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venerdì 30 gennaio 2015

Uomini, fatti, eventi. Come li ricordiamo oggi

30 Gennaio
Mohandas Karamchand Gandhi viene ucciso a Nuova Dehli il 30 gennaio 1948 da una fanatico indù.
Nel mondo tutti conoscono chi è stato Gandhi, uno dei pionieri e dei teorici del satyagraha, la resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile di massa, che ha portato l’India all’indipendenza. 
Egli è ritenuto spirituale per il suo paese, dove è conosciuto col nome di Mahatma “grande anima“.
«Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo ».
 Con le sue azioni Gandhi ha ispirato molti movimenti di difesa dei diritti civili e grandi personalità quali Martin Luther King, Nelson Mandela e Aung San Suu Kyi, e da noi anche Marco Pannella.

In India Gandhi è stato riconosciuto come Padre della nazione e il giorno della sua nascita (2 ottobre) è un giorno festivo. Questa data è stata anche dichiarata Giornata internazionale della non violenza dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Nel 1893 Gandhi si reca in Sud Africa con l’incarico di consulente legale per una ditta indiana: vi rimarrà per ventuno anni. Qui si scontra con una realtà terribile, in cui migliaia di immigrati indiani sono vittime della segregazione razziale. L’indignazione per le discriminazioni razziali subite dai suoi connazionali (e da lui stesso) da parte delle autorità britanniche, lo spingono alla lotta politica. 
Presso Durban, nei primi anni del ’900 acquista un terreno e organizza la vita materiale e culturale della comunità. Tutti i membri compresi i redattori di Indian opinion partecipano ai lavori agricoli e sono retribuiti con lo stesso salario indipendentemente dalla nazionalità o dal colore della pelle.
La fattoria di Phoenix è il primo modello di ashram in cui si pratica, in un regime di vita monastico, la povertà volontaria, il lavoro manuale e la preghiera.
Gandhi comincia proprio in questo centro di preparazione spirituale la pratica del digiuno e smette di consumare latte. Si taglia da solo i capelli e pulisce le latrine, attività che in India era riservata alla casta degli intoccabili, che Gandhi chiamava harijan, figli di Hari (Dio). Il Mahatma si batte per il riconoscimento dei diritti dei suoi compatrioti e dal 1906 lancia, il suo metodo di lotta basato sulla resistenza nonviolenta, una forma di non-collaborazione radicale con il governo britannico, concepita come mezzo di pressione di massa. 
Alla fine il governo sudafricano attua le riforme in favore dei lavoratori indiani: eliminazione di parte delle vecchie leggi discriminatorie, riconoscimento ai nuovi immigrati della parità dei diritti e validità dei matrimoni religiosi.

Tornato  in India nel 1915, dove circolano già da tempo fermenti di ribellione contro il dominio britannico, diventa il leader del Partito del Congresso, partito che si batte per la liberazione dal colonialismo britannico. Nel 1919 prende il via la prima grande campagna satyagraha di disobbedienza civile, che prevede il boicottaggio delle merci inglesi e il non-pagamento delle imposte. 
Il Mahatma subisce un processo ed è arrestato. Viene tenuto in carcere pochi mesi, ma una volta uscito riprende la sua battaglia con uno spettacolare hartal, uno sciopero generale della nazione con astensione di massa dal lavoro, accompagnato da preghiera e digiuno. 
Le truppe britanniche massacrano centinaia di civili inermi e ne feriscono a migliaia: i rapporti ufficiali parlano di 389 morti e 1000 feriti; altre fonti parlano di oltre 1000 morti. Il massacro genera un trauma in tutta la nazione, accrescendo la collera della popolazione.
Gandhi partecipa alla Conferenza di Londra sul problema indiano, chiedendo l’indipendenza del suo paese. Del 1930 è la terza campagna di resistenza. Organizza la marcia del sale: disobbedienza contro la tassa sul sale, la più iniqua perché colpiva soprattutto le classi povere. La campagna si allarga con il boicottaggio dei tessuti provenienti dall’estero.
All’inizio della Seconda Guerra Mondiale Gandhi decide di non sostenere l’Inghilterra, se questa non garantirà all’India l’indipendenza. La “Grande Anima” risponde agli arresti con lunghissimi scioperi della fame (importante è quello che egli intraprende per richiamare l’attenzione sul problema della condizione degli intoccabili, la casta più bassa della società indiana).

Sono molti i modi per attuare la disobbedienza civile: vanno dal mancato pagamento delle tasse, al riacquistare certi prodotti, allo sciopero della fame, secondo le idee che erano già state utilizzate da Tolstoj. La povertà, il digiuno, la semplicità e la pratica della preghiera e del silenzio improntarono lo stile di vita di Gandhi. 
La semplice veste bianca in khadi, oltre ai motivi di indipendenza economica, diviene un simbolo della lotta nonviolenta indiana, tanto da divenire l’uniforme ufficiale del Partito del Congresso Indiano. Il movimento Quit India però, costa agli indiani migliaia di morti. Gandhi si sente colpevole e sospende le marce.
Il governo britannico aveva reagito con l’arresto di oltre 60.000 oppositori e dello stesso Mahatma, che è rilasciato dopo due anni. 
Il 15 agosto 1947 l’India conquista l’indipendenza. Gandhi vede finalmente realizzarsi il suo sogno ma vive questo momento con dolore, pregando e digiunando. Il subcontinente indiano infatti è diviso in due stati, India e Pakistan, la cui creazione sancisce la separazione fra indù e musulmani e culmina in una violenta guerra civile che costa, alla fine del 1947, quasi un milione di morti e sei milioni di profughi.
La sua azione non violenta continua, fino al giorno fatale dell’attentato. L’atteggiamento moderato di Gandhi sul problema della divisione politico-religiosa del paese, dopo l’indipendenza dagli Inglesi, suscita l’odio di un fanatico indù che lo uccide, durante un grande raduno di preghiera.

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