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domenica 30 novembre 2014

Il Vangelo alla luce dei fatti di ogni giorno

GIOVANNI
1, 35-52
VENITE E VEDRETE
1,35           Il giorno dopo Giovanni stava ancora (là) con due dei suoi discepoli 36         e, fissato Gesù che camminava, dice: Ecco l’agnello di Dio ! 37 E lo udirono i due discepoli mentre parlava e seguirono Gesù. 38   Ora, voltatosi Gesù e visto che essi seguivano, dice loro: Che cercate? Ora essi gli dissero: Rabbì – che tradotto significa maestro –, dove dimori? 39     Dice loro: Venite e vedrete ! Vennero dunque e videro dove dimorava e presso di lui dimorarono quel giorno. era circa l’ora decima. 40        Era Andrea, fratello di Simon Pietro, uno dei due che avevano ascoltato Giovanni e lo avevano seguito. 41           Egli incontra per primo il proprio fratello Simone e gli dice: Abbiamo incontrato il Messia – che si traduce Cristo –. 42   Lo condusse da Gesù. Fissatolo, Gesù disse: Tu sei Simone, figlio di Giovanni: tu sarai chiamato Kefas – che si traduce pietra –. 43     Il giorno dopo decise di partire per la Galilea e incontra Filippo. E gli dice Gesù: Segui me ! 44   Ora Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e Pietro. 45 Filippo incontra Natanaele e gli dice: Incontrammo colui di cui ha scritto Mosè nella legge, come pure i profeti: Gesù, figlio di Giuseppe da Nazareth. 46        E gli dice Natanaele: Da Nazareth ci può essere qualcosa di buono? Gli dice Filippo: Vieni e vedi. 47           Vide Gesù Natanaele venire verso di lui e dice di lui: Ecco davvero un israelita in cui non c’è dolo. 48     Gli dice Natanaele: Donde mi conosci ? Rispose Gesù e gli disse: Prima che Filippo ti chiamasse, mentre eri sotto il fico, ti ho visto. 49         Gli rispose Natanaele: Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu re sei di Israele. 50 Rispose Gesù e gli disse: Perché ti dissi che ti ho visto sotto il fico credi ? Cose più grandi di queste vedrai. 51 E gli dice: Amen, amen vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo.

TESTO ARBERESHE
Nd’atë mot Jisui deshi të dil ndë Galilè e gjën Fëlipin e i thotë atij: Eja pas meje. Fëlipi ish nga Betsaida, nga qyteti i Ndreut dhe i Pjetrit. Fëlipi gjën Natanaelin e i thotë atij: Atë për të cilin shkruajti Moiseu te Ligja  dhe Profetët e kemi gjetur: Jisuin të birin e Sepës prej Nazaretit. E i tha atij Natanaeli: Prej Nazaretit mund dalë gjë të mirë? I thotë atij Fëlipi: Eja e shih. Jisui pa Natanaelin çë vinej tek ai e thotë per të: Shi, me të vërtetë një israelit, në të cilin s’ka gënjim. I thotë Natanaeli: Nga më njeh mua? U përgjegj Jisui e i tha atij: Më parë se të të thërrit Fëlipi të pashë se ishe nën fikun. U përgjegj Natanaeli e i tha: Rabì, Ti je i Biri i Perëndisë, Ti je Mbreti i Israelit. U përgjegj Jisui e i tha atij: Se unë të thashë: të pashë nën fikun ti ke besë? Do të shohësh shërbise më të mëdha se këto. E i thotë atij: Me të vërtetë, me të vërtetë ju thom juve: Do të shihni çë nanì qiellin hapët dhe ëngjlit e Perëndisë çë hipen e zbriten mbi të Birin e njeriut.

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Brano del Vangelo di Giovanni proclamato oggi nelle Chiese di rito bizantino

Rabbì, dove dimori? 
Nel contesto del testo questa domanda significa: "Tu che ti proclami Maestro, dicci prima quali sono le coordinate dei tuoi valori, dei tuoi riferimenti. Dicci quali sono le mete, i fini e la sostanza di ciò che ti accingi a proclamare".
Sant'Andrea -di cui oggi si fa ricordo nella Chiesa bizantina, ricordo a cui ha voluto partecipare nella Chiesa Cattedrale dei Cristiani Ortodossi di Istanbul pure papa Francesco- doveva essere un uomo con i piedi a terra. Pare sia stato lui a chiedere al Nazareno il motivo e le finalità percui cercava proseliti per le vie della Galilea.
Il "galileo" gli ha risposto: "Viene e vedrai, vieni e capirai". Sant'Andrea ed il suo compagno andò, ascoltò e si convinse; non solo divenne lui in persona un discepolo del nazareno. 
Se ha deciso di abbandonare tutto, l'azienda peschereccia di famiglia e addirittura si è fatto discepolo, è segno che ha ritenuto che valeva la pena abbandonare tutto e seguire quel Nazareno, che si proclamava non solo "Maestro" ma pure Messia.

Viene spontaneo chiedersi: ma duemila anni fà la gente era più avveduta rispetto a quella dei nostri giorni ? 
Oggi la gente si lascia affascinare dai "chiacchieroni" di turno senza mai chiedere "dove abiti ? quali sono le tue vere mete, i tuoi obiettivi di fondo ?".
In massa noi italiani seguiamo il fascinoso, "potente" di turno e mai gli chiediamo di spiegarci se gode di fondi segreti, se ha accordi con i poteri forti, se si è creato l'impero economico mediante amicizie o mediante l'evasione fiscale. 
Nulla oggi si chiede ai comici che si improvvisano salvatori della Patria, nulla ai cabarettisti divenuti imprenditori, nulla ai democristiani che si improvvisano socialisti. 
Poi, a distanza di anni, si scopre che di sole chiacchiere si era trattato; e noi italiani (appurato l'inganno) passiamo a seguire un altro chiacchierone.
Sant'Andrea non solo chiese di conoscere, di capire la perseguibilità delle finalità. Ma rimase talmente convinto fino al punto da preferire morire da martire piuttosto che rinnegare le finalità di quel galileo che lo avevano convinto.
Oggi nessun Maestro è disposto a mettersi a nudo sul suo vero essere per convincerci a seguirlo. Di ventennio in ventennio scopriamo di essere stati ingannati. Grazie ... alle rivelazione di qualche servizio segreto, in genere mai italiano.

Chi oggi degli italiani è disposto a morire per le chiacchiere dei berlusconi di turno ?

Il lungo cammino della cultura moderna (1)

La cultura rispetta il passato e la tradizione
ma ineluttabilmente spinge verso il "cambiamento", 
la "trasformazione"

La Storia del mondo non conosce solamente la faccia socio-politica. 
E' da questa considerazione che ci siamo proposti di attraversare, nel suo significato più ampio, la cultura moderna nelle sue sfaccettature. 
Dipinto di Arnaldo Ferraguti "Alla vanga"
La lettura: Dove non arrivano la ferrovia e la tecnologia, non ancora
estese  nell'Ottocento, le condizioni di lavoro e di vita dei contadini
rimanevano molto dure perchè poco era cambiato
rispetto alle epoche precedenti
Le radici della cultura moderna dovremmo rintracciarle a partire dal XVI secolo, periodo quello in cui inizia una sorta di globalizzazione culturale del pianeta al seguito dell'espansione imperiale europea, della colonizzazione e dai traffici accompagnati dagli imperativi strategici.
Per quanto ci riguarda -però- tenteremo di capire i percorsi seguiti dalla cultura moderna a partire dalla Rivoluzione Francese, dal post-illuminismo. 
Prenderemo anzitutto consapevolezza che la palma di "avanguardia del progresso" a decorrere dal periodo di nostro interesse era detenuta con ampio margine dall'Occidente in un gran numero di settori della Cultura, di buona parte della Scienza, della Matematica, dell'Astronomia, della Medicina etc.
Con ciò non intendiamo affermare che la Scienza o la Medicina occidentali non abbiano tratto qualcosa dalle corrispondenti espressioni non occidentali. L'incontro fra cultura occidentale e non occidentale però -in generale- si giocò più sullo scontro che sull'assimilazione. Non vi fu infatti sintesi, simbiosi, ma -in generale- incomunicabilità.

Ruota d un mulino ad acqua

La scoperta dell'elettricità e la sua
appòicazione industriale furono una
delle grandi rivoluzioni del XIX secolo,
tanto che alla fine dell'Ottocento tale
settore diventò uno dei più importanti,
insieme a quelli dell'acciaio, del petrolio,
e dell'automobile

Un carattere che si coglie nella cultura post-Illuminismo europea e poi occidentale è la costante spinta al "cambiamento". 
La tendenza globale e la spinta è sempre stata  in direzione della "trasformazione", sia pure con vari frammenti di società e di regioni spesso refrattarie alle spinte innovative.
Sappiamo bene infatti come all'interno della Sicilia, fino agli anni cinquanta del Novecento, il mondo rurale conduceva il medesimo stile di vita abituale sin dall'epoca greco-romana. A fine Ottocento in queste  aree rurali oltre il 90% della popolazione era analfabeta e la vita quotidiana non subiva mutamenti rispetto a secoli (o a millenni) antecedenti, al punto che le attività agricole tradizionali ancora qualche decennio fà erano svolte con i buoi che aravano accanto alle linee ferroviarie ed -ancora ai nostri giorni- i pastori pascolano i propri greggi accanto alle centrali elettriche.

D'altronde, è espressione e fenomeno culturale quello che si manifesta nei paesini della Sicilia dove il Sindaco interdice la presenza di centri di accoglienza per immigrati all'interno della comunità. Il fenomeno "culturale" ora ricordato affonda le radici ataviche nel tipo di coesione esistente nelle comunità locali di villaggio che, è risaputo, sono strutturate in agglomerati familiari o in base ai più ampi legami di parentela. 
Ma tralasciamo questi fenomeni di marginalità culturale delle nostre zone, quelle della Sicilia che non cambia e non vuole cambiare.

Benché all'inizio dell'Ottocento l'integrazione economica e culturale nel vecchio continente fosse ancora lontana dall'essere compiuta la dinamica dello sviluppo occidentale -che vedeva coinvolti produttori agricoli ed industriali in direzione di un diverso modo di produrre- era già avviata; tranne -appunto- nelle aree marginali.
Il processo prese nome di "europeizzazione" ovvero di "occidentalizzazione" e dopo quegli anni successivi ai rivolgimenti portati dalla Rivoluzione Francese, a prescindere dagli assetti politici della restaurazione, saranno ovunque le forze più vive della società ad imprimere la "trasformazione", il "cambiamento" dei costumi, della cultura e degli stili di vita. 
Le forze retrive continueranno solamente ad imporre il rifiuto del "nuovo", del "diverso", nelle società in cui il vecchio universo fondato sul tradizionale modello economico familiare persisteranno. 
Il modello culturale e lo stile di vita -anche a prescindere dalle considerazioni marxiane- sono condizionati dalle basi sociali ed economiche dell'ambiente. 

Tenteremo, dopo questa presentazione, con una serie di analisi e di riflessioni di mettere in luce le ripercussioni in ambito culturale e finanziario nei paesi che hanno raggiunto i livelli di benessere socio-economico delle spinte al "cambiamento" e proveremo a capire perchè ciò non è avvenuto nelle aree marginali quali è purtroppo rimasta la Sicilia, nonostante la scolarizzazione diffusa (almeno sulla carta).

sabato 29 novembre 2014

Leonardo Sciascia. Il ricordo dei giornali nel 25° anniversario della scomparsa


Grillo. Il comico che si era illuso di essere un politico


Il XX secolo nella storia mondiale, europea, italiana e contessiota

La speranza in un nuovo ordine mondiale

Una volta finita la seconda guerra mndiale, l'orrore dei campi di concentramento apparve in tutta la sua evidenza. Non vi erano state soltanto fucilazioni, torture e fame. Hitler aveva letteralmente creato una industria della morte.  Nei campi di prigionia  i nazisti avevano costruito delle camere a gas dove venivano asfissiate le vittime.
La difesa dei diritti umani è
uno dei principi alla base
della creazione delle
Nazioni Unite 
Le camere a gas di Aushwitz erano in grado di uccidere fra uomini, donne e bambini 10.000 persone al giorno; i forni crematoi funzionavano ventiquattr'ore su ventiquattro e le ceneri e i resti delle ossa venivano sfruttati come concime.
Consapevoli che ormai lo stato d'animo di coloro che invocavano il ristabilimento della pace era notevolmente diverso da quello che era in grado di assicurare la vittoria degli eserciti, gli stati che si erano trovati direttamente o indirettamente nello schieramento degli Alleati, proclamarono nella carta delle Nazioni Unite la loro volontà di "preservare le generazioni future dal flagello della guerra  che, due volte nell'arco di una vita umana, aveva inflitto all'umanità indicibili sofferenze".
La conferenza fondatrice dell'ONU si tenne a San Francisco dal 25 aprile al 30 giugno 1945. Gli stati membri si impegnarono ad assumere efficaci misure collettive per il mantenimento della pace, a stabilire relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza dei diritti dei popoli e del loro diritto a disporre della propria persona, a risolvere i problemi internazionali di ordine economico e sociale, intellettuale o umanitario, sviluppando il rispetto per i diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per chiunque, senza distinzioni di razza, sesso, lingua o religione.   

La conferenza di Potsdam (dal 17.07.1945
al 02.08.1945) sancì, tra l'altro, la
divisione della città di Berlino, situata all'interno
della zona di occupazione sovietica
in quattro settori: francese, americano,
britannico ad Ovest e russo ad Est.
Nel 1961 fu eretto un muro  che divise
in due la città per frenare il
continuo esodo  della popolazione dalla
parte orientale, sotto il controllo russo,
a quello occidentale.
Gli Stati Uniti che non avevano fatto parte della Società delle Nazioni, questa volta furono l'elemento trainante dell'ONU, dotata fra l'altro di mezzi finanziari e tecnici decisamente superiori a quelli della Società delle Nazioni e, soprattutto, d'istituzioni specializzate:
-l'UNESCO per le questioni concernenti l'educazione, la scienza e la cultura,
-L'Organizzazione internazionale del Lavoro (ILO) e
-l'Organizzazione mondiale per la Sanità (OMS), queste ultime due rispettivamente  per i problemi del lavoro e della sanità.
Vennero create inoltre
-l'Organizzazione per l'Alimentazione  e l'Agricoltura (FAO) 
-la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRD),
-Il Fondo Monetario Internazionale (FMI),
-L'organizzazione internazionale per l'aviazione civile (ICAO),
-L'Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), 
-L'Unione Postale Universale (UPU),
-L'Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU),
-
Altre istituzioni nasceranno in seguito, quali il Programma di Sviluppo (UNDP) e il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente.

Il pregiudizio raziale è un crimine contro l'umanità


Uno dei più drammatici e feroci attacchi contro italiani che si ricordi, è quello del 1891 a New Orleans. 
Nella zona, dove molta manodopera italiana era stata impiegata nei campi di cotone, con turni massacranti per sostituire gli schiavi neri affrancati da una legge, un gruppo di siciliani, fra cui alcuni originari di Contessa Entellina, venne ritenuto responsabile, senza prove, di un omicidio. Ma la loro assoluzione a seguito di regolare processo provocò l'inferno. La popolazione locale, non soddisfatta del verdetto, si riversò in strada per un linciaggio. 
Una folla inferocita di 20mila persone, prelevò dal carcere gli 11 italiani e li trucidò senza pietà, per un reato che non avevano commesso.

LA VICENDA DI SACCO E VANZETTI.La vicenda giudiziaria di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti ha ispirato parecchi film e libri. Si tratta di due anarchici italiani immigrati negli Stati Uniti che, nel 1920, arrestati, sull'onda della molta intolleranza verso gli italiani, con la falsa accusa di aver ucciso, nell'ambito di una rapina, un cassiere e una guardia dell'officina di South Braintee. 
Sottoposti ad un processo senza prove, i due vengono condannati a morte e uccisi sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927, nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham.
A sentenza eseguita, si scopriranno poi le prove della loro innocenza e il vero colpevole. Tuttavia, solo nel 1977 Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, ha riconosciuto ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilita completamente la memoria dei due anarchici.

Con le immagini ... è più facile




Gli "Arbëreshë" (Italo-Albanesi o Albanesi d'Italia) in Lombardia ... ... di Calogero Raviotta


SS. Annunziata e San Nicolò
Contessa Entellina




venerdì 28 novembre 2014

Rifiuti. Paralisi nel sistema della raccolta

L'impianto di Siculiana avrebbe raggiunto la capienza massima consentita e per 80 comuni dell'agrigentino, del trapanese e del palermitano, che vi conferivano i rifiuti, compare l'emergenza rifiuti.
Nella discarica dell'agrigentino, gestita dalla ditta Catanzaro e dove conferiva pure il Comune di Contessa Entellina, ormai non è più possibile scaricare "monnezza" e subito si scopre che chi avrebbe dovuto "governare" (il governo Crocetta) invece si è dilungato -fin troppo- nelle chiacchiere.

Gli ATO, mentre il governo regionale chiacchierava, hanno continuato ad accumulare debiti per oltre un miliardo, tuttavia non hanno ancora lasciato ruolo e funzioni alle Srr (Società di regolamentazione dei rifiuti). Gli Aro (Ambiti di raccolta ottimali) sono ancora in fase di formale costituzione e vivacchiano nel limbo. Peraltro il nostro Comune si è mosso -buon ultimo- poche sere fà in una apposita seduta consiliare.
I dipendenti dei servizi raccolta e smaltimento dell'isola sono in preda ai cronici ritardi nel ricevere il pagamento degli stipendi e segnalano dubbi di natura tecnico-economiche sul nuovo sistema che si vorrebbe realizzare e che -finora- è solo circondato dalle solite chiacchiere. 
E' verosimile quindi che in prossimità delle festività natalizie non mancheranno proteste, montagne di rifiuti per le strade delle città e -ovviamente- le chiacchiere di chi non sa governare. In Sicilia esiste un termine, una parola, che nessun politicante sa coniugare: Programmare.

La prova ?
A pochi chilometri dal centro abitato di Contessa, in c.da Alvano-Patellaro, in adiacenza all'antica stazione ferroviaria, è stato realizzato un impianto di compostaggio. 
Appalto regolarmente eseguito e persino inaugurazione in pompa magna avvenuta con rinfreschi e discorsi dei politicanti. 
Sono passati cinque/sei anni. L'impianto potrebbe incamerare 6.500 tonnellate di frazione umida.
Non se ne fa nulla.
Denaro sprecato e violenza ai danni di chi, nella nostra terra, soffre la fame a causa del denaro pubblico sprecato, inutilizzato, servito solamente a mettere su ... appalti. 

Matteo Salvini fa proseliti a Contessa ? Quanto dista Contessa da Piana degli Albanesi ... culturalmente ?

E' proprio come ci era stato riferito nei giorni scorsi.
L'Amministrazione Comunale sul territorio di Contessa Entellina, nel centro abitato, non vuole cittadini stranieri.
O meglio Non vuole immigrati ! 
Pochi minuti fà il Tg regionale ha trasmesso un servizio da Piana degli Albanesi. Lì il Sindaco, Vito Scalia, un arberesh, un siciliano, ha consentito che ben cinque centri di accoglienza possano agire in favore degli immigrati, arrivati in Sicilia non per motivi di turismo ma per "bisogno". 
Da persona civile -Vito Scalia- ha mostrato, pure attraverso i lineamenti del viso, il suo assenso entusiasta e quello dei suoi concittadini all'iniziativa, alle iniziative.

A Contessa di contro -ci è stato riferito e noi stentiamo, ancora, a credere- l'Amministrazione ... alcuni consiglieri e non si sa bene chi altro, si sarebbero opposti. 
Opposti a cosa ? ad accogliere gente che scappa dalle guerre, dalla miseria, dal bisogno ?

A Contessa erano già stati individuati gli edifici di accoglienza, già predisposti gli ambienti, ed il sindaco in persona avrebbe comunicato -a cose fatte- che non si sarebbe fatto più nulla. 
Pare di poter dire che si era semplicemente scherzato. Scherzato con le iniziative umanitarie ....   ... 

E' mai possibile che chi deve rappresentare i contessioti abbia potuto rappresentare avversione verso iniziative umanitarie ?

Esistono contessioti che non hanno parenti emigrati nei paesi più vari del mondo ?
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Ma di cosa si sarebbe trattato ?
Il sito del ministero dell’Interno rubrica sotto un generico “centri dell’immigrazione” tre tipi di strutture: 
A) i centri di accoglienza (Cda), 
B) i centri di accoglienza richiedenti asilo (Cara) 
C) e i centri di identificazione ed espulsione (Cie).

A) centri dove accogliere i migranti irregolari non appena arrivano nel territorio italiano; 
B) una volta manifestata o meno l’intenzione di presentare domanda di protezione internazionale, segue il passaggio in un luogo deputato all’accoglienza dei richiedenti asilo
C) oppure in un centro dove i migranti irregolari che non richiedono asilo vengono trattenuti per il tempo necessario alla loro identificazione e al loro allontanamento dall’Italia.

Albania. Oggi è festa nazionale

scander

Festa della Bandiera, la festa nazionale per antonomasia dell’Albania; è il giorno dell’indipendenza del paese dall’Impero ottomano dopo cinque secoli di dominio e la nascita dello Stato albanese.
Il 28 novembre del 1912 a Valona fu issata la bandiera rossa con l’aquila nera bicipite.
Era il 28 Novembre 1443 anche quando Scanderbeg issava quella bandiera nell’asta del castello di Kruja, giorno che segnava l’inizio della rivolta albanese contro l’Impero Ottomano e che per 25 anni sarebbe stata una delle pagine più gloriose della storia del paese.

Hanno detto ... ...

BEPPE SERVEGNINI, giornalista
«Roma ladrona!» è fuori moda
Adesso i nemici — un nemico ci vuole sempre — sono l’Europa a Nord e i migranti da Sud. Questi ultimi, sul mercato elettorale, si vendono meglio. 
Il cinismo di Matteo Salvini è pari al suo tempismo. L’autunno del patriarca Berlusconi e la scelta governativa di Alfano lo stanno aiutando. Ma non c’è dubbio che il nuovo, disinvolto capo della Lega abbia colto le opportunità e gli umori. Dopo averlo sentito boicottare l’inno di Mameli e irridere lo Stato unitario, aspettiamoci di vederlo presto con una nuova scritta sull’amata felpa: ITALIA! 
L’ipocrisia della manovra, e l’incoerenza delle proposte, non ci devono illudere: anche in Italia avremo presto il nostro partito xenofobo, come in Francia, in Inghilterra, in Olanda, in Svezia o in Finlandia. Per contenere il fenomeno — eliminarlo è impossibile — abbiamo solo una strada: scegliere e agire, non litigare e subire.

Non possiamo accogliere tutti, come vorrebbe qualcuno. Non possiamo respingere chiunque, come chiedono molti. Le politiche dell’immigrazione, come ha dimostrato la sanatoria annunciata da Obama per più di quattro milioni di migranti illegali, sono sempre frutto di un compromesso: con la storia, con la geografia, con gli obblighi della carità e le necessità dell’economia. Chi arriva in Italia deve aderire a un progetto: come accade negli Usa. Non dev’essere sfruttato; ma non può sfruttare i vantaggi della democrazia e del welfare senza offrire nulla in cambio.

ALDO GRASSO, giornalista
L’Albania siamo noi. C’è stato un tempo, fino a pochi anni fa, in cui l’Italia esportava bellezza, eccellenza, qualità del made in Italy. Al di là del mare Adriatico eravamo visti come la terra promessa, un bengodi dei consumi di cui la tv, soprattutto quella commerciale, raccontava le meraviglie facendo sognare. Poi è arrivato Agon Channel (sul canale 33 del digitale terrestre). L’imprenditore italiano Francesco Becchetti si è inventato la nuova frontiera della delocalizzazione: esportare in un contesto economico più arretrato (e quindi meno costoso) come l’Albania, non tanto macchinari industriali e forza lavoro ma uomini e donne di spettacolo, per costruire a Tirana un canale da diffondere in Italia.

BARTOLOMEO I, Patriarca di Costantinopoli
La Chiesa, nel suo divenire storico, ha sempre seguito nell’attività pastorale il proprio popolo, mai spingendosi troppo avanti e attendendo sempre chi arrivava con fatica.
Santa Sofia:
-da Giustiniano al 1453 Cattedrale Cristiana
-dal 1453 al 1933 Moschea islamica
-dal 1933 Museo
Come madre premurosa si occupa della crescita spirituale e umana dei propri figli, e allo stesso tempo li guida verso l’incontro con il Salvatore. Questo avviene anche nel dialogo ecumenico. La grande speranza suscitata in tanti cristiani e anche nelle gerarchie delle Chiese dall’incontro di Gerusalemme nel 1964 è stata accompagnata anche dallo scetticismo e alle volte dalla contrarietà di altri. Tuttavia, la spinta all’apertura e all’incontro che ne è derivata è stata molto più forte di ogni resistenza. Lo stesso avviene anche oggi. La purificazione della memoria storica avviene lentamente, con tanta pazienza, ma è inarrestabile il suo cammino. E il dialogo teologico ne è un esempio. C’è bisogno di gesti incisivi, che sappiano coinvolgere positivamente anche coloro che restano scettici o dubbiosi. Il dialogo può e deve sempre arricchire, non è mai fine a se stesso e certamente non fa perdere la propria identità. Non abbiamo nulla da perdere e da difendere. 

Con le immagini ... ... è più facile

Viene da dire: "Chi di anti-politica ferisce di anti-politica perisce"

Il Pd sta in vetta. Se Renzi non danneggia se stesso, insultando i suoi avversari, il Pd governerà per
i prossimi venti anni.

Questi sarebbero i voti di opinione. L'importante sarebbe
che non condizionassero più di
quanto pesano

Papa Francesco si appresta a raggiungere Istambul (l'antica Costantinopoli)
Domani giorno di Sant'Andrea parteciperà ai riti bizantini dedicati al patrono della
cattedra patriarcale.
Incontrerà sia Bartolomeo I che le autorità turche

Invito ad usare l'italiano, soprattutto in politica

Si, è proprio così.
L'antipolitica rende nelle fasi iniziali, poi ... poi ...

giovedì 27 novembre 2014

Precari dei comuni

Secondo la legislazione vigente, i Comuni dovrebbero ottemperare a due condizioni per dare serenità ai loro dipendenti, ai precari:
-il rispetto del patto di stabilità
-la stabilizzazione di alcuni dei lavoratori precari, così come prevede la deliberazione n. 192/2014 della Corte dei Conti.
L'ultimo aspetto, inoltre, diventa condizione essenziale per il prolungamento  del rapporto lavorativo fino al 31 dicembre del 2016.

A meno che non intervenga una modifica legislativa e che .... soprattutto ci siano i tempi per vararla entro il 31 dicembre.

La riforma del lavoro che lacera il pd

Ma quali sono i punti scottanti del Job Act del governo Renzi, che la socialista Camusso non accetta ?

L'indennizzo
Il ristoro economico è uno dei punti controversi all'interno dello stesso PD. L'indennizzo sarà dato al lavoratore licenziato, che col nuovo sistema non sarà più reintegrabile in caso di licenziamento economico ma  lo sarà soltanto in alcuni specifici casi in quello disciplinare. 
Il sistema Fornero, che già intacca l'originale articolo 18, oggi prevede che l'indennizzo sia compreso, per le imprese sopra i 15 dipendenti, tra 12 volte e 24 volte l'ultima retribuzione percepita, a seconda della anzianità del lavoratore. 
Esempio: per una retribuzione di 1.500 euro, tra un minimo di 18 mila e un massimo di 36 mila euro.
Le ipotesi in campo col nuovo sistema sarebbero due.
I) La prima prevederebbe un indennizzo pari a un ottavo della retribuzione moltiplicata per i mesi di anzianità, con un tetto di 36 mesi. Dunque per una retribuzione di 1.500 euro, il massimo indennizzo si attesterebbe in ogni caso a 6.750 euro, sia che gli anni di anzianità siano tre, sia che siano più di tre.  Per un anno di lavoro, la cifra si attesterebbe a 2.250 euro. Ben al di sotto quindi de sistema Fornero.

II) La seconda ipotesi prevederebbe una mensilità e mezza ogni 12 mesi di anzianità, senza tetto.
Dunque in caso di tre anni di anzianità si attesterebbe a 6.750 euro, nel caso di quattro, a 9 mila, e così via. In questa seconda ipotesi per raggiungere i 18 mila euro del minimo indennizzo della Fornero, al lavoratore necessiterebbero otto anni di anzianità mentre ne occorrerebbero 16 per prendere il massimo (36 mila euro).
Come si vede si tratta di ipotesi di favore per le imprese rispetto a oggi.
Susanna Camusso ha più di un motivo per difendere l'art. 18, lei che la cultura socialista la possiede da sempre al contrario dei Fassina e dei post-comunisti.

 Le piccole imprese
Il rapporto di vantaggio rischia di capovolgersi se gli stessi criteri si applicano alle imprese sotto i 15
dipendenti. Queste, per le quali oggi non vale mai il reintegro, liquidano con la Fornero un  indennizzo che va da 2,5 (3.750 euro nel nostro esempio) a 6 mensilità (9 mila euro). Ed è possibile che questi criteri non vengano modificati per evitare che i licenziamenti diventino troppo onerosi. 

Un'altra ipotesi emersa sarebbe quella di consentire alle piccole imprese di mantenere il regime di non applicazione dell'articolo 18 per tutti i dipendenti anche quando, con nuove assunzioni, superino il numero di 15 lavoratori, in modo da non scoraggiarle.

Trasparenza. Adesso i cittadini potranno scegliere amministratori che sanno quant'è il totale di 2 + 2 - Finora in Sicilia si è votato per il parente, l'amico, il truffaldino

Nei comuni finalmente stanno per essere superati quarant'anni di finanziamento statale in base alla spesa storica,  il cui criterio  era «più spendi più prendi». 
Alla metà di novembre quello che sembrava un sogno è diventato realtà e ora sono finalmente accessibili a ogni cittadino i dati sui fabbisogni standard, cioè sulla spesa giustificata, di ogni comune (www.opencivitas.it). 
Quarant'anni di inefficienza non si superano in un giorno, ma con anni di silenzioso lavoro e siccome i governi in Italia durano poco (dal '48 abbiamo avuto 63 governi diversi, contro i 24 della Germania), l'ultimo arrivato -quello di Matteo Renzi-  si è accreditata una riforma strutturale nata diversi anni prima. 
 Oggi la spesa locale è diventata trasparente: ogni cittadino potrà verificare qual è la spesa giustificata del suo comune e se questa eccede o rispetta il fabbisogno standard; potrà anche controllare la spesa per il personale, la spesa pro capite per i rifiuti, ecc. 
Forse questa operazione di trasparenza renderà più difficili sprechi e corruzione. 
Forse permetterà al cittadino di chiedere ai candidati cosa intendono fare rispetto a un dato dove la pagella dei fabbisogni standard segna rosso. 
Forse permetterà di votare non più in base a slogan ma in base ai dati di bilancio. Non tanto in base al rapporto di parentela, ma in base a chi sa fare l'addizione 2 + 2.
Questa riforma è andata in porto assieme a un'altra: l'armonizzazione dei sistemi contabili, per
cui dal 2015 gli enti locali avranno contabilità trasparenti e non più leggibili solo al segretario comunale e al responsabile dell'area finanziaria.
Forse si avvicina il sogno di Tocqueville: la democrazia inizia con la pubblicazione del bilancio sulla casa comunale

Enti Locali: Incentivi per la progettazione - (Corte dei Conti, sezione regionale Lombardia deliberazione n. 300/2014/PAR del 13 novembre 2014.)

Con la deliberazione riportata sopra, la Corte dei Conti della Lombardia fornisce chiarimenti in merito all'applicazione degli artt. 92 e 93 del d.lgs 12 aprile 2006, n.163 (codice dei contratti pubblici), come modificati dagli artt. 13 e 13 bis della l. 11 agosto 2014, n. 144, di conversione del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, che hanno abrogato i commi 5 e 6 del citato art. 92 e aggiunto i commi da 7 bis a 7 quinquies all'art. 93.
Come più volte messo in evidenza il c.d. incentivo alla progettazione, in costanza del previgente art. 92, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006, costituiva eccezione al principio di onnicomprensività della  retribuzione, finalizzato ad incentivare il ricorso alle professionalità interne dell’Ente.
A fronte di un’abrogazione secca dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del codice dei contratti pubblici, in materia di incentivi per la progettazione, disposta dall’art. 13 del decreto legge, l’art. 13 bis, introdotto in sede di conversione, ha previsto l’istituzione, a carico delle stazioni appaltanti e per le finalità descritte, di un fondo per la progettazione e l’innovazione, destinato alle risorse umane e strumentali necessarie per tali finalità, in misura non superiore al 2 per cento degli importi posti a base di gara di un’opera o di un lavoro, secondo modalità determinate da un regolamento adottato dall’amministrazione. Sempre tale regolamento dovrà definire i criteri di riparto di tali somme, ferme restando le ripartizioni direttamente disposte dall’atto normativo.
Di conseguenza a decorrere dall’entrata in vigore della legge n. 114/2014, di conversione del d.l. n. 90/2014, i comuni, come tutte le altre pubbliche amministrazioni, dovranno fare riferimento, per la disciplina degli incentivi al personale interno, incaricato di attività tecniche nell’ambito del procedimento di aggiudicazione ed esecuzione di un’opera pubblica, alla nuova disciplina legislativa, con conseguente necessaria adozione di un nuovo regolamento che stabilisca la percentuale massima destinata a tali compensi (comma 7 bis) e un accordo integrativo decentrato, da recepire nel predetto regolamento, che stabilisca i criteri di ripartizione (comma 7 ter). Entrambi dovranno adeguarsi alle novità normative, fra le quali spicca l’esclusione, fra i soggetti beneficiari dell’incentivo, del  personale con qualifica dirigenziale (comma 7 ter, ultimo periodo).
In relazione alla questione della cesura applicativa tra la vecchia e la nuova normativa, vale a dire, se essa trovi applicazione con riferimento alle sole attività successive o anche a quelle precedenti, ma non remunerate all’atto dell’entrata in vigore del decreto, la Corte ricorda la posizione della Sez. autonomie, 8 maggio 2009, 7/SEZAUT/2009/QMIG, che ha precisato che “dal compimento dell’attività nasce il diritto al compenso, intangibile dalle disposizioni riduttive, che non hanno alcuna efficacia retroattiva. ….ai fini della nascita del diritto quello che rileva è il compimento effettivo dell’attività; dovendosi, anzi, tenere conto, per questo specifico aspetto, che per le prestazioni di durata, cioè quelle che non si esauriscono in una puntuale attività, ma si svolgono lungo un certo arco di tempo, dovrà considerarsi la  frazione temporale di attività compiuta”: con la conseguenza che “il “quantum” del diritto al beneficio, quale spettante sulla base della somma da ripartire nella misura vigente al momento in cui questo è sorto, ossia al compimento delle attività incentivate, non possa essere modificato per effetto di norme che riducano per il tempo successivo l’entità della somma da ripartire”.

Sarà vero ? il nostro paese avrebbe respinto l'idea di ospitare immigrati ?

Ci è stato riferito (e noi ci riserviamo di approfondire l'aderenza alla realtà) che a Contessa Entellina, dove ben oltre il 70% delle abitazioni sono vuote, disabitate, si voleva aprire una istituzione che avrebbe dovuto occuparsi di ospitare gruppi di immigrati, di soggetti stranieri che giunti da noi -in Sicilia- devono ancora decidere dove dirigersi per concretizzare il loro futuro in terra europea, in attesa che tutte le formalità e procedute di legge sulla loro identità e condizione venissero formalizzate.
Ci è pure stato detto che -ovviamente- avrebbe dovuto essere coinvolto nell'iniziativa (come è ovvio) il Servizio Sociale del Comune. 
Stando alle frammentarie informazioni giunte a noi  sembrerebbe che -non si capisce chi- qualcuno avrebbe opposto un rifiuto, una non accettazione a che "immigrati" sostino nel nostro paese. 
Il che sarebbe accaduto nella piena consapevolezza che ogni onere sull'ospitalità sarebbe ricaduto per intero sulla Prefettura.

Se la notizia fosse fondata non potremmo che dare dell'ignorante a chi ha potuto bloccare una tale iniziativa.
Abbiamo nei giorni scorsi evidenziato su questo Blog come noi "contessioti" dovremmo ben capire (se solo conoscessimo la nostra storia) le condizioni di chi -in condizioni di bisogno- lascia la terra di origine. 
Tanti fra noi "contessioti" si inorgogliscono di avere lontane origini arberesh. E già questo riferimento dovrebbe essere motivo di "apertura", piuttosto che di chiusura. La Sicilia è sempre stata per molti popoli terra di arrivo e di partenza, non è mai stata terra di una sola etnia o di gente radicata qui.
Noi contessioti nel dopo unità d'Italia abbiamo aperto il varco dell'emigrazione verso gli Usa, primo centro abitato in Sicilia, fondando la più consistente comunità siciliana in Luisiania. Potrà mai essere possibile che qualcuno, a nome dei contessioti, abbia rifiutato ospitalità a immigrati di altre parti del pianeta ? Sarebbe assurdo, oltre che frutto di ignoranza !

Se l'informazione pervenutaci è fondata c'è da vergognarsi degli autori -super ignoranti- che a nome di tutti noi hanno osato rifiutare ospitalità in un centro in cui mensilmente i giovani emigrano verso altre parti della  penisola e altri paesi d'Europa.

Gli ignoranti che avrebbero rifiutato l'ospitalità sanno che nella seconda metà dell'Ottocento migliaia (lo ripetiamo: migliaia) di braccianti, contadini in preda alla miseria, al 95% analfabeti, hanno lasciato il nostro paese in cerca di fortuna altrove ? Che giunti a destinazione furono vittime pure di eccidi ?
Contessa Entellina è sempre stato punto di approdo (cosa sono stati gli arberesh se non ospiti ?) e punto di partenza verso insediamenti più soddisfacenti. 
Ancora nell'età giolittiana (primo Novecento), negli anni cinquanta e sessanta l'emigrazione era l'unica via di riscatto per grandissimi strati di popolazione contessiota.
Ancora la settimana scorsa giovani ventenni sono partiti per altri lembi di terra, solo perchè non tutti gli amministratori e i governanti di questa nostra terra nel tempo hanno saputo assolvere ai loro doveri.
Se la notizia troverà conferma essa oltre che frutto di ignoranza sarà da attribuire pure alla pigrizia.
Torneremo sull'argomento, sotto la voce "il pianeta è di tutti".

Sapori di Sicilia (8)

La pasticceria
Leonardo Sciascia ha evidenziato che i siciliani, generalmente individualisti, durante le festività abbandonano il loro isolazionismo e si rifugiano, sia pure per poco, in gruppi, parentele, congreghe varie.
Qualcuno asserisce che il collante di queste trasformazioni siano, o siano state nel passato, le lavorazioni della pasticceria locale. Cugini, vicini di casa, amici si ritrovavano allora in casa di matriarche, nonne e zie anziane per consacrare le feste e pure per lavorare ed infornare negli antichi forni a legna i dolci elaborati secondo le antiche ricette. Ricette che variavano da famiglia in famiglia e che era d'obbligo conservare nell'ermetico segreto.

Il calendario che vedeva l'abbandono dell'individualismo siculo e l'apertura, la relazionalità e le visite nelle case dei parenti e degli amici per, insieme, preparare i dolci tipici di ciascuna festività era così articolato:

-Natale
Buccellati, da noi a Contessa meglio conosciuti come "pupi con fichi" (pasta frolla ripiea di fichi secchi).
Mustazzoli duri, lavorati con vino, miele ed altro. Li si faceva duri per evitare che -nelle povere famiglie contadine- potessero finire presto.

-Carnevale
Cannoli di sanguinaccio: sangue di maiale, zuccata, cioccolato, mandorle abbrustolite

-San Giuseppe
frittelle farcite di ricotta
fritti di ricotta

-Santa Lucia
Cuccia: grano in precedenza ammollato nell'acqua per tre giorni, lessato e condito con vino cotto, oppure con crema, o ricotta

-due Novembre
Ossa di morti: impasto di farina e zucchero cotto a tocchetti al forno.
Frutta martorana: classica, al cioccolato (i fichi, le carrube), al caffè (le castagne).

Nel Belice pre-terremoto le cucine erano tutte a legna e non c'era famiglia che almeno due volte all'anno, a Natale e a Pasqua, non preparava pasticcini, i più vari, in genere con le mandorle. A Pasqua si allestivano gli agnelli dolci (pasta di mandorla ripieni di conserva di cedro).
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Dal ricettario locale contessioto risalente ad inizi Novecento riportiamo la preparazione dei "taralli".

Ingredienti:
-1 kg. di farina 
-40 gr. di ammoniaca per dolci
-1 limone
-250 g. di zucchero a velo
-125 g. di zucchero semolato
-100 g. di burro (oggi sarebbe preferibile margarina)
-1 cucchiaio raso di semi d'anice
-latte q.s.

Setacciare la farina ed impastarla con la margarina, lo zucchero semolato, l'ammoniaca sciolta in 2,75 dl si latte e i semi d'anice = Appena la pasta diviene omogenea ricavarne dei filoni piatti; attocigliarli su se stessi e saldare le estremità, in modo da formare delle ciambelle = Adagiarle in una teglia e infornare. (Oggi nei forni elettrici o a gas si regola la temperatura sui 180° per mezz'ora) = Stemperare lo zucchero a velo con due cucchiai di latte e 4 cucchiai di succo di limone e sbattere il composto con una frusta, fino ad ottenere una crema liscia. = Spennellare i biscotti tiepidi con la glassa e lasciarli asciugare in forno per pochi minuti.

Cosa ha detto papa Francesco al Parlamento Europeo ?

Signor Presidente, 
Signore e Signori Vice Presidenti, 
Onorevoli Eurodeputati, 
Persone che lavorano a titoli diversi in quest’emiciclo,
Cari amici,

vi ringrazio per l’invito a prendere la parola dinanzi a questa istituzione fondamentale della vita dell’Unione Europea e per l’opportunità che mi offrite di rivolgermi, attraverso di voi, agli oltre cinquecento milioni di cittadini che rappresentate nei 28 Stati membri. Particolare gratitudine, desidero esprimere a Lei, Signor Presidente del Parlamento, per le cordiali parole di benvenuto che mi ha rivolto, a nome di tutti i componenti dell’Assemblea.

La mia visita avviene dopo oltre un quarto di secolo da quella compiuta da Papa Giovanni Paolo II. Molto è cambiato da quei giorni in Europa e in tutto il mondo. Non esistono più i blocchi contrapposti che allora dividevano il continente in due e si sta lentamente compiendo il desiderio che «l’Europa, dandosi sovranamente libere istituzioni, possa un giorno estendersi alle dimensioni che le sono state date dalla geografia e più ancora dalla storia».
Accanto a un’Unione Europea più ampia, vi è anche un mondo più complesso e fortemente in movimento. Un mondo sempre più interconnesso e globale e perciò sempre meno “eurocentrico”. A un’Unione più estesa, più influente, sembra però affiancarsi l’immagine di un’Europa un po’ invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista in un contesto che la guarda spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto.
Nel rivolgermi a voi quest’oggi, a partire dalla mia vocazione di pastore, desidero indirizzare a tutti i cittadini europei un messaggio di speranza e di incoraggiamento.
Un messaggio di speranza basato sulla fiducia che le difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità, per vincere tutte le paure che l’Europa – insieme a tutto il mondo – sta attraversando. Speranza nel Signore che trasforma il male in bene e la morte in vita.
Incoraggiamento di tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori dell’Unione europea, i quali desideravano un futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente. Al centro di questo ambizioso progetto politico vi era la fiducia nell’uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell’uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente.
Mi preme anzitutto sottolineare lo stretto legame che esiste fra queste due parole: “dignità” e “trascendente”.
La “dignità” è una parola-chiave che ha caratterizzato la ripresa del secondo dopo guerra. La nostra storia recente si contraddistingue per l’indubbia centralità della promozione della dignità umana contro le molteplici violenze e discriminazioni, che neppure in Europa sono mancate nel corso dei secoli. La percezione dell’importanza dei diritti umani nasce proprio come esito di un lungo cammino, fatto anche di molteplici sofferenze e sacrifici, che ha contribuito a formare la coscienza della preziosità, unicità e irripetibilità di ogni singola persona umana. Tale consapevolezza culturale trova fondamento non solo negli avvenimenti della storia, ma soprattutto nel pensiero europeo, contraddistinto da un ricco incontro, le cui numerose fonti lontane provengono «dalla Grecia e da Roma, da substrati celtici, germanici e slavi, e dal cristianesimo che li ha plasmati profondamente», dando luogo proprio al concetto di “persona”.
Oggi, la promozione dei diritti umani occupa un ruolo centrale nell’impegno dell’Unione Europea in ordine a favorire la dignità della persona, sia al suo interno che nei rapporti con gli altri Paesi. Si tratta di un impegno importante e ammirevole, poiché persistono fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare la concezione, la configurazione e l’utilità, e che poi possono essere buttati via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi.
Effettivamente quale dignità esiste quando manca la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero o di professare senza costrizione la propria fede religiosa? Quale dignità è possibile senza una cornice giuridica chiara, che limiti il dominio della forza e faccia prevalere la legge sulla tirannia del potere? Quale dignità può mai avere un uomo o una donna fatto oggetto di ogni genere di discriminazione? Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, che non ha il lavoro che lo unge di dignità?
Promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici.
Occorre però prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali – sono tentato di dire individualistici -, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (μονάς), sempre più insensibile alle altre “monadi” intorno a sé. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa.
Ritengo perciò che sia quanto mai vitale approfondire oggi una cultura dei diritti umani che possa sapientemente legare la dimensione individuale, o, meglio, personale, a quella del bene comune, a quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Infatti, se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze.
Parlare della dignità trascendente dell’uomo, significa dunque fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male, a quella “bussola” inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato; soprattutto significa guardare all’uomo non come a un assoluto, ma come a un essere relazionale. Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami. La si vede particolarmente negli anziani, spesso abbandonati al loro destino, come pure nei giovani privi di punti di riferimento e di opportunità per il futuro; la si vede nei numerosi poveri che popolano le nostre città; la si vede negli occhi smarriti dei migranti che sono venuti qui in cerca di un futuro migliore.
Tale solitudine è stata poi acuita dalla crisi economica, i cui effetti perdurano ancora con conseguenze drammatiche dal punto di vista sociale. Si può poi constatare che, nel corso degli ultimi anni, accanto al processo di allargamento dell’Unione Europea, è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose. Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza, d’invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni.
A ciò si associano alcuni stili di vita un po’ egoisti, caratterizzati da un’opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante, soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico [5]. L’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che – lo notiamo purtroppo spesso – quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere.
È il grande equivoco che avviene «quando prevale l’assolutizzazione della tecnica», che finisce per realizzare «una confusione fra fini e mezzi». Risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”. Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio. Voi, nella vostra vocazione di parlamentari, siete chiamati anche a una missione grande benché possa sembrare inutile: prendervi cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”. Prendersi cura della fragilità delle persone e dei popoli significa custodire la memoria e la speranza; significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità.
Come dunque ridare speranza al futuro, così che, a partire dalle giovani generazioni, si ritrovi la fiducia per perseguire il grande ideale di un’Europa unita e in pace, creativa e intraprendente, rispettosa dei diritti e consapevole dei propri doveri?
Per rispondere a questa domanda, permettetemi di ricorrere a un’immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene. Al suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso l’alto, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo tende la mano in avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà concreta. Mi pare un’immagine che ben descrive l’Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi.
Il futuro dell’Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello “spirito umanistico” che pure ama e difende.
Proprio a partire dalla necessità di un’apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l’indipendenza delle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l’hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona.
Desidero, perciò, rinnovare la disponibilità della Santa Sede e della Chiesa cattolica, attraverso la Commissione delle Conferenze Episcopali Europee (COMECE), a intrattenere un dialogo proficuo, aperto e trasparente con le istituzioni dell’Unione Europea. Parimenti sono convinto che un’Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e lepotenzialità, possa essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché «è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza».
Non possiamo qui non ricordare le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti.
Il motto dell’Unione Europea è Unità nella diversità, ma l’unità non significa uniformità politica, economica, culturale, o di pensiero. In realtà ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo sé stesso senza timore. In tal senso, ritengo che l’Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell’Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l’ideale dell’unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie. Mettere al centro la persona umana significa anzitutto lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività, sia a livello di singolo che di popolo.
D’altra parte le peculiarità di ciascuno costituiscono un’autentica ricchezza nella misura in cui sono messe al servizio di tutti. Occorre ricordare sempre l’architettura propria dell’Unione Europea, basata sui principi di solidarietà e sussidiarietà, così che prevalga l’aiuto vicendevole e si possa camminare, animati da reciproca fiducia.
In questa dinamica di unità-particolarità, si pone a voi, Signori e Signore Eurodeputati, anche l’esigenza di farvi carico di mantenere viva la democrazia, la democrazia dei popoli dell’Europa. Non ci è nascosto che una concezione omologante della globalità colpisce la vitalità del sistema democratico depotenziando il ricco contrasto, fecondo e costruttivo, delle organizzazioni e dei partiti politici tra di loro. Così si corre il rischio di vivere nel regno dell’idea, della sola parola, dell’immagine, del sofisma… e di finire per confondere la realtà della democrazia con un nuovo nominalismo politico. Mantenere viva la democrazia in Europa richiede di evitare tante “maniere globalizzanti” di diluire la realtà: i purismi angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza [10].
Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale – forza politica espressiva dei popoli – sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti. Questa è una sfida che oggi la storia vi pone.
Dare speranza all’Europa non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Il primo ambito è sicuramente quello dell’educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società. La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali. D’altra parte, sottolineare l’importanza della famiglia non solo aiuta a dare prospettive e speranza alle nuove generazioni, ma anche ai numerosi anziani, spesso costretti a vivere in condizioni di solitudine e di abbandono perché non c’è più il calore di un focolare domestico in grado di accompagnarli e di sostenerli.
Accanto alla famiglia vi sono le istituzioni educative: scuole e università. L’educazione non può limitarsi a fornire un insieme di conoscenze tecniche, bensì deve favorire il più complesso processo di crescita della persona umana nella sua totalità. I giovani di oggi chiedono di poter avere una formazione adeguata e completa per guardare al futuro con speranza, piuttosto che con disillusione. Numerose sono, poi, le potenzialità creative dell’Europa in vari campi della ricerca scientifica, alcuni dei quali non ancora del tutto esplorati. Basti pensare ad esempio alle fonti alternative di energia, il cui sviluppo gioverebbe molto alla difesa dell’ambiente.
L’Europa è sempre stata in prima linea in un lodevole impegno a favore dell’ecologia. Questa nostra terra ha infatti bisogno di continue cure e attenzioni e ciascuno ha una personale responsabilità nel custodire il creato, prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che non ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre «invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura»[11]. Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona, che ho inteso richiamare quest’oggi rivolgendomi a voi.
Il secondo ambito in cui fioriscono i talenti della persona umana è il lavoro. E’ tempo di favorire le politiche di occupazione, ma soprattutto è necessario ridare dignità al lavoro, garantendo anche adeguate condizioni per il suo svolgimento. Ciò implica, da un lato, reperire nuovi modi per coniugare la flessibilità del mercato con le necessità di stabilità e certezza delle prospettive lavorative, indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori; d’altra parte, significa favorire un adeguato contesto sociale, che non punti allo sfruttamento delle persone, ma a garantire, attraverso il lavoro, la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli.
Parimenti, è necessario affrontare insieme la questione migratoria. Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini e donne che necessitano di accoglienza e di aiuto. L’assenza di un sostegno reciproco all’interno dell’Unione Europea rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali. L’Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti; se saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti interni – causa principale di tale fenomeno – invece delle politiche di interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. È necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti.
Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori Deputati,
La coscienza della propria identità è necessaria anche per dialogare in modo propositivo con gli Stati che hanno chiesto di entrare a far parte dell’Unione in futuro. Penso soprattutto a quelli dell’area balcanica per i quali l’ingresso nell’Unione Europea potrà rispondere all’ideale della pace in una regione che ha grandemente sofferto per i conflitti del passato. Infine, la coscienza della propria identità è indispensabile nei rapporti con gli altri Paesi vicini, particolarmente con quelli che si affacciano sul Mediterraneo, molti dei quali soffrono a causa di conflitti interni e per la pressione del fondamentalismo religioso e del terrorismo internazionale.
A voi legislatori spetta il compito di custodire e far crescere l’identità europea, affinché i cittadini ritrovino fiducia nelle istituzioni dell’Unione e nel progetto di pace e amicizia che ne è il fondamento. Sapendo che «quanto più cresce la potenza degli uomini tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità personale e collettiva», vi esorto [perciò] a lavorare perché l’Europa riscopra la sua anima buona.
Un anonimo autore del II secolo scrisse che «i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo». Il compito dell’anima è quello di sostenere il corpo, di esserne la coscienza e la memoria storica. E una storia bimillenaria lega l’Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, anche di peccati, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella delle molteplici opere di carità e di edificazione umana comune che costellano il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il nostro presente e anche il nostro futuro. Essa è la nostra identità. E l’Europa ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere, secondo lo spirito dei suoi Padri fondatori, nella pace e nella concordia, poiché essa stessa non ancora esente dai conflitti.
Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!
Grazie.