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domenica 21 dicembre 2014

Fatti Storico-canonico-giuridici in difesa delle proprietà e dei diritti ... ... di Calogero Raviotta

Fatti Storico-canonico-giuridici in difesa delle proprietà e dei diritti del parroco e clero greco della terra di Contessa contro le pretensioni ed usurpazioni del coabitante clero latino fatta secondo la consulta dei migliori lumi della capitale di questo regno nel 1771. (parte II)

Questa Transazione del 1754, anno in cui fu fatta, sempre ha avuto tutto il suo vigore e nella festa sopradetta dell’otto settembre sempre è stata tutta per intero solennizata dal clero greco, ed il parroco greco ha avuto il primo luogo nella processione, anche quando vi è intervenuto il parroco latino inferiore a quello anche per tutti i sopradetti motivi. Dacché poi il parroco greco fratello maggiore del parroco latino presente, per mancanza di vista non ha potuto intervenire alla sopradetta processione, ha designato il suo greco capellano sacramentale sacerdote Don Nicolò Chetta, per supplire le veci del parroco greco, solennizzò il Vespro, messa cantata, ed altre solite funzioni nella sopradetta chiesa di Maria della Favara. Ben tre volte distinte mandò a dire al sudetto suo capellan sacramentale, che, al solito, presidesse nella processione colla cota e stola. Nel punto però che stava per sortire tale processione, sentendo il sudetto vice reggente del parroco greco che i latini pretendevano che la processione spettava ad essi, e che però il sudetto reggente non poteva portare la stola, e molto meno alla sinistra del loro parroco, con pregiudizio di costui non solo, ma pure di tutti i più anziani latini.

Ciò udendo il sudetto reggente, per nome e  parte del reclamante clero greco e del senato disse al parroco greco che egli non aveva punto impegno di portarvi per fasto giovanile la stola, ma che soltanto voleva il clero greco, che si stesse alla sopradetta Transazione al solito. A questo il parroco prima rigelò con efficacia, ma tosto, poiché il suo fratello parroco latino gli disse una parolina nell’orecchio, ripigliò a dire al sudettto vicereggente che egli non voleva immischiarsi in risse, e così dicendo avviossi per sua casa, appoggiato nel suo senile bastone. Allora il Senato intepretò che il parroco greco giacché da principio tre volte espressamente detto aveva al suo vicereggente che presiedesse alla processione, e poi al bordato (?) minaccioso dei latini, appigliandosi ad una politica di necessità mai non disse al vicereggente che deponesse a supplire le sue veci. Il pavido Senato, per giusta epicheia interpretò che qui tacet consentire videtur, il parroco greco diportarsi così indifferente in quella seconda volta, altro esprime, non volle che egli dando in quel incongruo modo la vittoria agli opprimenti, o agli oppressi, avrebbe dato occasione delle più pubbliche scandalissime risse, onde il Senato assicurò al vicereggente che sicuro presiedesse colla stola alla processione, giacché il parroco, il clero, la Transazione, la prassi e tutto il popolo questo ben pretendeva.

Il vicereggente allora si pose a presiedere colla stola nella già avviatasi processione quand’ecco che il vicario foraneo si protestò avanti del parroco latino ed al vicereggente qualmente questi non poteva presiedere alla processione colla stola, ma il vicereggente, ringraziandolo proseguì il suo ufficio, perché atteso tutte le predette critiche circostanze l’aspettava più tosto che da tutto il clero, a cui presiedeva, avesse dovuto rinegar (?) in questa sacrosanta processione di dare esempio al minuto popolo e di molestia e di pace, e che acciò piuttosto avesse dovuto badare il vicario foraneo e non già a spogliarsi della cotta e con furia ritirarsi in casa per spedir pronto serio ricorso alla corte vescovile contro il vicereggente, unico ostacolo a tutte le usurpazioni ed alle vaste mire di affatto sepelire il rito greco nella Contessa. Che cosa egli, colle solite sue malnomate rappresentanze abbia esposto alla Corte vescovile di Girgenti il vicereggente nol sa, giacché rinunciò al suo parroco la capellania e con questi si querelò, che dopo di avere pregato più volte entrambi i signori parroci, per via del loro fratello don Nicolò Musacchia, che trattandosi di doversi disporre cose particolari nelle processioni, avessero la carità di prevenirli, in questa volta, l’omessero; e poi non spendere una parola di pace per contemplazione del parroco latino, e per timore che hanno al soverchiante vicario foraneo latino, permettesse che  se restasse   scandalizzato l’ovile di Cristo; e dopo di ciò, ritirossi nel seminario greco di Palermo ove da prefetto e da superiore già prima menava sua vita pacifica per anni 15; ed all’istanze del suo parroco non potendo resistere, s’era ritirato nella Contessa a suplire in tutte le sue veci il canuto curato suo.

…………Omissis…………
In quanto poi a giurisdizioni (qui niente affatto curavano l’invidiose questioni di rito greco e latino) vi risponde primo che il vicereggente sopradetto,  per ogni cosa, potea e doveva portare la stola, secondo perché la Transazione suddetta caso propone che il parroco greco deve elegere a qualsiasi del suo greco clero ut gerat vices iuri parochi, terzo perché é un jus che respicit personam parochi, il quale debba presedere alla processione, per dimostrare il loro dominio in quella chiesa, quarto perché tutto quello che gestat la persona del parroco in tale processione li può portare il vicereggente del solo parroco, altrimenti non sa esser vicereggente di quello. Atque il parroco greco, in tale processione sempre porta la stola, dunque pure colui che dee supplire alle sue veci; e così in fatti, rotondamente e brevemente disse il maestro Lo Presti, a cui ad una voce, aderendo oltre i legisti anche i parrochi di Palermo; e per meglio enucleare il fatto con la frase soggiungerò: 2° che nelle terre piccole, soltanto cotta e stola pursivoglia caso in cui non vi intervenga il parroco come infatti sempre già cappellano sacramentale, terzo dica dunque il clero latino, replicano quei legisti e parochi, quale debba mai portare nella processione il vicereggente del parroco greco perché sin ora altra regola a me non é nota, altrimenti anche la plebe si meraviglia come mai il capo vicereggente di una propria processione non abbia se non la medesima cotta che tiene il sagrestano.

Quarto: e poi sopragiunsero come mai esce in processione propria un clero o senza aver proprio capo o senza nessun poterlo distinguere da qualche peculiare insegna, sicché il clero greco si debba vedere come un capo, soggetto all’altrui capo latino, il quale, peraltro, con tutto il suo clero vi interviene per pura concomitanza, se può o vuole intervenire, secondo la Transazione; quinto dacché si fece tale Transazione il parroco greco sempre portò la stola, non esso solo ma pure il suo vicereggente; dunque perché non in futuro; e chi non sa che le prasse é l’ottimo interprete di ogni legge; sesto disse il signor Giuseppe Tignini, oggi questa festa già totalmente é dei greci; sicché affatto non vi hanno che fare nella processione i latini. Dunque, se mai il parroco latino si intende pregiudicato di sofrire a lato un vicereggente del parroco greco, capo preside non ricusi ad intervenire nella processione e così non resta pregiudicato in vedere che un vicereggente di anni 30, cappellano sacramentale della matrice abbia il primo luogo anzi che gli anziani, allora rispose dunque altrettanto  possono pretendere contro il parroco greco, se questo mai sarà il vicereggente sudetto. Del resto si ricordino che tale vicereggente é laureato in sacra teologia, e perciò in un altra mala interpretazione gli anziani della Contessa ebbero il testo della loro vescovile Corte.

Se però il proprio parroco greco nessun porta pregiudizio, neppure, dunque colui che sia in sua vece. Ma in somma i latini si avevano dovuto riparare pria della Transazione, benché non poterono. Né possono allegare ripiglio a beneficio Tardia, i latini, che tale processione forse si fa dentro il distretto del parroco latino, perché la Contessa non é come Palermo che ogni parrocchia ha limiti del proprio distretto, giacché il popolo greco abita col latino e le cose dei greci sono mischiate senza ordine con quelle dei latini, del resto però il parroco dei greci é capo di tutto il paese appunto perché tutte le chiese di quella terra non solo furono fondate e dotate dai greci, ma sin l’istessa parrocchia latina é filiale dell greca ed al cader del muro i latini non avessero se potevano così accordato; otto: infine ripigliarono tutti gli altri più illuminati della Capitale se i latini non de jure ma per solo concomitanza, volendolo, possono intervenire a tale processione e se essa é unicamente spettante ai greci; e se  mai la stola porterebbe qualche gelosia, ad altro portarla non potea che al clero greco o al parroco greco e non già ad alcuno dei latini. Tre che dunque costoro si fondano a dar occasione di tanto scandalo nel punto della processione pubblica, se essi affatto non v’entrano. E come il parroco latino e molto più il vicario foraneo (a cui non spettano affatto le giurisdizioni parrocchiali) con pregiudizio del clero, e parroco greco, dalla Transazione e dalla prassi e del pacifico spirito ecclesiastico, intimano il reggente e ricorrono contro di lui la mente vescovile? Rispose a tutto e per tutti con quattro parole, il sac. Dott. Don Nicolò Chetta: Signori, tutte le sopradette ottime cose sono extra chorum: primo che la questione vera nell’esposto caso non fu già intorno all’uso della stola (di questa se ne servì il vicario foraneo per soltanto a capricio formar un ombra zizzaniosa a cui poter battere presso la Corte) ma bensì fu che per volere i greci albanesi quasi affatto ricordati dai Servizi prestati alla Corona di Sicilia per vederli soli, pochi, poveri e di rito greco, pretendevano che la processione affatto era loro propria in modo tale che essi con l’arte di circolo vizioso incominciassero da capo ad insensibilmente spogliarsi di tutte le giurisdizioni sino a perdersi la memoria dei greci; e queste sue alte mire già sorridendo e quasi per gioco l’ha esaminata verbo et opere il vicario. Ma conoscendo questo discorso il gran Pontefice Leone decimo, ponendo  ed appoggiandosi, come egli stesso dichiarava all’ecumenico fiorentino concilio, per altro unicamente fatto per la concordia tra greci e latini, questo zelantissimo e spregiudicato Sommo Pontefice firmò una bolla apposta trascritta del sopracitato Rodotà in parte, ed in tutto, nell’Enchiridio greco. Il Cardinale Albici sollecitò e diligentemente indagatore delle antiche memorie dell’archivio del Santo Officio, i quali ambedue ci rendono sicura testimonianza della costante sollecitudine della Romana Chiesa nel avere replicate prescritta la rigorosa osservanza del sacro santo rito greco e molto più in persona delli esperimentatissimi albano  greci..... Alcuni vescovi latini dunque, ignorando l’origine, la santità ed i misteri del rito greco, l’abbominavano tra loro qual velenoso serpente di loro, come perturbatori, scrive il dotto Pontefice nella diceria di tale bolla: ordinari locorum latinorum ipsam nationem super dictis viribus et asservantiis, in loci ubi predicti greci morantur, quotidie molestant, perturbant ed inquietant. Con questi mezzi, continua a dire il laudato Papa, congiuravano scissure, scandali e sconcerti ai popoli contro la tranquillità tanta desiderata dalla monarchia ecclesiastica e civile ed anche movevano anco gli scismatici e vi é più li rimovevano dall’unione, quindi riconoscendosi insofribili questa acerba persecuzione dal paterno amore che leone X, e volendo esso frenare l’insolente ardire dei latini, gelosi, stabilì a favore dei greci prerogative e privilegi nella medesima Bolla su i greci fra i latini (a fortiore se questi sono tra greci) possono liberamente professare il loro rito ed andare questuando nelle loro terre. Ma il nostro predetto vicario espose alla Corte reclamante il popolo anco latino che egli doveva per le limosine, affinché così non si smarrissero, cioè intendeva dire praticamente aciocché l’inpiegasse a suo talento; e infatti l’ottenne; secondo che i latini in nessun conto disturbassero le funzioni greche, ma il vicario disturbò pubblicamente la processione dei greci e crede che per zelo: terzo che nessun latino potesse procedere nelle chiese, ove non ha intervenuto il suo fratello parroco greco, ma nella sopradetta processione si é usurpato le veci del parroco greco, giacché esige la destra del vicereggente; e non solo questo, ma egli ha regolato la processione dal capo preside, e nei diversi posi ha incenzato egli  destinò un semplice prete greco a dare l’incenzo; anzi un altra volta non solo non pregò al predetto vicereggente che anzi, in assenza del parroco greco, un semplice sacerdote latino, in una processione dell Matrice, in salutato hospite, diede l’incenzo; ed sudetto vicereggente, nel secondo poso, egli; e non quello, diede l’incenzo, che in riornare poi li ha fatto fare per forza nella Contessa il prete latino ed ha insino arrivato di far seppellire nella sua parrocchia a chi voleva seppellirsi; basta che per accidente transeunte, qualche albano greco abbia interrotto l’osservanza del rito greco in qualche terra dei latini o per procacciarsi il pane o per essere stato perseguitato ancorché per pochi anni, sino per tutta l’eredità.

Il vicario poi più zelante di tutti, dirupata la chiesa di S. Rocco, trasferì in quest’anno, subito la festa solita sempre solennizzarsi dai greci, alla parrocchia latina; e chi sa se anco le rendite; di più l’altarino alla greca, nella chiesa greca dell’anime sante ed ivi rappresentando una cosa per usi altre alla corte non solo solennizò le quarant’ore alla latina ma pure espose alla Corte che il parroco latino vi voleva fondare una congregazione ed cappellano latino; che ne abbia poi fatto delle rendite  di tale chiesa, il sanno i procuratori e il sudetto vicereggente erede del donante, ma che non può parlare. Il Rodotà conferma che tutte le quattro chiese della Contessa sono fondate e dotate dai greci e che sono loro proprie. (fine documento 1771).

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