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sabato 4 aprile 2015

Hanno detto ... ...

MASSIMO L. SALVADORI,storico e autore di numerosi libri sul Nvecento


”Nel riflettere su ciò che costituisce il nucleo vitale della sinistra — insieme il suo valore fondante e il fine che essa non può non perseguire salvo negare se stessa — occorre tenere per punto fermo che esso è l’egualitarismo. Tutte le correnti della sinistra sono sempre state concordi nell’alzare come propria bandiera l’egualitarismo. Sennonché una tale concordia è costantemente venuta meno in relazione sia al tipo e al grado di egualitarismo sia ai mezzi per conseguirlo. A mio giudizio per chi voglia chiarirsi le idee resta prezioso il saggio di Norberto Bobbio Destra e sinistra, ripubblicato dalla Donzelli nel 2014.
Qui parte essenziale dell’analisi è dedicata a mostrare come la sinistra unita intorno all’egualitarismo si è aspramente divisa al proprio interno circa il “quanto” di egualitarismo da conseguire e come ottenerlo; tanto che la storia della sinistra è nelle sue linee dominanti storia di due assai diverse sinistre: da un lato la rivoluzionaria, la radicale, dall’altro la moderata, la riformista; da un lato i comunisti Winstanley, Babeuf, Marx, Lenin, Mao; dall’altro i riformisti Owen, Blanc, Bernstein, il “rinnegato” Kautsky, arrivando a Palme. La prima corrente aspirava all’egualitarismo integrale da assicurarsi mediante la collettivizzazione dei mezzi di produzione e la dittatura dei proletari, la seconda a un egualitarismo — cito Bobbio — «inteso non come l’utopia di una società in cui tutti sono eguali in tutto ma come tendenza (…) a favorire le politiche che mirano a rendere più eguali i diseguali» in forza dell’affermazione dei diritti sociali e nel quadro del rispetto della democrazia e dei diritti di libertà di tutti.
Questa la tavola dei valori e degli obiettivi delle due sinistre. La storia è stata implacabilmente impietosa con la sinistra comunista: prima l’ha portata ai massimi trionfi in termini di potere e poi l’ha fatta precipitare nella negazione pratica di tutti i suoi ideali culminata in un degradante totalitarismo. La sinistra socialista riformista ha avuto un migliore destino, raggiungendo nel Novecento con il “compromesso socialdemocratico” da cui sono venute le istituzioni del welfare , risultati importanti, che hanno contribuito in maniera determinante a ridurre le diseguaglianze, a dare maggiore dignità al mondo del lavoro, ad assicurare protezione agli strati sociali più deboli. Questa è l’unica sinistra che rimane, ma non versa affatto in buona salute. L’offensiva neoliberista l’ha svuotata, al punto che appare ridotta a un’esistenza residuale. Certo, è ancor sempre in Europa una forza elettorale tutt’altro che trascurabile. Ma, come sta dimostrando la Francia, non morde, si limita a resistere in una condizione di crescente affanno. A indebolire la socialdemocrazia sono fattori come il cedimento dei modi di produzione basati sulle grandi fabbriche e sulla concentrazione in queste ultime delle masse dei lavoratori metalmeccanici e siderurgici, l’avvento delle tecniche produttive legate all’automazione e all’informatica, l’indebolimento dei sindacati; il che ha privato i partiti socialdemocratici di quelli che erano i suoi tradizionali ancoraggi.

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