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mercoledì 11 gennaio 2017

Hanno detto ... ...

Oggi la pronuncia della
Corte Costituzionale sul
Jobs Act
PIETRO ICHINO, giurista del lavoro
La speranza è che la Corte costituzionale disinneschi, dove possibile, la bomba di cui l’iniziativa referendaria ha acceso la miccia. Il quesito sui licenziamenti è vistosamente inammissibile, per la pluralità dei suoi contenuti e soprattutto per la parte di esso che mira non ad abrogare, ma sostanzialmente a introdurre nell’ordinamento la nuova norma circa l’estensione del campo di applicazione dell’articolo 18. Il quesito sui buoni-lavoro presenta un aspetto di irragionevolezza altrettanto evidente: tutti, compresi i sindacati di settore della Cgil, sanno che c’è una infinità di prestazioni occasionali per le quali non è ragionevole esigere dal datore di lavoro di aprire una posizione Inps e dotarsi di un libro-paga e matricola; eliminare i buoni-lavoro equivale a condannare tutte queste forme di lavoro a tornare nel sommerso. I 121 milioni di voucher utilizzati nel 2016 equivarrebbero, se si fosse trattato di rapporti a tempo pieno, a circa 60.000 posti di lavoro, in un Paese in cui le ore di lavoro si misurano in miliardi e la forza-lavoro è costituita da 23 milioni di persone: chi può ragionevolmente sostenere che quei 121 milioni di voucher offrono di per sé l’evidenza dell’abuso? Abusi, certo, ce ne sono stati; ma tutto sommato marginali rispetto al fenomeno nel suo complesso; individuiamoli e correggiamo la legge in modo da prevenirli. Eliminare i voucher, invece, significherebbe privare di ogni tutela il lavoro occasionale, in spregio all’articolo 35 della Costituzione, che protegge il lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”.
Quanto al quesito sulla disciplina degli appalti, esso mira alla soppressione di una norma contenuta nella legge Biagi del 2003 che attribuisce al sindacato la facoltà – la facoltà, si badi bene, non l’obbligo! – di contrattare “metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti”, sostituendo una disciplina negoziata a una rigida norma legislativa che regola la materia. Un sindacato che propone questo è un sindacato che nega la propria funzione. Stupisce che a farlo sia la confederazione sindacale guidata in passato da Giuseppe Di Vittorio, da Luciano Lama e da Bruno Trentin. E ancor più che in essa non si levi neppure una voce di dissenso.
PIERGIOVANNI ALLEVA , giurista del lavoro
La disoccupazione giovanile è il nostro principale problema ed infatti la mia proposta è prioritariamente diretta a ridurla quanto più possibile. Tuttavia, investimenti pubblici sono certamente indispensabili perché proposte di tipo redistributivo del lavoro esistente sono necessarie ma non sufficienti. 

Il Jobs Act ha portato la distruzione delle tutele e della dignità dei lavoratori intrecciata con una vera e propria truffa di dimensioni gigantesche. Ciò perché l'incremento dell'occupazione a tempo indeterminato altro non è in realtà che la trasformazione di precedenti contratti precari irregolari e come tali già da considerare per legge a tempo indeterminato. I molti miliardi, più di 20 nel triennio, pagati alle imprese per queste apparenti trasformazioni sono stati un incredibile regalo a dei contravventori delle regole contrattuali che avrebbero dovuto invece essere multati. Sarebbe stato molto più produttivo utilizzarli per creare nuovi posti di lavoro. 
Il Jobs Act ha portato la distruzione delle tutele e della dignità dei lavoratori intrecciata con una vera e propria truffa di dimensioni gigantesche. Ciò perché l'incremento dell'occupazione a tempo indeterminato altro non è in realtà che la trasformazione di precedenti contratti precari irregolari e come tali già da considerare per legge a tempo indeterminato. I molti miliardi, più di 20 nel triennio, pagati alle imprese per queste apparenti trasformazioni sono stati un incredibile regalo a dei contravventori delle regole contrattuali che avrebbero dovuto invece essere multati. Sarebbe stato molto più produttivo utilizzarli per creare nuovi posti di lavoro.  

L'incremento occupazionale di lavoro stabile prospettato non c'è stato perché il governo Renzi ha creato in concorrenza tipologie contrattuali ultra precarie, come i contratti a termine acausali ed i voucher-lavoro. Nel mercato del lavoro, come in ogni mercato, la moneta cattiva scaccia la buona e la cattivissima la cattiva. 

I voucher: vanno aboliti o è sufficiente regolamentarli? 

Il punto fondamentale è che i voucher non devono assolutamente essere utilizzati nell'impresa dove è essenziale, sia per la produzione sia per la dignità delle persone, che si instaurino dei rapporti di lavoro. Altra cosa è l'utilizzo da parte dei datori di lavoro non imprenditori, come famiglie o altri soggetti privati. Secondo me, comunque, sarebbe meglio abolirli. 

Non
 hanno avuto almeno il merito di far emergere il lavoro in nero? 

Il voucher non fa emergere ma incentiva il lavoro nero, in quanto costituisce in concreto un alibi per utilizzare lavoro irregolare. Con il voucher si denunzia un’ora di lavoro, ma questa è la foglia di fico per farne poi svolgere molte di più in nero. L'obbligo di avvisi telematici ed altre annunciate garanzie di cui parla il governo Gentiloni servirebbero solo se, non appena fatta la denunzia da parte del datore di lavoro, partisse un controllo “in loco” degli organi ispettivi il che, come si comprende, è una prospettiva inattuabile. 

Per il giuslavorista Pietro Ichino la Consulta, il prossimo mercoledì 11 gennaio, potrebbe bocciare l'ammissibilità dei tre quesiti proposti dalla Cgil, un rischio che vale soprattutto per quello riguardante l'art. 18. Che ne pensa?

L'argomento di Ichino è del tutto infondato e francamente penso che lo sappia benissimo. Il problema è tutto qui: se una regola ha un limite di applicabilità e si elimina questo limite attraverso un’abrogazione referendaria ovviamente l'ambito di applicazione della regola si espande ad un nuovo territorio e se tutti i limiti vengono aboliti la regola diventa generale. L'abrogazione di un elemento negativo e il conseguente ampliamento positivo della regola sono in realtà le due facce di una stessa medaglia. La Corte ha già affrontato questo problema nella sentenza n. 41 del 2003 che dichiarò ammissibile un quesito referendario che abrogava tutti i limiti all'applicabilità dell'articolo 18. Questa volta si chiede di eliminare un solo limite, quello dei sedici dipendenti. 

Però anche altri analisti temono che l’11 gennaio possa giungere una bocciatura... 

Il problema purtroppo non è giuridico e un giudizio di inammissibilità da parte della Corte costituirebbe un grave caso di incoerenza da un lato e di interferenza politica dall'altro. 

Se alla fine ci sarà il referendum e se dovesse vincere il Sì abrogativo, per l'art 18 si tornerebbe ad una situazione pre-Fornero? 

Sì, nel senso che la formulazione originaria dell'art 18 varrebbe per tutti, anche per i lavoratori delle imprese di livello occupazionale compreso tra i 5 e i 16 dipendenti. Voglio sottolineare questo argomento che potrà avere un grande valore propagandistico: tutti i lavoratori che sono stati assunti col cosiddetto “contratto a tutele crescenti”, che in realtà significa senza garanzia di stabilità, votando Sì al referendum regaleranno a se stessi la stabilità e la sicurezza del posto di lavoro. 

Per anni si è pensato alla flessibilità in uscita – quindi la possibilità dell’azienda di poter licenziare il lavoratore – per rilanciare l'economia italiana. Per anni, quindi, visti i risultati odierni, si sono sbagliate tutte le politiche? 

Ho sempre avuto un senso di repulsione verso il ragionamento per cui senza art. 18 le imprese assumerebbero maggiormente e più volentieri: equivale a dire che vogliono tenere sotto ricatto di licenziamento ingiustificato i lavoratori in maniera che quest'ultimi non possano mai alzare la testa o avanzare qualche rivendicazione. Così non si va da nessuna parte, perché è solo dalla fidelizzazione della risorsa umana, e cioè dalla fiducia e dignità e dall'identificazione dei lavoratori con l'impresa, che può aumentare la produttività. 

Torniamo al dramma della disoccupazione. Come affrontare la progressiva scomparsa del lavoro provocata dall’automazione tecnologica? Dalla fase di alienazione dovuta alla diffusione delle macchine, arriveremo alla scomparsa dell’uomo dai luoghi di lavoro? 

La progressiva automazione del processo produttivo resta ovviamente un problema centrale per i destini della società capitalistica: la continua crescente sostituzione del lavoro vivo con lavoro morto secondo Marx costituisce per il capitalismo l’avverarsi del monito “fratello ricordati che devi morire”, nel senso del riproporsi in modo sempre più drammatico di crisi di sottoconsumo. È inevitabile che le merci non trovino più sbocco di mercato se le persone che dovrebbero acquistarle, vendendo la loro forza lavoro, vengono progressivamente estromesse dal processo produttivo. Il capitalismo non ha i mezzi per contrastare questa sua malattia endogena se non quello di aumentare, spesso in maniera artificiosa, i bisogni e quindi la produzione, ma il risultato finale non è, a quanto pare, in equilibrio.


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