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sabato 11 aprile 2015

Da il Foglio: Lo Zar della nuova Roma

Putin ha usato religione e cultura per costruire il ventennio. La Russia come alternativa cristiana alla decadenza occidentale. Storia di un progetto ideologico
di Giulio Meotti | 08 Aprile 2015 

Al culmine della Guerra fredda, i conservatori americani erano soliti etichettare l’Unione Sovietica come “l’impero ateo” che sarebbe crollato perché aveva eliminato la religione. Due decenni dopo, è il Cremlino occupato da un ex ufficiale del Kgb e battezzato in segreto a lanciare la stessa accusa di ateismo agli Stati Uniti. “Molti paesi euro-atlantici hanno abbandonato le loro radici, compresi i valori cristiani”, ha detto il presidente Vladimir Putin. Ha fatto eco a Putin il patriarca della chiesa ortodossa, Kirill, che oltre ad aver definito Putin “un miracolo divino”, ha accusato l’occidente di essere impegnato in un “disarmo spirituale” del popolo russo, criticando le leggi europee che impediscono di portare simboli religiosi in pubblico.
“La direzione generale delle élite politiche occidentali è anti-cristiana e anti-religiosa”, ha continuato il patriarca ortodosso. “Abbiamo vissuto un’epoca di ateismo e sappiamo cosa vuol dire vivere senza Dio”. Altre figure all’interno della chiesa moscovita sono andate persino oltre nel criticare l’occidente. L’arciprete Vsevolod Chaplin, addetto culturale della chiesa ortodossa, ha suggerito un paragone fra il moderno occidente e l’Unione Sovietica che giustiziò 200 mila fra sacerdoti e credenti fra il 1917 e il 1937. Migliaia di chiese vennero distrutte e quelle che riuscirono a sopravvivere vennero trasformate in magazzini, garage o musei.
I primi dieci anni del potere di Putin sono stati pressoché privi di orpelli religiosi. Al Cremlino non si parlava mai di “valori” né si impartivano lezioni di morale all’occidente. I secondi dieci anni, forti di un nuovo cesaropapismo bizantino ed estraneo alla tradizione occidentale, sono stati invece all’insegna di una vera e propria “rivoluzione conservatrice” che si basa sulla rinascita della cultura ortodossa isolata per secoli dalla civiltà europea e che ha sentito meno il soffio della cattolicità – polemico e vivificatore – del Rinascimento e dell’Illuminismo.

E’ dunque in nome della religione e di un rilancio in grande stile della “cultura” che Putin è riuscito a costruire il suo ventennio al potere. In nome della Russia come “guardiana della cristianità”. Si tratta di un progetto culturale che non lesina il ricorso alla censura di sovietica memoria, come quella che la chiesa ortodossa vorrebbe imporre ai romanzi di Gabriel García Márquez, accusato dal patriarcato di “pedofilia”. Il poeta Osip Mandel’stam, assassinato in un gulag nel 1938, diceva che solo in Russia la cultura è presa davvero sul serio (a condannarlo a morte era stato proprio un epigramma contro Stalin).

La censura ha appena colpito Boris Mezdrich, che ha perso il posto di direttore del teatro statale di Novosibirsk, in Siberia, in seguito alla messa in scena di una produzione del Tannhäuser di Wagner molto contestata dalla chiesa ortodossa. La decisione è stata presa dal ministro della Cultura, Vladimir Medinsky, mentre migliaia di persone scandivano di fronte al teatro slogan come “la cristianità ortodossa è il fondamento della grande cultura russa”. “I teatri statali devono astenersi da rappresentazioni divisive per la società russa”, ha detto il vice capo di gabinetto del Cremlino, Magomedsalam Magomedov. Mezdrich, il cui caso è al centro di un recente articolo del New Yorker, ha lasciato il posto a Vladimir Kekhman, direttore del teatro Mikhailovsky di San Pietroburgo (dopo l’esibizione delle Pussy Riot nella Chiesa di Cristo Salvatore di Mosca era stato introdotto il reato di “offesa ai credenti”).

Numerosi film, ad esempio il candidato agli Oscar “Leviathan”, sono stati bollati come “antipatriottici”, perché uno dei protagonisti è un vescovo un po’ venale. Banditi “Jesus Christ Superstar”, i concerti “satanici” di Marylin Manson e Halloween.

Il ministro Medinsky, uno degli architetti di questa campagna di moralizzazione del paese, gode di una grande popolarità in virtù di una serie di libri nota come “Miti sulla Russia”, che critica gli stereotipi negativi occidentali quali la ferocia di Ivan il Terribile, l’alcolismo dei russi o il loro antisemitismo, che secondo Medinsky sarebbe una esagerazione. Il ministro ha anche scritto un manifesto che “rigetta i princìpi del multiculturalismo” ed enfatizza i “valori tradizionali” russi. Medinsky ha fatto rinominare alcune strade alla memoria della duchessa Elizaveta Feodorovna, uccisa dai bolscevichi e canonizzata come martire della chiesa ortodossa. Il ministro ha anche proposto di cambiare il nome della metropolitana di Mosca, oggi intitolata a Pyotr Voikov, che partecipò all’uccisione dello zar Nicola II. Sempre Medinsky ha detto che il grande compositore Pëtr Cajkovskij non era gay. Per lui, “la Russia è l’ultimo bastione della cultura europea, dei valori cristiani e della vera civilizzazione europea”.

“I valori occidentali, dal liberalismo al riconoscimento dei diritti delle minoranze sessuali, dal protestantesimo alle prigioni confortevoli per gli assassini, suscitano in noi il sospetto, lo stupore e l’alienazione”, ha scritto Evgenij Bazhanov, rettore dell’Accademia diplomatica del ministero degli Esteri russo e intellettuale putiniano. Secondo Maria Lipman, analista russa del Carnegie, con questa ideologia “il governo russo aizza la maggioranza conservatrice contro la minoranza liberale”.

Eppure, Putin ha saputo conquistare il sostegno dei più rinomati musicisti russi, come il direttore d’orchestra Valery Gergiev, sovrintendente del teatro pietroburghese Marjinskij ed “eroe del lavoro” premiato al Cremlino, e Vladimir Spivakov, il violinista che un anno fa appose la propria firma una lettera di sostegno al presidente russo in merito all’Ucraina.

Due anni fa, Putin chiamò a lavorare con sé anche il trisnipote di Tolstoj, Vladimir Tolstoj, che dopo aver diretto la casa-museo di Jasnaja Poljana è diventato il consigliere culturale del presidente. Per giustificare la politica espansionista del Cremlino in Crimea e Ucraina, Tolstoj ha evocato l’esempio del bisnonno, “un ufficiale dell’esercito russo che difese la Russia a Sebastopoli”. Putin ha sempre subìto il fascino dell’autore di “Anna Karenina” e quando era agente del servizio segreto intraprese un lungo pellegrinaggio a Jasnaja Poljana. Vladimir  Tolstoj è uno degli autori del documento che un anno fa Putin ha diffuso per il rilancio della “cultura”. Secondo  Tolstoj, “la Russia non è Europa”, ma “una distinta civiltà che non appartiene né all’occidente né all’oriente”. Che cosa intenda Putin per “cultura” lo ha spiegato Elena Yampolskaya, direttrice del giornale Kultura, un tempo progressista e oggi filoconservatrice: “Il governo era solito finanziare un linguaggio sciocco, la pornografia e la stregoneria sotto forma di innovazione, fomentando l’immagine della Russia come un paese senza futuro”.

Decisivo nel corso culturale putiniano sono personaggi come Maxim Obukhov, fondatore e direttore del centro antiabortista “Zhizn” (vita in russo) ed elogiato da Putin come “il primo a organizzare il grande network di aiuto alle madri in gravidanza”. Gran parte dei fondi per le iniziative pro famiglia di Putin proviene da due oligarchi dalla marcata fede cristiana: Vladimir Yakunin, a capo delle ferrovie (ha portato in Ucraina i frammenti della croce sulla quale è morto Sant’Andrea) e Konstantin Malofeev, molto impegnato nelle cause cristiane con la St. Basil Great Charity Foundation e che vorrebbe lanciare in Russia una sorta di “Fox News Cristiana”. Il loro principale braccio politico è Elena Mizulina, che ha varato alcune leggi putiniane contro l’adozione di bimbi russi a coppie omosessuali occidentali e la “propaganda gay” in pubblico. Mizulina ha vietato le pubblicità delle cliniche dell’aborto in luoghi pubblici (“praticare un aborto oggi in Russia è semplice tanto quanto acquistare una bottiglia di vodka – ha detto la politica russa – ma che l’alcol faccia male alla salute lo sanno tutti, mentre le conseguenze micidiali dell’aborto vengono taciute”).

Proprio Putin ha scommesso molto sulla riduzione dell’aborto, una peste che in Urss fece almeno 250 milioni di vittime. Dal 1955, ogni anno per trentacinque anni, il regime comunista ha svuotato sette milioni di culle. Putin ha portato l’aborto alla dodicesima settimana di gravidanza, con alcune eccezioni in caso di complicazioni mediche o violenza sessuale. Così, negli ultimi cinque anni, il numero di interruzioni volontarie di gravidanza è diminuito del 24 per cento.

Anche in politica estera, Putin giustifica spesso le sue decisioni con riferimenti alla religione. Il New York Times ha scritto che una delle ragioni principali – oltre agli interessi strategici ed economici – in grado di spiegare l’appoggio di Mosca al regime siriano di Assad è la posizione intransigente della chiesa ortodossa. Quando ha dovuto giustificare il sostegno a Damasco e spiegare che fine farebbero i cristiani se al posto dell’alawita Assad prendesse il potere lo Stato islamico, il Patriarca russo Kirill ha evocato la rivoluzione bolscevica del 1917, con le sue sterminate “carcasse di chiese”.

E prima ancora c’era stato il ruolo storico della Russia a difesa dei cristiani armeni contro i turchi musulmani filoamericani e dei cristiani serbi contro i bosniaci musulmani sostenuti dall’occidente. A giustificazione dell’invasione della Crimea, Putin ha detto che è “il nostro Monte del Tempio”, come la casa di Dio che sorge a Gerusalemme, cara a ebrei e islamici. I documenti ufficiali del Cremlino sono pieni di simili riferimenti alla religione. Quando il corrispondente del Monde, Laurent Zecchini, chiese a Putin perché in Cecenia venivano usate le bombe a frammentazione contro la popolazione civile, il presidente russo, molto irritato, rispose: “Loro parlano di voler uccidere i non musulmani e se lei è cristiano è in pericolo”.

Putin negli anni ha presieduto al grande revival del cristianesimo ortodosso. Alla vigilia della Rivoluzione bolscevica, la chiesa russa aveva 50 mila parrocchie e sessanta scuole. Nel 1941, Stalin riuscì a eliminare la chiesa come istituzione pubblica. Ogni monastero e seminario venne chiuso. Con la caduta del comunismo nel 1991, la chiesa ha iniziato a ricostruire la sua vita istituzionale devastata. Il numero delle parrocchie è cresciuto dalle settemila di vent’anni fa alle trentamila di oggi. Molti osservatori ritengono che la Russia di Putin stia tornando al vecchio concetto bizantino di “symphonia”, un approccio in cui chiesa e stato collaborano. I critici sostengono che la chiesa sta godendo di una importanza immensa in cambio del sostegno a Putin. Non solo Putin e il primo ministro Medvedev, ma anche funzionari politici regionali e locali professano apertamente la loro fede ortodossa e compaiono accanto ai funzionari della chiesa nelle manifestazioni civili e religiose.

La chiesa aspira a realizzare la “ri-cristianizzazione della nazione russa”. Anche se ben il settanta per cento dei russi si definisce “ortodosso” ed è battezzato, solo il quattro per cento partecipa alla liturgia. Ma molte indagini sociologiche hanno stabilito che la Russia è uno dei pochi paesi del mondo civilizzato in cui la religione sta diventando sempre più importante. E’ un libro dell’archimandrita Tikhon, capo del Monastero Sretensky e consigliere spirituale del presidente, che descrive il suo viaggio dal marxismo al monachesimo ortodosso in seicento pagine, a essere il più venduto della Russia con due milioni di copie (è uno dei dieci titoli più venduti dalla fine del comunismo). E’ stato commercializzato non solo nelle librerie, ma anche nei supermercati.

A segnare la presidenza Putin sono i tour spirituali al monastero di Tikhvin, dove il presidente rende spesso omaggio a una delle icone mariane più venerate della Russia, sottratta alla furia iconoclasta dei bolscevichi e alle razzie dei nazisti, ma anche alla chiesa dell’Assunzione a Novgorod e al monastero femminile di San Varlaam, a Khoutyn, sulla riva destra del fiume Volkhov. La partecipazione di Putin alla messa di Pasqua a Mosca è una presenza costante nel calendario televisivo.
Ci sono poi i pellegrinaggi alle Solovki, l’isola nel Mar Bianco che ospitava uno dei monasteri più grandi della Russia, famoso per i suoi detenuti cristiani, come “il Leonardo russo”, il martire Pavel Florenskij. E proprio alle Solovki, in occasione dell’anniversario del crollo dell’Unione Sovietica, Putin ha fissato in qualche modo il suo credo, auspicando il ritorno della Russia “alla sorgente del cristianesimo” e alle “basi morali della vita”. Oggi migliaia di pellegrini ogni anno visitano il monastero-lager e venerano i luoghi della sofferenza. C’è poi il pellegrinaggio a Ekaterinburg, dove vennero giustiziati i Romanov, lo zar Nicola II, la zarina Alessandra, le granduchesse Olga, Tatiana, Anastasia, Maria e il dottor Botkin, la cameriera Anna Demidova, il cuoco Karitonov, il cameriere Trupp.

Questo nuovo corso putiniano passa dalla figura di un altro Vladimiro, il santo di Novgorod, omaggiato oggi nei libri, in televisione e nel festival e che segnò il primo e fondamentale documento del passaggio della Russia dal barbarico all’Europa civilizzata e che ebbe come centro il suo passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Già sua nonna Olga, dopo la morte del marito Igor principe di Kiev, da lei vendicato con la sepoltura da vivi dei suoi uccisori, era giunta a Costantinopoli in missione di pace; e vi aveva ricevuto, nel 957, il battesimo insieme al suo seguito. I primi a essere ricevuti da Vladimiro furono i messi islamici. Ma quando si giunse alla proibizione della carne suina e del vino, Vladimiro se ne ritrasse commentando che “bere è la gioia dei russi, non possiamo farne a meno”. I maomettani, diranno i suoi inviati al ritorno, “non fanno altro nelle loro moschee che inchinarsi profondamente e sedersi per terra con le vesti slacciate, in mezzo a una tristezza e a un puzzo indescrivibili”; i cattolici hanno chiese e cerimonie modeste, “ingloriose”; nelle chiese dei Greci, invece, fra le loro cerimonie sublimi e i canti angelici sotto le volte coperte d’oro, “non si capisce nemmeno più se si è in cielo o in terra”.

Fu la penna di un monaco, Filoteo Pskov, a descrivere quanto stava avvenendo: “La chiesa dell’antica Roma cadde per la sua eresia: le porte della seconda Roma, Costantinopoli, furono abbattute dalle asce degli Infedeli; ma la chiesa di Mosca splende più luminosa del Sole nell’intero universo. Tu sei la sovrana universale di tutto il popolo cristiano e devi tenerne le redini nel timore di Dio. Due Rome sono cadute, ma la terza si regge saldamente”. Fu allora che nacque il mito di Mosca nuova Roma e “fedele Gerusalemme”, come dice in “Guerra e pace” il diacono nella cappella dei Razumovski.

E’ su questo miscuglio di demagogia e di verità, sulla croce scolpita nei pettorali del presidente, che si innesta il ventennio di Putin e che attrasse anche l’autore di “Arcipelago Gulag”, Alexander Solzenicyn. Persino nel nome, la parola russa “poot”, Putin indica una via molto russa che diverge da quella dell’occidente.

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