StatCounter

martedì 31 gennaio 2017

Economia. Nel mondo globalizzato ... la democrazia

La crescita economica

Il concetto di crescita economica ha connotazioni valutative per i politici, gli economisti e per i giornali che provano a renderne conto all'opinione pubblica.
Se, ad esempio, si afferma che l'economia è cresciuta del 4% è palese che in ogni settore della società si diffonde grande soddisfazione nel dirlo, mentre se si è in recessione  perché l'economia decresce dell'1% è ovvio che l'allarme diffonde imbarazzo in una intera nazione.
Quando un governo riesce a registrare crescite elevate del Prodotto Interno Lordo (PIL) è segno che -con competenza- riesce ad applicare una politica economica efficace. Quando l'economia decresce i governanti non assumono mai la responsabilità e rilasciano dichiarazioni individuando le cause nei precedenti governi, nei cicli sfavorevoli, nello sfavore degli organismi internazionali e magari nel fato.
I paesi europei, l'Italia soprattutto, dalla crisi del 2007-2008 non sono riusciti a venire fuori definitivamente. In Italia -come da una quasi tradizione delle classi politiche- si prova ad accendere i motori della crescita con una unica terapia: l'indebitamento pubblico. E siccome i motori non si sono ancora accesi ... stiamo per accostarci alla situazione della Grecia, dove sono stati posti in vendita i porti, gli aeroporti e pure i millenari monumenti storici per far fronte al debito.

Prescindendo dalle facili valutazioni politiche, in questa rubrica ci limiteremo alle considerazioni prettamente economiche.

ll PIL si misura in denaro e gli organi internazionali come l'OCSE e la stessa ONU dal secondo dopoguerra si sono adoperati a rendere omogenei i criteri del relativo calcolo.
Il PIL non è altro che il valore di tutti  beni ed i servizi prodotti nell'arco di un anno.  
(segue)   

Non tutti vediamo le stesse cose. Giornali i cui interessi e le cui visuali differiscono

La prima pagina del Corriere è di "allerta": l'Italia sul pano economico finanziario ha tanti problemi.  Lo spread, lo strumento che a suo tempo spazzò via Berlusconi, riconquista la prima pagina.
Poco spazio è dedicato a ciò che fa Trump. 
Il mondo degli affari non intende irritare nessun potenziale interlocutore, anche se si chiama Trump.

Diversa la prima pagina de La Repubblica.
Il giornale di De Benedetti da tempo ha puntato su Renzi, salvatore della patria, motivo per cui ritiene opportuno non evidenziare le difficoltà di un paese, l'Italia, malmesso in economia, in preda allo spread e nelle fosche previsioni del futuro. I titoli grossi sono dedicati a Trump e alla sua politica. 
A Renzi, basta "il punto", in un angolino. 
La redazione (forse) pensa che per fare un favore a Renzi è preferibile non parlare di lui.


Hanno detto ... ...

LA CASA BIANCA, sede della Presdenza Usa
"È il momento di essere seri nel proteggere il nostro Paese. Chiedere controlli accurati per gli individui che arrivano da sette posti pericolosi non è estremo. È ragionevole e necessario per proteggere il Paese".

DALLY YATES ministro della giustizia, licenziata da Trump per avere ordinato al Dipartimento di non difendere in tribunale il decreto sull'immigrazione del presidente. 

"La mia responsabilità è quella di assicurare che le posizioni che assumiamo in tribunale rimangano coerenti con il solenne obbligo di questa istituzione di perseguire sempre la giustizia e stare dalla parte del giusto. Al momento non sono convinta che la difesa dell'ordine esecutivo sia conforme a queste responsabilità e neppure che sia legale".

ANGELA MERKEL, cancelliere tedesco
Oggi non serve commentare Giannelli:
La statua della Libertà impacchettata
"La necessaria e decisiva lotta al terrorismo non giustifica in alcun modo un generale sospetto contro persone di una specifica fede, in questo caso musulmana, o persone di specifica origine. L'azione contraddice il concetto fondamentale dell'aiuto internazionale ai profughi e della cooperazione internazionale"

ROBERTO SAVIANO, scrittore
E a me vengono in mente quei versi bellissimi e tremendi della Canzone del Maggio di De Andrè: «Anche se vi credete assolti siete lo stesso coinvolti», ma qui tutto si capovolge: essere in piazza non basta più. Non serve solo essere presenti, ma bisogna trovare la direzione, perché il passo successivo sarà ingrossare noi stessi le fila degli incazzati, dei delusi, dei frustrati che vedranno in Trump il Messia vendicatore, che erigendo muri e cancellando parole avrà trasformato l’America nel paese degli Hobbit (=mezziuomini).

VITTORIO SGARBI, opinionista
Voglio persone di specchiata capacità. Quelle di professata moralità (e indubbia incapacità) le lascio a Grillo.

lunedì 30 gennaio 2017

La vicenda umana

La vicenda umana,  3                                  


La vicenda umana 1
La vicenda umana n. 2

07) 
Quanto il presidente Trump sta facendo -violando i principi dei diritti dell'uomo e della stessa Costituzione degli U.S.A.- ai danni dei credenti di una fede religiosa coinvolge tutti gli esseri umani, dai più deboli, dagli attardati e dagli sconfitti della terra alle congerie dei cosiddetti "poteri forti", cominciando da quelli della politica, dell'economia, della finanza, dello spettacolo e chi più ne ha più ne metta.

08)
Ciò che il presidente Trump sta portando avanti in quella che fino a ieri era la Patria delle libertà segnala un pericoloso indebolimento etico, culturale, interiore in una parte del pianeta, l'Occidente, dove da qualche decennio serpeggia una diffusa inquietudine.  
A prescindere da Trump, l'inquietudine ha origine più lontana, però questo nuovo presidente ha mosso un attacco -dalle conseguenze incontenibili- niente meno che contro la libertà di religione, contro le popolazioni ed  paesi che professano una fede. Come se un miliardo di mussulmani fossero tutti dinamitardi, tranne quelli provenienti dall'Arabia Saudita (sic!).  
C'è qualcosa di malato, di non facile comprensione.  

09) 
L'inquietudine dell'Occidente ha il suo apice nella tragedia delle Torri Gemelle (11 settembre 2001), quando persero la vita 2.974 persone, esclusi i diciannove dirottatori: 246 su quattro aerei di linea, 2.603 a New York e 125 al Pentagono 
L'Occidente mai aveva provato fino ad allora le sensazioni e le forme di pericolo che mettevano a rischio il suo stile di vita, se non durante le barbarie della seconda guerra mondiale e della Shoah. 
Politici, filosofi e uomini comuni da quell'11 settembre tornarono ad interrogarsi sull'assenza di Dio, taluni addirittura della sua morte.

10) 
Gli spiriti credenti -quell'11 settembre- fecero propria la risposta di Elie Wiesel, lo scrittore ebreo che racconta in una pagina de La notte l'esecuzione in un lager nazista di tre condannati a morire impiccati, e uno dei tre, un bambino, agonizza a lungo. Wiesel scrive di aver sentito la domanda: "Dov'è dunque Dio ?", e dentro di sé una voce che rispondeva: "E' lì, appeso a quella forca". 

11)
Gli spiriti non credenti -quell'11 settembre- fecero propria di contro una delle "immagini" di Karl Marx, acuto interprete dell'evoluzione sociale e sulla vischiosità -nel presente- delle vicende del passato.
Aveva scritto: "La tradizione di tutte le generazioni defunte pesa come un incubo sul cervello dei viventi. E proprio quando sembra che essi, i viventi, lavorino a trasformare se stessi e le cose, a creare ciò che non è mai esistito, proprio in tali epoche di crisi rivoluzionaria essi evocano, con angoscia, gli spiriti del passato".
E' l'immagine del morto che si aggrappa al vivo, e lo trattiene, lo trattiene a coltivare ulteriormente il male. 
Detto in altre parole, mentre auspichiamo un mondo del dialogo e dell'accoglienza umana, c'è sempre un Trump che ci rievoca un qualcosa da dover vendicare, che ci riconduce all'indietro e ad essere peggiori di chi ci ha intralciato.  

Cristianesimo. Storie, ricorrenze, fatti, personaggi ed Ecumenismo di oggi n. ''008

Cosa significa oggi "credere" nella società occidentale 
votata al positivismo,  dove ciò che conta
 e' ciò che vedo, sento e tocco ?
024)
Secondo il cardinale Martini (1) la "fede", nella sua radice ebraica, significa appoggiarsi: come chi si appoggia ad una roccia per non farsi trascinare dal fiume in piena. Fede e' quindi appoggiarsi a Dio, solo a Lui.

Questa fede e' certamente difficile.


025)
Chi ha fede, chi crede, non si limita ad ammettere con intelligenza la realtà di un Essere Superiore, ma si affida a lui con un atteggiamento di abbandono fiducioso, rimette a lui la sua vita, e questo ha un peso determinante sul modo di rapportarsi al mondo, agli altri uomini, e di affrontare le dure prove che la vita non risparmia a nessuno, compresa la morte.


026)
Chi ha fede non si sente più angustiato dal bisogno di sapere se Dio esista o meno. Nè gli viene più di chiedere di raddrizzare ciò che è storto, semmai di continuare ad essere la ragione che lo spinge a tenere conto di Lui nella propria esistenza.

Gli basta vivere la realtà cosi come essa è.  Su questo proposito  il teologo Hans Kững (2) sostiene: "l'amore di Dio non mi protegge da ogni sofferenza, mi protegge in ogni sofferenza, nell'attesa della vittoria definitiva dell'amore".


027)
La fede è data a tutti ed è costitutiva dell'umanità di ogni essere.

Tutti possono rifiutarla o accettarla, poichè ciò che i cristiani chiamano "fede" non è nè un insegnamento intellettuale  nè una dottrina esoterica o intimistica, ma una forza operante, una forza che agisce.


028)
Secondo l'abbè Pierre, al secolo Henri Groues (3) , la fede non dà, a chi crede, più cose di quante la ragione non dia a qualunque uomo di chiaro intelletto; ma una cosa dà  che è tutt'uno con la coscienza: l'altrettanto certezza che l'Eterno è amore, e che l'amore crea giustizia.  Poi aggiungeva: "dinnanzi agli enigmi di questo mondo i nostri fratelli non credenti sappiano che le stesse oscurità sussistono anche per noi che, impegnati nella stessa ricerca, vogliamo cercare insieme, onestamente, senza chiudere gli occhi su nulla".

"Chiediamo, attraverso Dio, che il pane sia spezzato per tutti e che a spezzarlo non siano i ricchi, ma questa famiglia urlante dei poveri. Poichè Dio è nel pane, prima sfami noialtri e poi parliamo di amore".


029)
Per Rudolf Bultmann (4) il credente non è mai l'uomo naturale, nè la fede è mai ovvia e naturale, ma è sempre un miracolo.  Essa non sorge dall'uomo ma è la risposta dell'uomo ad un annuncio. Il fatto che Dio sia Padre e che l'uomo sia figlio di Dio non è una nozione cui si possa giungere direttamente, anzi, non è affatto una nozione, ma un atto meraviglioso di Dio a cui si può sempre e soltanto tornare a credere.

030)
Ma quale e' il contenuto centrale della fede cristiana ?
La sostanza permanente della fede e' Gesu' Cristo: egli in quanto messia e Figlio dell'unico Dio di Abramo, egli che, mediante il medesimo Spirito divino, opera ancora oggi (Hans Kung) (2).



(1) Carlo Maria Martini, gesuita, arcivescovo di Milano (Torino 15.02.1927-Gallarate 31.08.2012)

(2) Hans Kung, teologo e saggista svizzero ( Sursee 19.03.1928)

(3) Henri Groues, sacerdote, partigiano e uomo politico, detto Abbè Pierre, (Lione 05.08.1912-Parigi 22.01.2007)

(4) Rudolf Bultmann, teologo evangelico, (Wiefelstede 20.08.1884-Marburgo 30.07.1976)

Hanno detto ... ...

SOFIA VENTURA, politologo
Narciso ha un solo progetto: sé stesso. E poiché è Narciso, pensa davvero che potrà fare grandi cose, così come pensa davvero di averle fatte, ma poiché questa convinzione non può mai vacillare bisogna oscurare gli specchi che non riflettono l’immagine splendente, e cercare gli specchi giusti. Le assemblee-stagno, ad esempio; i cortigiani compiacenti, ad esempio. E poi c’è quel meraviglioso specchio per i potenti che è la grande stampa italiana, che anche se parli per un’ora senza dire nulla, senza esprimere una sola idea, riesce a fare i titoli su quello che hai detto. Sino a quando non comincia a incrociare altri equilibri di potere … e improvvisamente ti dice che non sei più tu, Narciso, il più bello del reame, ma Biancaneve.
Narciso rivuole il suo palcoscenico. Lo ha lasciato per un momento ad un amico, ma mai fidarsi troppo degli amici. Deve tornare in fretta. Deve tornare in fretta per riprendere la narrazione di Narciso il riformatore, perché narrare è vivere, il narrato è reale.
ANTONIO MAGLIE, collaboratore della Fondazione Pietro Nenni
Benoit Hamon in Francia vince le primarie del partito socialista (battendo Valls) nel giorno in cui a Berlino Martin Schulz conferma la sua candidature alla Cancelleria in contrapposizione alla destra di Angela Merkel e all’ultradestra xenofoba di Frauke Petry. Due candidati che sembrano recuperare, almeno timidamente, il linguaggio tradizionale della sinistra.Schulz nel suo discorso di investitura ha liquidato la “grande coalizione affermando che “l’Spd partecipa alle elezioni del 2017 per diventare la prima forza politica del Paese. E io corro per diventare cancelliere”. Ha lanciato un duro attacco tanto all’Afd facendo riferimento a un terribile passato che ancora imbarazza la Germania (“Frauke Petry si allea con il Front National in un paese che ha conosciuto un nazionalismo aggressivo e il suo partito non è un’Alternativa per la Germania, ma una vergogna per la Repubblica federale tedesca”). Ma non ha risparmiato accuse alla coalizione di destra che sostiene la Merkel e in particolare alla Csu di Horst Seehofer (“Battere le mani a Viktor Orban ha rappresentato un affronto aperto agli interessi della Germania”). Ma soprattutto ha messo sotto accusa le politiche economiche dell’attuale governo e il ministro delle finanze, Wolfgang Schaeuble: “Il fatto che il ministro delle Finanze voglia usare il surplus di bilancio per tagliare le tasse, invece di investirlo per i nostri figli, vuol dire che serve un ministro delle finanze socialdemocratico”. La Spd di Martin Schulz, infine, ripropone come obiettivo una società più giusta da realizzare attraverso anche una riforma fiscale che ripristini una vera progressività (la leva delle imposte, cioè, per ridistribuire realmente la ricchezza).
Non è diversa l’impostazione di Benoit Hamon, “allievo” di Lionel Jospin, da sempre aspramente critico nei confronti della fallimentare interpretazione della politica socialista fornita da Hollande e Valls. Ha sconfitto a sorpresa e largamente Manuel Valls uno dei cinque in camicia bianca alla Festa dell’Unità di qualche anno fa insieme a Renzi; oggi quella foto con il tramonto del francese, il rovinoso fallimento dello spagnolo Pedro Sanchez e la non entusiasmante performance al referendum dell’ex presidente del consiglio, è l’immagine storicizzata della “terza via” blairiana devastata dalla durezza della crisi che non sembra ammettere troppe mediazioni con il liberismo trionfante. L’esponente della Gauche interna al Psf dai sondaggi non era considerato e, invece, come è spesso capitato negli ultimi anni, ha superato abbondantemente il favorito: 58 per cento a 41.
Hamon parla di reddito universale, di politiche energetiche nel segno dei principi ecologici (abolizione delle auto diesel entro il 2025, contenimento del ricorso al nucleare per produrre energia, sviluppo delle fonti rinnovabili), di interventi sociali a sostegno dei più deboli, di orario di lavoro a trentadue ore, di una tassa per le aziende che introducono i robot. E nel giorno di questa prima imprevedibile vittoria dice: “Dobbiamo immaginare risposte nuove, riflettere sul mondo per com’è e non per com’era”. Riscopre, insomma, sull’onda del messaggio di Bernie Sanders, quei valori che l’Eliseo negli ultimi quattro anni ha riposto in soffitta (non a caso tra le proposte di Hamon c’è anche la cancellazione della “loi travail”). Tanto l’impresa di Schulz quanto quella di Hamon (che dovrà provare a conquistare il turno di ballottaggio togliendo il posto o a Marine Le Pen o a Francois Fillon, cioè destra estrema e destra tradizionale) sono obiettivamente disperate. La Merkel è fortissima mentre il francese è stretto a sinistra tra Jean Luc Mélanchon e il verde Yannik Jadot (con i quali proverà ad aprire un dialogo) mentre al centro gli fa quasi da argine l’ex compagno di partito (il volto tecnocratico di una sinistra a pezzi) Emmanuel Macron. Ma il recupero, seppur timido, di antiche tradizioni almeno lascia ben sperare.
GIULIO TREMONTI, già ministro delle Finanze
Nell'insieme, è stato un processo intensissimo, pur iscritto in un periodo di tempo brevissimo: novembre 1989, Berlino, la caduta del "Muro"; 
maggio 1994, Marrakesh: il WTO, un trattato che non è solo commerciale, ma anche e soprattutto politico; 
gennaio 1996, Washington: la spinta più potente verso la globalizzazione arriva con la seconda Presidenza Clinton; 
novembre 2001, Pechino: la Cina (l'Asia) aderisce al WTO; 
ottobre 2008, New York: esplode la crisi finanziaria. 
Ed è così che si arriva a oggi.
Qui è curioso notare come il potere della finanza si sia rafforzato, se pure "pro tempore", proprio grazie alla crisi finanziaria da esso stesso generata. Quelli che avrebbero dovuto essere i perdenti sono infatti diventati i vincitori: non "occupy Wallstreet", come era negli slogan di protesta, ma Wall Street che salvifica veniva ad occupare la Casa Bianca. E poi, in Europa, l'Unione europea!
E' nell'insieme così che in due sole decadi, ma per la prima volta nella storia, il rapporto tra il "potere" ed il "denaro" ha visto la quasi assoluta concentrazione del primo nel secondo: la concentrazione del potere nel denaro.

L'America in subbuglio. Un presidente figlio di immigrati e sposato con una immigrata è caduto in preda al "populismo" al punto da ignorare le regole e le condizioni oggettive in cui si trova a vivere

Articoli  14 e  18 della dichiarazione dei diritti dell’uomo;
art. 14 - Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”. 
art. 18 - “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo”

Parte iniziale del I emendamento costituzionale degli Stati Uniti.
Il Congresso non potrà fare alcuna legge che stabilisca una religione di Stato o che proibisca il libero esercizio di una religione”. 

domenica 29 gennaio 2017

Palermo. Rispuntano i lustrascarpe: un Paese che doveva correre in avanti e rotola ... all'indietro

LA STAMPA







II signor Nunzio Reina, presidente della Confartigianato di Palermo, ha scoperto il mondo dei lustrascarpe ed è convinto che valga la pena rivitalizzarlo e promuoverlo. 
Bella scoperta, si dirà. Di lustrascarpe c'è in Italia una gran diffusione, si annidano nei gangli della politica, della finanza, delle professioni, dovunque sia utile, se non necessario, piegarsi al salamelecco e all'adulazione. 
Ma il signor Reina non si esprime in termini figurati, pensa proprio all'antico mestiere - del pulire e lucidare le scarpe - esercitato per strada. 
Vuole costituire una cooperativa, composta di quindici persone, che dovrebbe garantire uno stipendio fisso, ed ha già messo in atto una selezione che ha avuto un avvio sorprendente. Settanta persone, alcune dotate di buoni studi, hanno spedito il loro curriculum. Non si sa bene come si possano individuare le loro attitudini in merito e in che cosa consista il previsto corso di formazione. 
I promossi saranno comunque dislocati in luoghi sensibili come la stazione, il tribunale, l'aeroporto. Muniti di sedia e seggetta, di lucido, spazzole e stracci attivati con l'olio di gomito. 
L'iniziativa nasce nel disastrato contesto palermitano, dove oltre il 50 per cento dei giovani non hanno una occupazione
I candidati meritano dunque una piena comprensione, attestano una buona volontà che non si lascia irretire da una fatalistica inerzia o dalle suggestioni malavitose. Vanno riconosciute anche le buone intenzioni del presidente Reina, espresse semmai con qualche parla di troppo là dove si compiace del recupero di «una tradizione di Palermo». Di cui francamente, si potrebbe fare a meno. 
Questa storia fa in mente un film di Vittorio De Sica, «Sciuscià», un capolavoro del Neorealismo. Sciuscià è la deformazione dialettale del termine inglese «shoeshine» e indica i ragazzini costretti, con altri infami sfruttamenti, a lustrare le scarpe ai militari angloamericani. 
Avveniva settant'anni fa, al tempo dell'occupazione alleata a Palermo, Napoli, Roma. Ora la situazione è ovviamente diversa. I lustrascarpe sono cresciuti, vengono arruolati e, in qualche misura, tutelati attraverso un concorso. 
Non si vedono in giro conquistatori e, indiscutibile vantaggio, non c'è guerra. Ma proprio per questo suona stridente la costrizione di giovani disoccupati ad un lavoro  desueto e umiliante. Non c'è neanche la guerra ad assolverci.

Hanno detto ... ...

PALO GENTILONI, premer
Tutti i Trump che ci capitano sul cammino
della vita forse hanno una funzione.

C fanno ricordare quanto siano
importanti i valori che
ultimamente abbiamo difeso
in maniera (forse) tiepida
L'Italia è ancorata ai propri valori. Società aperta, identità plurale, nessuna discriminazione. Sono i pilastri dell'Europa

FABRIZIO BARCA, ex ministro pd

Aspettiamo dichiarazioni durissime del Governo italiano contro l'atto inammissibile e pericoloso per il mondo del Presidente USA

MAGDA LEKIASHVILI, ricercatrice Pontificia Università San Tommaso D'Aquino, collaboratric Fondazione Pietro Nenni

Donald Trump e Vladimir Putin hanno avuto una conversazione di circa 45 minuti, durante la quale la frase più ripetuta è stata: “nuovo rapporto fra uguali”. Lo scopo comune per i “giganti” del mondo è la cooperazione per sconfiggere lo Stato Islamico (ufficialmente perché, poi, ufficiosamente, bisogna sempre fare i conti con altre motivazioni: in campagna elettorale il presidente americano e altri suoi collaboratori, come il segretario di Stato Tillerson, sono stati accusati di intrattenere rapporti d’affari con la Russia).
“Entrambe le parti hanno dimostrato la volontà di stabilizzare e sviluppare la cooperazione russo-americana su una base costruttiva e reciprocamente vantaggiosa” – afferma il Cremlino. Si inizia anche a discutere su un possibile luogo e una data per una vertice fra i due (l’Islanda sarebbe stata una scelta suggestiva perché avrebbe ricordato l’incontro tra Reagan e Gorbaciov che portò alla fine della Guerra Fredda). Sembrano aver fretta. Anche perché secondo Mosca durante la presidenza di Obama sono stati causati danni estremamente rilevanti al rapporto bipolare (anche se in realtà la bipolarità è stata sostituita dalla multipolarità e la Russia non è l’Unione Sovietica con il corollario del Patto di Varsavia). Per ripararli ci sarà bisogno di tempo e di un impegno serio, a parere dei due.
PAOLO BERDINI, assessore della Giunta Raggi
Come leggere ?Nel paese dei Balocchi c'è Pinocchio (Renzi ?) che fa
esplodere un palloncino (all'interno del Pd ?)
col rischio di trasformarsi in asino e finire
a terra.
Nel luna park romano, in realtà una
baracca, tutti appaiono, dalla Raggi a ... 
“Sono stati sette mesi travagliati, inutile negarlo. Perciò serve cambiare passo. Altrimenti Roma muore. Implode. Ogni giorno vengono chiuse strade perché non c’è manutenzione. Il sottopasso sotto San Pietro, interdetto per via del terremoto, ha trasformato la zona in una trappola per auto e bus. Poi c’è il crollo di Ponte Milvio. La capitale è in affanno perché non curata per decenni. E noi fatichiamo a dare risposte”
LEOLUCA ORLANDO, sindaco di Palermo 
"Prima il problema era capire se il sindaco lo sapevo fare, ora che si è capito, bisogna fare squadra. Il mio partito si chiama Palermo, ho il dovere di creare le condizioni per cui questa città non sia più condizionata da logiche politichesi, di lacci e lacciuoli che hanno distrutto Palermo. Liberandoci di questo l'abbiamo salvata".

Fidarsi. Nel mondo in cui viviamo è inevitabile: grazie al pluralismo e alla democrazia ... dobbiamo

IL FOGLIO
(28.01.2017)



























II 19 dicembre 2011 ho ricevuto una mail da uno dei curatori del sito Reopen-09/11 che sostiene che la versione ufficiale degli attentati dell'11 settembre 2001 - azioni omicide promosse da al Qaida - sia discutibile. Mi ha scritto perché io a più riprese, nei giornali, alla radio e anche alla televisione, avevo avuto l'occasione di mostrare come i meccanismi propri delle credenze erano attivi in quelli che vengono chiamati i "miti del complotto". Si da il caso che io abbia talvolta utilizzato come esempio il caso di coloro che credono che quegli attentati siano stati organizzati dalla Cia. Ci sarebbe molto da dire di questa mail estremamente cortese, se non altro sulla domanda apparentemente innocente e piena di buon senso che mi faceva: "Non pensa che un'inchiesta indipendente permetterebbe una volta per tutte di mettere d'accordo quelli che sono convinti della versione ufficiale e quelli che hanno dei dubbi?". Questa domanda suggeriva che il rapporto ufficiale fosse stato scritto da esperti non affidabili, dando l'impressione, come succede spesso quando si chiede una perizia "indipendente", che il mio interlocutore sarebbe stato soddisfatto solo se questa perizia avesse alla fine prodotto un rapporto a favore delle sue tesi. Ma quello che ha maggiormente attirato la mia attenzione è stato l'oggetto della sua mail: "diritto al dubbio", che indicava che lo scrivente pensava che ci si stesse facendo beffe di un suo fondamentale diritto. Ci si potrebbe stupire che questa persona reclamasse un diritto di cui, manifestamente, godeva già completamente. Qualcuno gli ha impedito di aprire quel sito, di postare video su internet, di pubblicare dei libri, di scrivere articoli, di distribuire volantini per strada, di organizzare manifestazioni pubbliche o in generale di esprimersi? Comunque, una volta che questa domanda è stata fatta, possiamo ammettere insieme a lui che il diritto al dubbio è effettivamente fondamentale, non fosse altro perché senza questo di ritto la conoscenza umana non potrebbe correggere i propri errori. Se per esempio si togliesse questo diritto al mondo della scienza, non sarebbe possibile immaginare nessun progresso della conoscenza: le teorie scientifiche dominanti sarebbero state considerate immutabili e l'umanità avrebbe smesso di progredire, per non parlare delle conseguenze che l'assenza di questo diritto avrebbe sulla politica. Ma quello che questa persona non sembrava vedere reclamando il "diritto al dubbio" è che, come accade sovente con i diritti, questi implicano dei doveri. Perché dei doveri? Perché un dubbio che pretendesse di esistere per se stesso e senza nessuna limitazione può facilmente diventare una forma di nichilismo mentale, la negazione di qualsiasi discorso. Si può dimostrare l'esistenza di qualcosa, ma è impossibile dimostrare in via definitiva che qualcosa non esiste. Ora, è proprio questa la pretesa che ha la persona eccessivamente diffidente nei confronti di qualsiasi dichiarazione ufficiale : dimostrami che non c'è nessun complotto, dimostrami che questo prodotto non è pericoloso... Posso provare che esistono dei cavalli, ma non posso provare che non esistono liocorni. Se sostengo di non averne mai visti e che l'esistenza di una creatura siffatta sarebbe contraria alla zoologia, colui che dubita delle verità ufficiali potrà facilmente oppormi che la scienza si è spesso sbagliata nel corso della storia e che potrebbero esistere liocorni m luoghi inesplorati, nel cuore profondo delle foreste o su altri pianeti. Potrà anche invocare delle testimonianze di persone che sostengono di averli visti, mostrare le tracce che alcuni di loro potrebbero aver lasciato... E' un esempio del sofisma detto argumentum ad igno'rantiam, l'argomento dell'ignoranza. Come vedremo sono proprio le condizioni su cui oggi si ba- 
sa la nostra democrazia a favorire la diffusione déu'argumentum ad ãäïîãàïtiam nello spazio pubblico e del suo corollario: la possibilità, per colui che reclama il diritto al dubbio, di seppellire tutti i discorsi in contrasto con il suo sotto una valanga di argomenti. Si pensi che, riprendendo l'esempio dell'll settembre, il mito cospirazionista è sostenuto da quasi un centinaio di argomenti diversi, alcuni che invocano la fisica dei materiali, altri la sismologia o addirittura l'analisi dell'andamento della Borsa! Questa situazione porta a un labirinto mentale dal quale non sarà facile uscire per chi non ha già un parere definito; sia che egli approvi o no una tale ossessiva diffidenza, gli rimarrà una sensazione di disagio. In generale e a proposito del gran numero di domande che hanno a che fare con la salute pubblica, con l'ambiente, con l'esercizio del potere politico, con la diffusione dell'informazione sui mezzi convenzionali... il dubbio sembra rodere i nostri contemporanei. Questo diritto al dubbio sembra essere diventato così invadente che coloro che lo rivendicano come una specie di intimidazione morale sembrano dimenticare che esiste anche l'abuso dei diritti. A quelli che troveranno quest'osservazione liberticida, ricorderemo che non c'è nulla di più liberticida di una libertà che venga esercitata senza costrizioni e che l'impatto che potrebbe avere questo dubbio metastatico va molto al di là dell'irritazione che suscita in uno spirito razionale. Infatti se riflettiamo un momento, l'essenza dell'intera vita sociale è la fiducia. Riusciamo a vivere insieme agli altri esattamente perché abbiamo l'impressione che una certa dose di prevedibilità caratterizzi la vita collettiva. Così, quando il signor A esce per andare a lavorare spera che non sarà vittima di un furto o di un omicidio; quando paga un biglietto per il cinema si aspetta che l'operatore faccia in modo che sia proiettato il film in programma; quando ha il semaforo verde e passa con fiducia, egli suppone che gli automobilisti della strada perpendicolare alla sua rispetteranno il codice stradale, spera non senza ragioni che la sua lettera una volta imbucata raggiungerà il suo destinatario grazie a una catena di azioni messe in atto da funzionari di cui egli ignora praticamente tutto... Molte di queste aspettative sono implicite (se non fosse così il nostro cer vello sarebbe sommerso da una massa di informazioni da elaborare) perché fondate sull'esperienza di individui che sanno di poter contare, in media, su tale prevedibilità dell'ordine sociale: hanno fiducia. Questa fiducia è una credenza molto solida perché si fonda su un vasto insieme di esperienze, ma è anche fragile perché non è altro che una credenza. Ogni ordine sociale, per esistere, ha bisogno che questa credenza sia largamente condivisa. Basterebbe che qualcuno cominciasse a dubitare del fatto che i propri concittadini rispetteranno il semaforo rosso per far rallentare tutti a ogni incrocio e bloccare l'intero traffico cittadino. In linea di massima sembra che, in una popolazione, il livello di sfiducia nei confronti del potere politico sia correlato alla diffidenza verso l'altro, come dimostra la vasta inchiesta intemazionale condotta da Inglehart e dai suoi colleghi. Per fare un esempio, il Brasile, uno dei paesi dove la sfiducia nei confronti della politica è più forte, è anche la patria della diffidenza interpersonale, dato che solo il 2,8 per cento dei brasiliani dichiara di fidarsi degli altri. Le conseguenze dell'alterazione di questa fiducia possono essere anche più gravi. Così, se in presenza di un clima politico teso, circola la voce che sono stati sparati dei colpi d'arma da fuoco in città, un certo numero di persone possono decidere di non uscire di casa per non rischiare di essere vittime della violenza di un'improvvisa guerra civile. Così facendo contribuiranno a rafforzare l'idea che stiano per verificarsi eventi gravi, alimentando quindi un circolo vizioso. E' quello che sarebbe potuto succedere in India il 20 novembre 198i, quando a New Delhi corse voce che il presidente Zail Singh era stato ucciso. Durante le otto ore che precedettero il telegiornale della sera, la città visse nell'angoscia che questa falsa notizia non poteva non provocare. Traumatizzata dal recentissimo assassinio di Indirà Gandhi (il 31 ottobre 1984), l'opinione pubblica aveva la sensazione che la società indiana fosse fragile ed estremamente instabile. In quelle condizioni un secondo omicidio politico avrebbe potuto avere effetti sociali tragici. Funzionar!, impiegati di banca, alcuni insegnati, lasciarono il lavoro prima del dovuto, mentre i commercianti calavano le loro serrande e i centralini delle agenzie di stampa venivano presi d'assalto. Lordine sociale era minacciato, perché ognuno, non sapendo cosa avrebbe fatto l'altro, vedeva distrutto il congegno delle proprie aspettative quotidiane. La diceria venne smentita quando il telegiornale della sera mostrò le immagini del presidente che, in perfetta salute, riceveva i visitatori e assolveva i propri compiti. Il commentatore, che era al corrente della diceria, sottolineò che il presidente stava benissimo. Cos'era successo esattamente? C'era stato davvero un assassinio dentro il palazzo presidenziale, ma era stato ucciso un giardiniere. Nel contesto sociopolitico dell'India, l'interpretazione spontanea era: se c'è stato un omicidio a palazzo non può trattarsi che del presidente in persona. Quella volta non ci furono conseguenze per la città, ma avrebbe potuto andare diversamente. La fiducia quindi è necessaria sempre nella vita sociale, ma lo è ancora di più nelle società democratiche che si organizzano intorno ai progressi della conoscenza e alla divisione del lavoro intellettuale. In enetti, con il crescere della produzione di conoscenza, diminuisce la parte di competenza che il singolo può sperare di dominare. Maggiore è il numero di cose che si sanno, proporzionalmente meno importante è quello che so io. Tutti sanno che se un individuo, qualche secolo fa, poteva sperare di dominare l'insieme delle conoscenze scientifiche, oggi questo sarebbe impensabile. Questo significa che, paradossalmente, una società basata sul progresso della conoscenza diventa la società della credenza per delega, ovvero della fiducia, cosa che Tocqueville aveva già capito: "Non c'è al mondo nessun filosofo così grande da non credere un milione di cose per fede in qualcun altro e supporre molte più verità di quante ne abbia dimostrate. Questo non è soltanto necessario, ma anche auspicabile". Auspicabile, senza dubbio, perché non è immaginabile che possa soprav vivere a lungo un mondo dove ognuno verifica freneticamente tutte le informazioni. Malgrado ciò ci sono situazioni sociali in cui questo processo di fiducia è alterato. Le democrazie occidentali non sono, sia chiaro, nella situazione di tensione politica dell'India all'inizio degli anni '80 del secolo scorso. Non sembra che stia per scoppiare una guerra civile, ma è tangibile in tutti i settori la contestazione dell'autorità, delle dichiarazioni ufficiali e la diffidenza nei riguardi delle conclusioni degli esperti. Per esempio, i risultati di tutti i sondaggi sul tema della diffidenza, bene che vada sono ambigui, nel peggiore dei casi inquietanti. Un'inchiesta sul rapporto dei francesi con la scienza, realizzato nel 2011, ha prodotto risultati contraddittori, alcuni dei quali tradiscono il dubbio che rode i francesi su alcune delle principali domande. Così alla domanda: "Scienza e tecnologia producono più danni che vantaggi?", il 43 per cento risponde "sì". Potremmo rallegrarci che il 56 per cento risponda "no" (e 1º per cento "Non so") e che le percentuali siano esattamente le stesse alla domanda: "Grazie alla scienza e alla tecnologia, le generazioni future vivranno meglio di quelle di oggi?". Ma potremmo anche pensare che sia l'espressione di un'incredibile ingratitudine. Quelli che hanno risposto positivamente a queste domande si rendono conto che l'aspettativa di vita alla nascita che era appena 30 anni nel 1800 e aveva timidamente raggiunto 60 anni agli inizi degli anni Sessanta, oggi ha s

uperato gli 80 anni? Sanno che la temperatura media di un appartamento londinese nel XIX secolo era di 12°C? Si ricordano che sono esistite epidemie di peste, di colera o di tifo che hanno ucciso milioni di persone? Non apprezzano, nella vita quotidiana, i benefìci dell'elettricità, dell'e- lettronica o dell'informatica? Questo atteggiamento sospettoso nei confronti della scienza, in crescita da una trentina d'anni, è ancora più evidente quando si affrontano argomenti che i nostri concittadini credono di conoscere perché sono stati molto mediatizzati: il 58 per cento, per esempio, dichiara che non si fida che gli scienziati dicano la verità riguardo agli Ogm o al nucleare (ha fiducia solo il 33 per cento e il 35 per cento di loro rispettivamente). Inoltre il 72 per cento ritiene che le valutazioni sulla sicurezza delle centrali nucleari non siano affidabili. So che molti leggendo queste righe troveranno che quelle opinioni siano ragionevoli e non sembrerà loro che questi dubbi, espressi in questo modo, siano eccessivi. Se non fosse così non ci sarebbe motivo per scrivere questo libro. Gli Ogm costituiscono un esempio adeguato del modo in cui il falso si impossessa dell'opinione pubblica, ci ritornerò. Le biotecnologie in generale hanno visto travisare la loro immagine in tutta Europa a partire dalla metà degli anni Novanta. Questo atteggiamento sospettoso non riguarda solo la scienza. I giornalisti, per mezzo dei quali si suppone che i cittadini dovrebbero informarsi, non se la passano meglio. I francesi interrogati infatti, pensano nel 63 per cento dei casi che i giornalisti non siano indipendenti dalle pressioni dei partiti politici e del potere e nel 58 per cento dei casi dalla pressione economica. La televisione, che continua a essere la principale fonte di notizie in Francia ha perso più di 20 punti di fiducia dal 1989: oggi il 54 per cento dei francesi pensa che le cose non vadano (ne esattamente ne approssimativamente) come dice la televisione. I nostri concittadini poi si fidano dei politicilO solo nel 42 per cento dei casi e se i sindaci se la passano un po' meglio degli altri con un 54 per cento, i deputati si fermano al 30 per cento. Più di un francese su due non concede alcun credito agli uomini politici che governano il paese, sia che siano di destra che di sinistra, e solo il 30 per cento considera gli uomini politici francesi abbastanza onesti. Quando l'inchiesta si sposta a sondare lo stato d'animo dei nostri concittadini i risultati non sono più incoraggianti: la stanchezza, l'abbattimento e la paura sono in aumento, mentre la serenità, l'entusiasmo e il benessere diminuiscono (se si fa un confronto con una precedente inchiesta realizzata nel 2010). Ma il sentimento che aumenta più marcatamente è la diffidenza: +6 per cento, arrivando a un totale del 34 per cento degli intervistati. In generale, il 70 per cento considera che non si sia mai abbastanza prudenti quando si ha a che fare con gli altri e il 38 per cento pensa che la maggior parte delle persone cerchi di approfittarsi di loro. Nell'insieme la fiducia degli individui nelle istituzioni cala ovunque. Risultati analoghi si otterrebbero probabilmente in molti paesi occidentali, ma ammettiamo che la Francia sia un punto di osservazione ideale. Il malessere è già da molto tempo un problema nazionale nel nostro paese. L'ultimo studio (2012) dell'agenzia Gallup International condotto su 51 paesi per valutare il "morale" nelle diverse popolazioni, mostra che la Francia è il paese più triste del mondo. Ancora più inquietante è il fatto che l'inchiesta mostri che i francesi non sono mai stati così pessimisti, avendo raggiunto un livello di angoscia mai osservato da quando esistono questo tipo di inchieste. Eppure la prima risale al 1978, dopo il secondo choc petrolifero, quando sembrava che si dovesse rimettere in discussione il sistema economico nel suo complesso. Questo male, paradossalmente, colpisce tutti i paesi ricchi. E' sconcertante che questa inchiesta mostri che in Francia si è meno ottimisti che in Nigeria o in Iraq, paesi minac
ciati da fame e guerre civili. A meno di illuminanti spiegazioni, questi sorprendenti risultati — di nuovo la lettura di Tocqueville sarebbe utile — espressione collettiva di un punto di vista che sembra quello di un bambino viziato, sono quantomeno irritanti. Chi vive all'interno di una democrazia stabile, dove sono garantite libertà e sicurezza, sembra essere alla ricerca di un modo per apparire vittima di qualcosa. Come mostra Guillaume Erner, lo stato di vittima è, paradossalmente, di- ventato invidiabile nello spazio democratico. Il dubbio permette a tutti di ottenere lo stato di vittima, generalmente di potenti che complottano contro la verità. Infatti questa diffidenza può essere una semplice diffusa sensazione, ma può anche organizzarsi in un discorso di denuncia. E' il caso delle diverse teorie del complotto che negli ultimi anni sembrano fare ritorno in massa nello spazio pubblico. Di che si tratta? Di un universo paranoico che può essere delimitato da espressioni come "tutto è collegato", "niente succede per caso", o ancora "le cose non sono quello che sembrano essere". L'affare DSK (Dominique Strauss-Kahn), il club Le Siècle, gli Illuminati, gli attentati dell'll settembre, il terremoto di Haiti, gli uomini lucertola che hanno sostituito i nostri governanti, le inondazioni... Dai temi più strampalati ai più inquietanti, l'immaginario cospirazionista mette in scena l'idea che ci siano forze che ci impediscono di conoscere il mondo com'è veramente, che ci nascondono le cose; in un certo senso, non è che un'altro modo di esprimere la diffidenza che si è insinuata dovunque. I miti del complotto sono i mostri marini dell'immaginario umano, prima di tutto perché rendono un gran servizio alla nostra sete di comprendere il mondo. In effetti, tali miti sono fondati su un effetto di disvelamento molto soddisfacente per la mente, un sentimento simile a quello che proviamo quando troviamo la soluzione di un enigma: si tratta di dare coerenza a fatti che fino ad allora non l'avevano, di trovare relazioni tra avvenimenti apparentemente indipendenti, mostrando che sono oscuramente legati dalla volontà di un gruppo o di un individuo. Questi miti sono spesso spettacolari e colpiscono facilmente l'immaginazione. Di conseguenza sono facilmente memorizzabili, cosa che costituisce un bonus ulteriore per la loro distribuzione sul mercato cognitivo. D'altronde chi aderisce al mito del complotto ha la sensazione di saperne di più di una persona qualsiasi e di essere perciò meno ingenuo di lui. Per questo non è affatto semplice convincerlo della inconsistenza dei suoi argomenti, perché egli vede immediatamente il suo interlocutore come il difensore della tesi ufficiale che lui vuole combattere. Se si aggiunge a questo che i miti del complotto corteggiano spesso stereotipi o forme di sottocultura, si capisce facilmente che non c'è bisogno di essere irrazionali per considerarli seducenti. Nella storia non mancano esempi di miti del complotto: il Protocollo dei savi di Sion, l'idea che la rivoluzione francese sia stata fomentata dai massoni... Anche la sentenza nel processo ai templari può essere visto come un complotto. Il gran numero di avvenimenti immaginati o reali di cui non è stata trovata una spiegazione semplice possono contribuire a generare la leggenda cospirazionista. Il XX secolo non è rimasto indietro: gli ebrei, i massoni, gli zingari e altri sono stati, di volta in volta o contemporaneamente, stigmatizzati e considerati responsabili di ogni specie di piaga: disoccupazione, colera, inflazione, intrighi politici, manipolazioni dell'opinione pubblica, ecc. I miti del complotto non sono quindi nati nel XXI secolo, anche se oggi sembrano avere un uditorio inedito. Un esempio per tutti: non è sorprendente constatare, sondaggio dopo sondaggio, il successo del mito cospirazionista sull'11 settembre?
Non stupisce scoprire che questo mito ha successo soprattutto nei paesi arabi, dato che generalmente essi non sono caratterizzati ne da americanofìlia ne da israelofìlia (così circa un giordano su due e il 55 per cento degli egiziani crede che gli attentati siano opera degli Stati Uniti o di Israele), ma si ha il diritto di essere stupefatti che tale credenza sia piuttosto popolare in molti paesi occidentali come la Germania, dove il tasso di cospirazionisti arriva al 26 per cento. La Francia è più saggia perché tra gli interpellati solo il 15 per cento ritiene che gli Stati Uniti e/o Israele siano implicati, ma il 23 per cento di- chiara di non sapere e manifesta dubbi sulla versione ufficiale. I risultati più preoccupanti sono senz'altro quelli ottenuti negli stessi Stati Uniti, più di un'inchiesta mostra che il 36 per cento degli americani ritiene possibile o molto probabile che agenti federali siano implicati negli attentati. Come fa notare Véronique  Campion Vincent (2005), si credeva che la fantasia del complotto fosse confinata al pensiero reazionario, invece questa si è oggi diffusa in tutti gli strati sociali, e va oltre la pura tematica politica. La seconda caratteristica dell'attuale pensiero cospirazionista, ci spiega, è di immaginare l'esistenza di "mega complotti", ovvero di complotti con ambizioni planetarie. Tutto awiene come se gli argomenti fantastici fossero globalizzati come tutto il resto. Alcuni di questi miti suscitano facilmente la derisione. Come quando David Icke, ossessionato dalle lucertole, immagina i nostri politici più importanti come uomini-rettile discendenti da un'antica razza sumero-extraterrestre; o ancora quando alcuni difendono la tesi che i chemtraiis, le tracce lasciate dagli aerei nel cielo, sono delle sostanze chimiche disperse dai governi per manipolare il clima o le menti. Altre volte, come nella tragedia del Waco o nell'attentato omicida di Oklahoma City, fanno da contorno ad avvenimenti con epiloghi sanguinosi. C'è un'altra ragione per ritenere inquietante il loro successo attuale: i contemporanei miti del complotto, per quanto possano apparire diversi, sembrano convergere su una denuncia comune. In effetti le categorie dell'angoscia collettiva si sono modificate negli ultimi decenni. In questo panorama, un esempio emerge, emblematico, l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy: il 75 per cento degli americani oggi dichiara di essere d'accordo con la tesi del complotto. Chi è responsabile di quell'omicidio? Le risposte sono le più svariate: il Klu Klux Klan, gli extraterrestri, la mafia, ma l'immagine che ricorre, ossessiva, è quella della Cia. Il coinvolgimento dell'agenzia governativa americana non è senza ragione. Essa gioca ormai il ruolo del colpevole ideale in tut ti i complotti, perché rappresenta la faccia velenosa del potere americano. Due entità maligne e cospiratrici emergono dall'immaginario contemporaneo del complotto: la scienza e i governi occidentali con i loro servizi segreti, spesso mano nella mano con i media complici. Nel passato i colpevoli ideali erano i deviati o le minoranze, ovvero gli altri — questo ha avuto conseguenze terribili, lo ha dimostrato la storia. Ma oggi, le paure immaginarie propongono nuovi attori nel teatro dell'odio, che potrebbero benissimo essere nostri alter ego, a dimostrazione di un'ostilità verso se stessi dato che la scienza così come i nostri governanti o i media sono figure emblematiche della contemporaneità occidentale. Il colpevole ideale diventa l'occidentale, che vuole piegare gli altri e la natura ai suoi desideri sconsiderati e immorali. Per queste teorie del complotto, il caso è un ospite indesiderato; esse affermano di svelare la coerenza tra elementi disparati della storia umana, denunciando coloro che sono responsabili delle disgrazie del mondo. Con questo atteggiamento si nega la complessità del reale a favore della ricerca della causa unica e preoccupa il fatto che il pensiero contemporaneo veda nel dubbio e nel sospetto generalizzato un segno di intelligenza invece che una mancanza di discernimento. Quando si tratta di sapere se Barack Obama è stato o no teletrasportato su Marte all'età di 19 anni da un'agenzia segreta americana che voleva colonizzare il pianeta rosso, come affermano Andrew D. Basiago e William Stillings, autobattezzatisi "crononauti", può anche essere divertente. Ci si può tuttavia domandare se era davvero necessaria una smentita, per quanto ironica, come quella fatta dalla Casa Bianca nel gennaio 2012. E' senza dubbio più preoccupante quando questi sospetti cadono sulle conoscenze mediche portando, per esempio, a un regresso della pratica del vaccino su malattie quali l'epatite  î il morbillo, provocando morti che ignoreranno di essere stati vittime di questo generale sospetto. (...) Questo atteggiamento sospettoso, implicito o esplicito, è sempre esistito. E' appannaggio del potere, economico, politico o simbolico, ispirare un tale sentimento, ed esso ha accompagnato lastoria della democrazia fin dalle sue origini. Ma tale sospetto si è modificato, nelle tematiche, negli oggetti e, soprattutto, si è diffuso molto al di là dei luoghi della radicalità che, non molto tempo fa, erano i soli spazi dove si faceva sentire. E' difficile giustificare un fenomeno così generalizzato invocando la stupidità o la malafede come si fa spesso quando ci si confronta con credenze sconcertanti. Io scommetterò sull'opposto e partirò dall'ipotesi che la gente abiti può dimostrare resistenza di qualcosa, ma non che uakosa non esiste. E invece è questa la pretesa dei diffidenti Chi vive in una democrazia stabile, in libertà e sicurezza, sembra cercare un modo per apparire vittima di qualcosa "Tutto è collegato", "niente succede per caso", "k cose non som quello che sembrano essere" : frasi di un universo paranoico bia delle ragioni per credere quello che crede ed è per questo che il dubbio contemporaneo sviluppa argomenti, in apparenza particolarmente efficaci, che guadagnano consenso. Avere delle ragioni per credere, non significa che si ha ragione di credere, ma quello che ci spinge ad acconsentire, a parte i nostri desideri e le nostre emozioni, è la coerenza, la potenza argomentativa e la concordanza di affermazioni sbagliate che pretendono di chiarire il mondo e che ci vogliono far accettare come fatti. Quello che queste affermazioni sbagliate mettono in luce è il lato oscuro della nostra razionalità. (...) Nessuno in particolare è responsabile di questo stato di cose: ne i giornalisti, ne gli scienziati, ne i politici, ne gli intemauti, e neanche i cospirazionisti! Si tratta di una responsabilità condivisa. Per chiarire la situazione, mostrerò che essa proviene da un doppio processo di "democratizzazione": la liberalizzazione del mercato dei Tangibile in tutti i settori di contestazione dell'autorita, delle dichiarazioni ufficiali, la diffidenza nei riguardi degli esperti Alla domanda; "Scienza e tecnologia producono più danni che vantaggi7", il 43 per cento dei francesi ha risposto "sì" una società basata sul progresso della conoscenza diventa per paradosso la società della credenza per delega, owero della fiducia l'informazione (i media, su qualunque supporto essi siano, sono in concorrenza) e la rivoluzione dell'offerta di "prodotti" su questo mercato. Questo doppio processo risponde a due valori fondamentali delle nostre società: la libertà e l'uguaglianza, è perciò scomodo, per un democratico quale io sono, ritenerlo naturalmente cattivo. D'altra parte non si può proibire a nessuno di mostrare che produce effetti perversi così temibili che non ho timore di scrivere che esso indica i contorni di un momento storico molto inquietante per le nostre democrazie. Il fatto è che facilita un pericoloso slittamento: rende pubblici modi di ragionare inesatti che, nel passato, rimanevano privati. Questo lato oscuro della razionalità si sta impossessando dello spirito democratico.
Ma forse non è troppo tardi. Riusciamo a vivere insieme agli altri perché abbiamo l’impressione che una certa dose di prevedibilità caratterizzi la vita collettiva. Non è stupidita o malafede: quello che queste affermazioni sbagliate mettono in luce è il lato oscuro della nostra razionalità.