo dopo, all'alba- era rimasto sotto le macerie a causa del crollo del muro di una abitazione il concittadino Agostino Merendino.

Il terremoto non fu semplicemente un evento naturale di cui prendere atto e addebitarlo a Madre Natura. Esso rivelò invece la fragilità o addirittura l'assenza di un tessuto socio-economico dell'intera Valle del Belice. Qui non esistevano che poche vere abitazioni, il resto erano catapecchie che risalivano alla fondazione del paese o che -in pochi casi- erano state ri-adattate con interventi già inammissibili tecnicamente e legalmente nel XX secolo. La causa di quelle condizioni sociali ? L'abbandono politico del Meridione di cui sono gravi testimonianze decine e decine di inchieste parlamentari della seconda metà dell'Ottocento, che però mai furono prese in considerazione dai governi fino ad allora succedutisi. 

Lo abbiamo scritto parecchie volte, in più pagine del blog, la gente -compreso chi scrive che era ancora un ragazzo- quella notte era impaurita e non sapeva prendere nessuna iniziativa oltre quella di stare in mezzo alla neve; neve che stentava a sciogliersi in quello spiazzo Greco nonostante fosse più che calpestata da varie decine di gruppi familiari. Una sola persona prese atto del susseguirsi delle scosse e provò ad organizzare alcuni volenterosi per visitare e far sgombrare dalle abitazioni gli anziani soli e quelli invalidi e fu -l'allora giovane sindaco- Di Martino. Fra i vari spazi di aggregazione, Spiazzo Croce, Spiazzo Greco, Giarrusso, Santa Rosalia etc. faceva da collegamento e forniva qualche informazione il maresciallo dei carabinieri, Aloi.

Molte famiglie all'alba di quella terribile notte con trattori e rimorchi e con altri mezzi abbandonarono il centro-terremotato di Contessa Entellina e si trasferirono in campagna, presso abitazioni proprie, di parenti o di amici. 

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