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venerdì 13 giugno 2014

Il caso Mineo e il Pd

Dice Matteo Renzi: "non ho preso il 40,8 per cento per lasciare il paese in mano a Corradino Mineo". 
In questa espressione, secondo alcuni giornali, c'è tutta la distanza fra le attese del paese che ha voluto incoraggiare l'entusiasmo e l'intraprendenza del giovane leader nella consultazione del 25 maggio (=europee) e le difficoltà dei rapporti di forza in parlamento (e soprattutto nel gruppo parlamentare pd, in grande maggioranza dominato dalla "vecchia guardia bersaniana"). 
Renzi, non c'è dubbio, ha ricevuto un fortissimo mandato a modificare quanto è modificabile (nella specie in cui è collocata la questione di Corradino Mineo, l'eliminazione del bicameralismo).
Renzi non può e si propone di non fallire. Se non dovesse mantenere le promesse (o meglio, le attese) è chiaro che il Pd tornerebbe nei suoi limiti fisiologici di Partito del 25% con la cultura catto-comunistoide, che tutto è tranne che una medicina da terzo millennio. Una specificità tutta italiana.
Non intendiamo dire che Corradino Mineo, bravo giornalista, abbia tutti i torti dalla sua. No.
Però chi si impegna alla vita comunitaria, che sia un club, un partito, o altro, dopo che sono state sviluppate decine di assemblee, riunioni, e dopo che sono stati corretti più volte i testi di riforma del senato, riteniamo -noi che scriviamo- che va moderata all'esterno del Partito (nella Commissione, dove il voto di Mineo si manifesta come "determinante") l'irriducibile opposizione alle tesi di chi ha raccolto il vasto consenso, nel paese.
Questa nostra riflessione non vuole significare che Mineo, nettamente contrario all'abolizione del bicameralismo, in Aula dovesse poi, per forza, votare ciò che la sua coscienza gli proibisce. No.

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