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martedì 22 luglio 2014

La nostra Sicilia. Una carrellata dai Borboni al crocettismo n. 7

La storia dell'isola

L'annessione all'Italia e la perdita dell'autonomia

L'annessione dell'isola al regno d'Italia dei Savoia fu sancita -dopo l'impresa garibaldina- dal plebiscito del 21 ottobre 1861. Si trattò di una cesura profonda rispetto alla storia secolare dell'isola. 
Sin dal crollo dell'Impero romano d'Occidente, dopo la breve invasione dei Vandali, l'isola rientrò nei confini dell'Impero Romano d'Oriente e godette di autonomia (fu pure eretta a Thema), poi con gli Arabi godette pure di autonomia politica rispetto ai regni del Nord-Africa. Indipendenza fu quella goduta con i re normanni e poi con Svevi, Aragonesi e Spagnoli. La Sicilia fu -quindi- sempre uno Stato sovrano o comunque del tutto autonomo dalla costellazione imperiale asburgico-spagnola. 
L'autonomia politica, o quanto meno quella amministrativa, aveva infatti costituito una caratteristica di fondo della storia isolana.
Con i Borboni il Regno aveva chiuso la secolare esistenza nel 1816 ma era rimasta l'autonomia amministrativa e in questo contesto era avvenuto il complesso passaggio da una società baronale e feudale ad un tipo di società borghese avente come bussola la proprietà privata. Proprietà privata attribuita in toto ai baroni ed espropriando le masse contadine pure degli usi civici.

Dopo l'unificazione i problemi della Sicilia furono quelli di una regione non più autonoma ma inserita all'interno di uno Stato fortemente accentrato, di cui facevano parte territori e ambiti economicamente ben più prosperi del regno borbonico.
L'isola ancor prima del plebiscito assistette ai primi flussi di emorragia dell'emigrazione. 
Contessa fu il paese che per primo in Sicilia vide consistenti masse di popolazione che fluivano verso il nuovo mondo, la Louisiania. In altre parti del Blog sono riportati numeri e motivazioni di questo grave e prioritario flusso.
Una relazione del consigliere comunale Lo Iacono (un medico) è pubblicata in quel 1861 sul Giornale più diffuso di Palermo e denuncia le conseguenze dell'emorragia che colpisce, primo fra tutti, appunto il Comune di Contessa. In pochi mesi di quell'anno più del 20% della popolazione era emigrata in direzione di New Orleans.

Abbiamo anticipato, nei precedenti brani di questa nostra carrellata, che con l'unificazione e con l'immissione dei gattopardi nei gangli di governo del nuovo stato furono eluse le aspirazioni contadine di vedere frammentati gli antichi feudi, divenute grandi proprietà degli antichi baroni. Gli usi civici, che a Contessa i Lo Iacono fino al 1948 tenderanno di far valere dai tribunali, rimasero disconosciuti.Di questa lunga vicenda esiste il manoscritto di Don Ciccio Lo Iacono che merita di essere pubblicato e diffuso.
Va detto -comunque- che anche se la quotizzazione degli antichi feudi fosse stata riconosciuta, come gli esponenti dei Lo Iacono volevano, si sarebbe trattato solo di un riconoscimento di giustizia sociale, ma quell'iniziativa -da sola- non avrebbe innescato la trasformazione in senso borghese della società arretrata dell'interno dell'isola.
Il flusso migratorio dall'isola comincerà dal 1880 in poi, venti anni dopo l'avvio dato dai contessioti, e si bloccherà -per disposizione di legge- con l'instaurarsi del Fascismo.

I Lo Iacono -ed il loro disegno strategico durato oltre un secolo- ebbero le prime delusioni che la quotizzazione non era soluzione alternativa all'emigrazione dalla frammentazione dei tanti e vasti feudi del Monastero di Santa Maria del Bosco.  Questi al contrario degli ex feudi dei Colonna rientrarono nell'asse ecclessiastico nel 1866.
Seppure frammentati finirono, nelle aste pubbliche, nelle mani di chi poteva permettersi le disponibilità finanziarie, nulla andò alla classe dei contadini assillata da problemi di sopravvivenza drammatiche, mai patite nei secoli precedenti.

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