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domenica 31 agosto 2014

Hanno detto ... ...

GAD LERNER, giornalista
Matteo Salvinimi è volato in Corea del Nord insieme a Antonio Razzi. 
Da buon leghista ha sempre avuto una preferenza per quelli del Nord.

CLAUDIO CERASA, giornalista
Quel "sennó ci metto D'Alema", a proposito di Mogherini, in Europa deve essere stato preso maledettamente sul serio.

MATTEO RENZI, premier
Le cronache di ieri (29 agosto, ndr) sono passare alla storia per il gelato ma ieri abbiamo fatto un lavoro molto molto importante, abbiamo sbloccato opere e rimesso in moto investimenti e fatta una riforma della giustizia non dettata da esigenze di parte. Un lavoro articolato che continueremo passo dopo passo per scardinare il sistema”.

LUCA RIDOLFI, sociologo
La ragione per cui penso che poche cose cambieranno è molto semplice, ed è che una cosa è la crisi, una cosa diversa è il declino; una cosa è una società povera, una cosa diversa è una società ricca. Una società povera che incappa in una crisi ha molte possibilità di rialzarsi perché non può non accorgersi della gravità di quel che le succede, e non può non sentire la spinta ad automigliorarsi. Una società ricca che è in declino da due decenni (ma secondo molti studiosi da più tempo ancora) può benissimo sottovalutare quel che le succede, e avere ormai esaurito la spinta all’automiglioramento. L’Italia, se si eccettua il segmento degli immigrati (che alla crisi hanno reagito e continuano a reagire molto bene: 91 mila posti di lavoro in più negli ultimi 12 mesi), è precisamente nella seconda condizione. Dal momento che il nostro declino è lento (perdiamo l’1-2% del nostro reddito ogni anno), e la maggior parte della popolazione ha ancora riserve di denaro e di patrimonio, è molto facile cullarsi nell’illusione che basti aspettare, che prima o poi il sole tornerà e la ripresa dell’economia rimetterà le cose a posto.  
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E qui non penso solo alla insostenibile leggerezza del premier, che un mese fa snobbava i primi dati negativi sul Pil («che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5% non cambia niente per la vita quotidiana delle persone»), e provava a tranquillizzare gli italiani con ardite metafore metereologiche (la ripresa «è un po’ come l’estate, arriva un po’ in ritardo ma arriva»). Penso anche alla mancanza di idee coraggiose da parte del sindacato, ancora impigliato nei meandri mentali del secolo scorso. O alla leggerezza con cui la Confindustria ha avallato il bonus da 80 euro, una misura che non ha rilanciato i consumi e in compenso ha bruciato qualsiasi possibilità futura di ridurre Irap e Ires, ossia una delle pochissime cose che un governo può fare per sostenere subito, e non fra 1000 giorni, la competitività e l’occupazione (per inciso: ieri Squinzi ha picchiato duro contro il bonus, scordandosi completamente delle sue dichiarazioni di giugno, quando aveva spiegato di non averlo contrastato per ragioni politiche, perché «le elezioni europee erano più importanti»).  
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La conseguenza è molto semplice, ma terrificante: se ci fosse un’altra crisi finanziaria, noi saremmo più vulnerabili di Spagna e Irlanda. Ecco perché rallegrarsi degli spread bassi può essere molto fuorviante. E continuare a rimandare le scelte difficili, come finora hanno fatto un po’ tutti i governi, potrebbe rivelarsi catastrofico. Lo so: Cassandra dixit, direte voi. Ma a differenza di Cassandra non vedo nel futuro, e continuo a pensare che il futuro che verrà sarà esattamente quello che ci saremo meritati. 

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