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venerdì 27 marzo 2015

Lazzaro. Nelle prossime ore notturne nelle comunità arbëreshe si annuncerà che la resurrezione è pure per gli uomini

Eleuterio Fortino su L’Osservatore Romano del 26 marzo 2010 così presentò la tradizione su “Lazzaro” ancora presente nelle Comunità italo-albanesi.
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 Gli albanesi emigrati nel XV secolo in Italia hanno conservato, nonostante inevitabili condizionamenti politico-culturali, le loro tradizioni, compresa la lingua e la tradizione liturgica bizantina.
La storia delle numerose comunità nel contesto della situazione culturale dell’Italia meridionale, in particolare della Calabria e della Sicilia, fa constatare che, nei periodi passati di diffuso analfabetismo, la propria cultura è stata trasmessa per mezzo della tradizione orale.
Si trattava ed ancora in una certa misura si tratta di gruppi consistenti di gente che parlavano la lingua albanese, che usavano la lingua greca nella liturgia e che, a differenza della maggioranza locale latina, era di tradizione bizantina; inoltre i pochi che nei secoli passati  potevano frequentare qualche scuola erano obbligati a seguire la lingua italiana, non essendo previsto alcun insegnamento proprio.
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Nonostante il trascorrere del tempo alcune tematiche religiose sono tuttora  trasfuse nel folklore che è diventato canale di comunicazione, particolarmente per i momenti centrali dell’anno liturgico come per la passione e per la risurrezione di Cristo, per il Natale e per altre feste.
Esiste un ampio e diffuso repertorio con una grande quantità di varianti da luogo a luogo. Questa tradizione è diffusa nell’intera regione balcanica fino alla Romania. Una di queste è la Resurrezione di Lazaro.

Nella Chiesa bizantina il sabato precedente la Domenica delle Palme si commemora liturgicamente la risurrezione di Lazzaro.
La “memoria” di questo intervento straordinario di Cristo ha grande rilievo liturgico, e kerigmatico. Appartiene al nucleo centrale della fede cristiana: la risurrezione dell’uomo.
Nel simbolo niceno-costantinopolitano il fedele professa: “Aspetto la risurrezione dei morti”. 
Il tema, nelle comunità italo-albanesi, è entrato anche nel folklore religioso.

Nella tradizione popolare arbëreshe alla vigilia di alcune grandi feste, gruppi di giovani sogliono recarsi di casa in casa per cantare inni popolari di augurio, inerenti alla festa celebrata.
Tra gli albanesi d’Italia, con termine proveniente dal greco, si chiamano Kalimere (Buon giorno). 
Sono canti di augurio di buona festa. E nello stesso tempo sono strumenti di una catechesi popolare che serve a cementare la comunità e a trasmettere elementi della propria identità culturale e religiosa.
 Le kalimere vengono cantate con musiche che variano da luogo a luogo. Nella prima strofa il gruppo dei cantori chiede attenzione e indica l’oggetto del canto come “una buona novella”: “Buona sera – buon mattino a darvi son venuto – una buona novella. Un miracolo -fece Iddio davanti a tutti – in Betania”

Quindi il canto racconta che c’era un uomo di nome Lazzaro che aveva due sorelle, “amato da Cristo”. Poi si narra la morte, la sepoltura, il pianto delle sorelle, il rimprovero fatto a Gesù per la sua assenza, perché se fosse stato presente, “non avrebbero perduto” il fratello. Gesù le consola: “Tergete quelle lacrime non abbiate timore perché nel sepolcro Lazzaro dorme. Non abbiate timore – io vi ripeto, io sono la vita – io sono il vero Dio”.
Ma esse sanno che è morto, da quattro giorni ormai e già manda cattivo odore. Quindi Gesù con voce forte chiama Lazzaro a ritornare in vita, che venga a raccontare come è terribile rimanere nel buio della terra nera.

“Si levò Lazzaro, uscì dal sepolto, adorò Iddio”.
La kalimera al termine dà il suo insegnamento: “Chi vive con fede – e con rettitudine, per risorgere – egli muore”.

La risurrezione anticipata di Lazzaro preannuncia la risurrezione di Cristo stesso e quella di tutti gli uomini.


I testi liturgici a cui si ispira la kalimera dichiarano la risurrezione di Lazzaro come rafforzamento nella fede della “comune risurrezione.

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