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lunedì 25 settembre 2017

Germania. Sconfitto il centro-sinistra



La Germaniaa e' scivolata a destra e su questo ha pesato -come pesera' pure in Italia- la questione degli immigrati.  E' infatti la demagogia di destra ovunque a nutrirsi del disagio sociale in larghi strati della popolazione, della povertà che esiste ed è grande sotto la crosta luccicante dei consumi nelle grandi città e dietro le cifre degli indicatori economici, delle frustrazioni e del risentimento di quanti si sentono (e sono ) tagliati fuori.


 La destra vince sul terreno della sinistra. E la sinistra sembra pero' incapace di combattere su quel terreno. Non solo la SPD, ma anche la sinistra alla sua sinistra, quella che si ritiene più coerente, più coraggiosa. La Linke e' avanzata di qualche decimo di punto sul risultato di quattro anni fa.  
E' la destra estrema a raccogliere le ragioni di tutti i disagi sociali. La politica liberista non fa male solamente alla Sinistra ma comincia a colpire pure la destra liberale, alla Merkel.
La CDU di Angela Merkel crolla di 8 punti, la SPD precipita nel disastro, col peggior risultato da quando esiste la Repubblica federale, e l’estrema destra di Alternative für Deutschland diventa il terzo partito della Germania e porta nel Bundestag il vento dell’intolleranza e del risentimento, con un risultato che cambia radicalmente lo scenario politico del paese più importante d’Europa. Dalle urne tedesche esce un panorama pieno di incognite e con due sole certezze. La prima è che la groβe Koalition è finita. Lo ha certificato, tre minuti dopo il primo exit-poll, la Ministerpräsidentin socialdemocratica del Meclemburgo Manuela Scheswig, impietosamente spedita in tv a commentare risultati che nelle ultime ore s’era capito sempre più che sarebbero stati disastrosi. All’alleanza degli elefanti con la CDU/CSU la SPD ha sacrificato troppo: non solo programmi ed elettori ma anche la propria anima. Quando Martin Schulz lo ha confermato alla folla che si era raccolta nella Willy-Brandt-Haus la depressione generale s’è sciolta in un’esplosione di applausi. Parevano abbastanza incongrui, considerato il miserevole 20,8% che in quel momento le prime proiezioni indicavano sugli schermi, ma dicevano una cosa chiara: si torna all’opposizione. Con un sentimento di liberazione che era quasi fisicamente percepibile.




La seconda certezza è che c’è una sola coalizione che, spazzata via dal tavolo l’alleanza tra i due partiti (nonostante tutto) più grandi, ciò che è uscito dalle urne rende numericamente possibile. E’ la cosiddetta “coalizione Jamaica” formata dai tre colori della bandiera di quel paese: il nero di CDU/CSU, il giallo dei liberali e il verde dei Verdi. I liberali della FDP tornano nel Bundestag, dopo quattro anni di astinenza perché nel 2013 avevano mancato la soglia fatidica del 5%, e tornano con un buon risultato, intorno al 10%. I Verdi, intorno al 9%, hanno riguadagnato un po’ di quel che avevano perso quattro anni fa.
In queste ore tutti dànno per scontato che si dovrà cominciare da qua. Ma appare un’impresa titanica: i programmi dei liberali e dei Verdi sono uno l’opposto dell’altro in materia economica e sociale. La FDP vuole un radicale abbattimento delle tasse, un’ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro, sostegni alle imprese e alle esportazioni, una politica europea molto meno accomodante verso i paesi dal debito alto; i Grünen propongono una supertassa sui redditi più alti, misure contro la povertà, più apertura verso l’integrazione europea e misure di condivisione del debito. E dopo la svolta a destra imposta al partito dai nuovi dirigenti liberali capitanati da Christian Lindner neanche delle antiche consonanze sul terreno dei diritti civili c’è più traccia. Pure sul problema dell’accoglienza si capisce già che il dialogo sarà molto difficile. La segretaria generale della FDP Nikola Beer ha già annunciato che il suo partito vuole nuove norme per regolare il diritto di asilo. E che indirizzo dovrebbero avere queste nuove norme appare, purtroppo, abbastanza chiaro.
L’atteggiamento dei liberali di Lindner fa capire quanto e come l’ondata di destra che ha investito la Germania possa condizionare i partiti tradizionali e avvelenare la politica al di là del peso, di per sé già preoccupante (ancora più che altrove in questo paese con la storia che ha), degli estremisti di AfD. Similmente a quanto è accaduto in Francia, nei Paesi Bassi e nel Regno Unito e diversamente, purtroppo, da quanto accade in Italia, l’estremismo di destra qui è isolato politicamente, è al di fuori di ogni ipotesi di alleanza e di dialogo. Ipotesi di coalizione con dentro AfD non vengono neppure indicate nei tabelloni mostrati in tv. È più un pericolo sociale e culturale che politico. E però testimonia che una parte notevole di cittadini tedeschi, qualche milione, ha rotto il tabù che la storia aveva imposto, finora, alla cultura politica della Germania. I dirigenti del partito, Frauke Petry in testa, non sono nazisti, ma tollerano i neonazisti nelle proprie file e soprattutto pronunciano parole che era lecito considerare, almeno in questo paese, bandite.
Martin Schulz ha fatto un discorso chiaro parlando ai suoi dopo il disastro annunciato dagli exit-poll. Ha detto che d’ora in poi sarà la SPD a prendere la bandiera dell’opposizione e a battersi per la giustizia sociale. È stato anche coraggioso, e non era scontato dati i dubbi che attraversano anche il suo partito, sulla questione dei profughi, rivendicando le ragioni della tolleranza e dell’accoglienza. Saremo il bastione della democrazia, ha detto e s’è sentito il sollievo della folla. La SPD dovrà tornare a guardare a sinistra in tempi che si annunciano difficili. E dovrà combattere insieme con la sinistra alla sua sinistra.

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