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lunedì 30 settembre 2019

Mercati palermitani. Sovrapposizioni e osmosi di antichi linguaggi

Quando l'arcaico, il moderno ed il modernissimo si affiancano nella vicenda siciliana, dove ogni situazione nuova si cumula nel tempo e lascia convivere miracolosamente culture avvicendatesi sull'isola, senza mai cancellare le precedenti.
E' questa la sensazione che si ricava visitando gli storici "mercati" della città di Palermo.
Al mercato del "Capo" -a poche decine di metri dal Palazzo di Giustizia- la prima cosa che colpisce è il sistema sonoro  alimentato dalle grida dei venditori di pesce, principalmente, ma non solo di loro. Il descrivere le qualità dietetiche, di freschezza e di bontà mediante la "abbanniata" ricca di enfasi e soprattutto mediante il ritmo vocale che inevitabilmente attira l'attenzione dei passanti, della gente, ci riesce difficile, anche se incanta.

Il linguaggio della "abbanniata"  è sicuramente ricco di retorica al punto che i peperoni acquistano consistenza migliore della carne e la bellezza del tonno è associata ad una signorina da "baciare".

La "abbanniata" fino a non molto tempo fa si poteva ascoltare anche nei paesi di provincia. 
A Contessa fino ad un paio di decenni fa, o forse di più, quando Calidru portava il pesce fresco da Sciacca prima di esporlo nella Pescheria, in piazza, faceva il giro delle principali strade del paese per rappresentare con la abbanniata i pregi esclusivi del pesce di giornata proposto ai consumatori. 
Era una "abbanniata" molto simile a quella che ancora oggi si può ascoltare al mercato del "capo", a Palermo.

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