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venerdì 22 febbraio 2019

Hanno detto ... ...

LUIGI VICINANZA, editorialista de L'Espresso

Le forze irrazionali della Storia, avrebbe detto Benedetto Croce, si stanno impadronendo del campo. E non c’è più una nazione guida, un blocco di Stati alleati in grado di costruire un nuovo ordine mondiale. Così come invece accadde dopo la Seconda guerra mondiale con la competizione Usa-Urss e il duraturo equilibrio del terrore, secondo la celebre definizione coniata negli anni della corsa agli armamenti nucleari.

Siamo immersi nell’era dall’assenza. Mancano modelli di società in grado di supplire il crollo degli schemi novecenteschi. Il welfare occidentale “dalla culla alla tomba” e il comunismo sovietico affamatore ma con un tozzo di pane per tutti sono stati entrambi sostenuti per decenni, prima ancora che da teorie economiche, da un pensiero forte. Dall’una e dall’altra parte della cortina di ferro. Scrittori, filosofi, artisti, scienziati, registi, cantanti, giornalisti hanno dato corpo a una visione, individuale e collettiva al tempo stesso. Che facessero sognare l’ american way of life o che evocassero il sol dell’avvenire, gli intellettuali sono stati determinanti nel dare una coscienza di massa all’era industriale.

Non sembra più così ora. L’ultimo quarto di secolo ha segnato il trionfo della globalizzazione dei mercati e della finanza internazionale, divinità inique di una società ingiusta. Poteri opachi e irresponsabili, molto più potenti dei governi nazionali, fuori da qualsiasi controllo che abbia una parvenza di democrazia. Totem intoccabili e vendicativi davanti ai quali si è prostrato il pensiero debole delle élite sia in Europa che in America. Ce ne siamo già occupati, sottolineando il paradosso delle nostre democrazie: stanno entrando una dopo l’altra in crisi attraverso l’esercizio più democratico che vi possa essere, il voto popolare. È già accaduto con il referendum britannico, può accadere negli Stati Uniti di Trump, è in incubazione nella Francia di Marine Le Pen. Altro che sistemi elettorali e riforme costituzionali, intorno a cui ci arrabattiamo noi italiani.

Siamo nel pieno di una crisi epocale.
E paradossalmente, nello sbandamento provocato da tumultuosi cambiamenti, quali sono i campioni di un pensiero forte? Non prendetela come una bestemmia, ma le religioni monoteiste del Mediterraneo sono le forze capaci di mobilitare masse enormi di esclusi. Sia pure con obiettivi completamente diversi. C’è papa Francesco, con il suo cristianesimo pauperista ed egalitario, capace tuttavia di trattare da posizione di forza con Castro e Obama, con Erdogan e Putin sulle grandi questioni di geopolitica. Unico vero leader mondiale in grado di emozionare anche chi, al dono della fede, antepone l’esercizio del laico dubbio.

C’è poi l’Islam dispotico ed espansionista, elemento identitario per popoli sparsi in almeno tre continenti, Africa, Asia, Europa. È lo spettro che agita le nostre coscienze occidentali, disabituate a confrontarsi con il timore e il tremore che il mistero della religiosità suscita nelle masse. Se l’orrore dell’autoproclamato Stato islamico è il frutto avvelenato di un dio senza pace né misericordia, l’islamismo - per quanto lo si possa definire moderato - assume i caratteri della reazione popolare contro le élite occidentalizzanti. Il moderno sultanato di Erdogan è il distillato di una società con radici profonde. Sovversivo e autoritario per volontà popolare.

Né si può dimenticare Israele dove, pur nella laicità delle istituzioni statali, l’identità religiosa è questione consustanziale alla sua esistenza.

Insomma, nel nostro smarrimento, le identità religiose ci costringono a ripensare la realtà. Non è un caso se proprio sulla Francia, culla della cultura illuminista e del pensiero libero, si accanisca l’odio del fanatismo islamico. Facciamo fatica a capire e dunque a reagire. Il sonno della ragione ancora una volta genera mostri.

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