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domenica 3 dicembre 2017

Hanno detto ... ...

Un  anno fa veniva respinto il
tentativo renziano di ridimensionare
la portata democratica della nostra Costituzione

GIANNI MARIA FLIK, Presidente emerito della Corte Costituzionale
“Nel campo di concentramento di Dachau sta scritto che chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo”.

“Questo è il discorso fondamentale che la Costituzione ci insegna legando insieme passato e futuro, una Costituzione che era stata scritta per dire, guardando all’indietro: ‘Mai più fascismo’ma guardava anche al futuro, il futuro di un Paese che usciva dalla guerra e che ricostruiva. Credo che dobbiamo cercare questo per ritrovare la fiducia e dobbiamo soprattutto spiegarlo ai giovani con parole nuove e vecchie al tempo stesso che sono le parole della nostra Costituzione”.

Penso solo ai 600.000 militari italiani che andarono in campo di concentramento per non schierarsi con la repubblica sociale, penso alla popolazione civile tutte le volte in cui fu oggetto di stragi e di delitti inqualificabili o tutte le volte in cui si prodigò per salvare ebrei, prigionieri scappati dai campi di prigionia. Quindi le parole della Costituzione sono profondamente attuali e vere, anche e proprio per la loro origine”.
“Solo meditando il nostro passato, la nostra storia, e la capacità con cui l’Italia è riuscita a tirarsi su nei primi settant’anni, possiamo affrontare le nuove lotte, le nuove ragioni di difficoltà, i nuovi problemi, del lavoro, dell’immigrazione, dell’economia, che travagliano il nostro presente e il nostro futuro, oltre ai problemi della rinascita di forme di discriminazione, intolleranza e razzismo, che sono assolutamente inaccettabili. Se dovessi sintetizzare la Costituzione la sintetizzerei in due punti: uno di contenuto, la pari dignità per tutti e la rimozione degli ostacoli che impediscono il raggiungimento di questa pari dignità,soprattutto nei confronti dei tanti ‘diversi’ – donne, anziani, bambini, migranti, malati -; l’altro di metodo, la laicità intesa come capacità di dialogo, di rispetto reciproco per affrontare i problemi e gestire insieme la nostra convivenza nel rispetto di quella dignità di tutti e di ciascuno che è il fondamento della Costituzione”

GIANFRANCO PASQUINO, politologo
Domenica 4 dicembre 2016 è stata una bella giornata, una delle migliori per il sistema politico italiano e per la Costituzione. Il NO nel referendum costituzionale che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva trasformato in un plebiscito sulla sua persona ha impedito lo slittamento del sistema politico italiano in direzione populista. Ha anche bloccato per alcuni anni i ripetuti tentativi di strattonare la Costituzione verso due esiti: terribili semplificazioni istituzionali e riduzione del potere degli elettori, che pochissimo hanno a che vedere con il suo impianto e con i suoi obiettivi tuttora solidi e validi. La Costituzione ha dimostrato di sapere accompagnare molti cambiamenti, ma anche di resistere a qualsiasi tentativo di sfigurarla.
A un anno di distanza non dobbiamo né sottovalutare né dimenticare quelle che erano allora e rimangono pervicacemente le patetiche argomentazioni dei fautori del “sì”, renziani della prima ora e renziani saliti sul carro quando sembrava andare verso la vittoria decisiva. L’algoritmo del Centro Studi della Confindustria aveva previsto gravissime conseguenze economiche, nessuna delle quali si è prodotta. Anzi, semmai, dopo il NO, anche se non necessariamente a causa del NO, è cominciata una leggera ripresa dell’andamento dell’economia. A grappolo, il quotidiano della Confindustria aveva concesso tutto lo spazio possibile ai sostenitori del sì. Con mia non troppo grande sorpresa, politologi e storici della LUISS, l’Università della Confindustria, si erano schierati come un sol uomo (infatti, fra loro non c’era neanche una donna) a vantare le lodi delle riforme renzian-boschiane. Non riesco neppure a parlare di “tradimento dei chierici” perché sarebbe per loro troppo onore. D’altronde, le pagine di alcuni quotidiani nazionali erano ricolme di articoli di chierici e di aspiranti tali che argomentavano sottilmente che, come scrisse Michele Salvati, votare contro le riforme era votare contro l’interesse nazionale. Già allora notai che una frase del genere era pericolosamente vicina ad accusare i No di essere “nemici del popolo”. 

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