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venerdì 14 giugno 2019

10 giugno (1940). L'Italia va in guerra

La gente comune, gli scrittori, i giornalisti del vecchio continente erano convinti che dopo le stragi umane della prima guerra mondiale non ci sarebbero più state guerre; pensavano che il mondo avrebbe preso consapevolezza delle immani stragi compiute in nome di un malinteso senso della "nazione".

Ed invece, negli anni trenta, l'ascesa al potere, in Germania, di Hitler nel breve volgere di pochi anni cambia la carta geografica dell'intera Europa.

Nel 1934 diventa Cancelliere del Terzo Reich, nel 1936 in Spagna sperimenta nuove armi e nuove strategie militari e sulla scorta di queste metodiche militari annette alla Germana prima la Renania, poi l'Austria e di seguito i Sudeti senza dare mai tempo al resto del continente di definire un atteggiamento comune.

Quando il Furher decide l'assalto finale i due paesi che avrebbero dovuto contrastarlo, Francia e Gran Bretagna, non erano pronte a frnteggiarlo sui campi di battaglia.
In soli 18 giorni le armate tedesche invadono la Polonia, paese allora abitato da 33milioni di persone, senza subire perdite umane consistenti.

In questo quadro di successi tedeschi, Mussolini rimugina e alla fine decide, convinto di avere parte al bottino così facilmente accumulato da Hitler.

Non sarà così: la seconda guerra mondiale durerà più a lungo della prima e vi perderanno la vita 50milioni di persone.

La disumanità di quegli anni raggiungerà limiti inenarrabili.    Curzio Malaparte, uno scrittore, giornalista, ufficiale, poeta e saggista diplomatico, agente segreto, sceneggiatore, inviato speciale e regista cinematografico, scriverà: "Ho visto fotografie di secchi pieni di occhi strappati agli avversari". Si usarono bombardamenti sistematici di città e gas nei campi di sterminio fino, alla conclusine della guerra, alle armi atomiche.
Si combatte dalla Malaysia fino al Nord Africa, dalla Francia sino a Mosca, dai Balcani alla Norvegia.

A salvare la visione occidentale della vita, la cultura e il modello democratico alla fine sarà Winston Churchill. 
Diventa primo ministro della Gran Bretagna il 1° maggio 1940, già 65enne, e conduce la guerra con volontà e determinazione, convinto di stare per lottare contro la barbarie.

Certo, la guerra non si sarebbe vinta senza l'immenso arsenale americano (Roosevelt) e senza l'immane sacrificio in termini di uomini della Russia di Stalin.

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