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sabato 5 novembre 2016

Il male nel mondo. Ben altra e megliio definita è la convinzione del Card. Ravasi rispetto al teologo di Radio Maria

La teologia occidentale, contrariamente a quella  orientale che privilegia l'esperienza, è nata nella culla della teodicea, ossia della "giustificazione" di Dio, messo in causa dalla presenza "scandalosa" del male fisico, metafisico, cosmico e morale. Così evidenzia nei suoi numerosissimi libri Gianfranco Ravasi.

Al contrario di padre Cavalcoli, il domenicano che incolpa la legge sulle unioni civili varata recentemente del Parlamento italiano per il terremoto che ha colpito -a ripetizione- vaste aree dell'Italia Centrale, il biblista Card. Ravasi, è molto più forbito nel linguaggio e pur rifacendosi alla Bibbia esclude le interpretazioni letterali.

Nel suo libro "Questioni di Fede" ed. Mondadori -2010- scrive, fra varie altre interpretazioni: 

"Tutte le civiltà, abbacinate di fronte alla veemenza del male, hanno escogitato risposte ovviamente complesse, spesso parziali.
Tanto per stare ancora all'esempio citato, il diluvio, in Mesopotamia esso, tra l'altro, è interpretato in chiave politeistica e dualista come frutto di una conflittualità intradivina, che oppone una divinità creatrice a un'altra distruttiva; la Bibbia si orienta, invece, come si è visto, verso una lettura storico-etica: "Il Signore vide che la malvagità degli uomini  era grande sulla terra e che ogni progetto concepito dal loro cuore non era altro che male" (Gn 6,5).
Il diluvio è, perciò, in questa interpretazione uno strumento di giudizio secondo la classica teoria della retribuzione per cui a ogni delitto  deve già ora corrispondere un castigo. Il cosiddetto  Chaskampfmotiv, ossia il tema della lotta contro il caos e il nulla, presente nella creazione, viene ripreso in senso inverso nella de-creazione diluviana, ma con finalità storico-morali.

In poche righe non è possibile render conto di questo insonne interrogare e rispondere della filosofia e della teologia. Certo è che nel caos del male cosmico si può almeno riconoscere in partenza che esso è quasi strutturale al creato stesso, ne è la condizione 'naturale'. Infatti la creazione è di sua natura limitata, quindi imperfetta, finita, affidata a meccanismi che possono incepparsi: il suo essere "buona/bella", come si ripete nella Genesi (cap. 1), è solo il segno dell'approvazione della sua realtà, dei suoi dinamismi, della sua vita, ma questo non esclude la sua qualità creaturale e non "divina". Il Creatore, perciò, per essere coerente con se stesso, rispetta da un lato, la libertà dell'uomo (da lui creato tale) con la conseguenza del male morale e, dall'altro lato, rispetta la finitudine e i limiti insiti alla natura, segno della sua creaturalità e radice del male cosmico.
Detto questo, però, non si può ridurre Dio a un mero notaio della realtà e qui le religioni introducono prospettive differenti per equilibrare  verità e amore in Dio, il suo rispetto delle qualità specifiche delle creature e la sua presenza partecipe. Stando solo in ambito  biblico, segnaliamo ad esempio la proposta del libro di Giobbe che si affida a una 'esah, ossia a un "progetto" metarazionale (non irrazionale) trascendente, nel quale anche il male trova una sua collocazione. Come scriveva Kant nel suo saggio Sull'insuccesso di ogni tentativo filosofico  in teodicea (1791) commentando proprio il libro di Giobbe, l'incidenza del male riesce a "dimostrare che per noi è raggiungibile una saggezza negativa, vale a dire la comprensione della necessaria limitazione delle nostre pretese riguardo a ciò  che per noi è troppo alto".

Il cristianesimo va oltre e supera il "ritrarsi" di Dio, compiuto nell'atto creativo per lasciare uno spazio autonomo al creato, proponendo invece  il successivo ingresso di Dio nel creato e nella storia con una partecipazione diretta, quella del Cristo, Figlio di Dio. 
Così Dio sperimenta in se stesso il limite, la morte, il male, deponendo però in queste realtà l'energia dirompente del divino, preparando in tal modo nella trama del tempo  e dell spazio, della stria e dell'umano una ricomposizione dell'essere creato nel quale non ci sia più "la morte, nè lutto, nè lamento, nè affanno, perché le cose di prima sono passate" (Ap. 21,4). E' per questo che San Paolo nella Lettera ai Romani parla della "creazione che attende con impazienza ... di essere liberata dalla schiavitù della corruzione" (8,20-21) così da pervenire a una pienezza che Teilhard de Chardin, come abbiamo già osservato, concepiva come un "punto Omega" cristologico, approdo dell'evoluzione (con qualche rischio metodologico nella sua visione  troppo "indistinta" di  scienza e fede). Certo è che, nella lettura teologica, quando l'essere creato (umanità e natura) sarà giunta a quell'apice terminale, "Dio sarà tutto in tutti" (1 Cor 15,28), non attraverso un panteismo metafisico, ma in un abbraccio redentivo di liberazione e di salvezza (come dicono i teologi, un en-teismo" soteriologico, ossia un "essere in Dio" per comunione salvifica)"

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