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sabato 31 maggio 2014

La lingua albanese

di Paolo Borgia
Mënyra dëshirore - modo ottativo
         
           Una trentina di anni fa ci si accorse che la lingua aramaica, un tempo la lingua più diffusa nel Medioriente, ormai si parlava solo in qualche sperduto villaggio della Siria settentrionale.

    Era questa, la lingua usata in Palestina da Gesù 2000 anni fa e, siccome fino ad allora non se ne conosceva alcun suo testo scritto − oggi un bibbia aramaica è stata ritrovata −, si organizzò una campagna di studi dentro un paese per registrare tutte le frasi possibili usate nella vita quotidiana.   
        
           E’ un raro miracolo che una lingua si conservi nel lungo periodo. Imperi che cambiano, migrazioni, guerre, commerci, mode, nuove tecnologie, che cambiano le condizioni esistenziali poco per volta o anche rapidamente fanno sì che magari solo nel giro di cinquant’anni gli anziani agricoltori o artigiani semianalfabeti non capiscono il linguaggio dei giovani, frutto del grande numero di frequentazioni di alte scuole universitarie, sicuramente lontane dalla vita.  
           Anche la velocità del tempo è cambiato: la necessaria lentezza che rendeva compatibile la logorante fatica con le poche forze fisiche umane ha visto esplodere un dinamismo frenetico anche nel modo di parlare. Ne hanno fatto le spese anche alcuni “tempi e modi dei verbi”, specie il modo ottativo − mënyra dëshirore  che si usa ormai raramente per pregare, per imprecare, esprimere il desiderio o l’augurio che qualcosa accada, per un’esortazione o una maledizione.
        
          L’esempio scritto più radicato nel tempo è il Padre Nostro − Ati Ynë, in cui, oltre a 4 imperativi diretti a Dio, ëna-dacci, ndjena-rimetti a noi, mos na le të biem- non farci cadere, lirona-liberaci, troviamo 4 espressioni di desiderio di lode shejtëruar kloftë-sia santificato, ardhtë (j-ardhshit)-venga, u bëftë- sia fatta, ashtù kloftë-così sia.

Ati ynë çë je në qiell,
shejtëruar kloftë emri yt,
ardhtë rregjëria jote,
u bëftë vullimi yt
si në qiell ashtù në dhe.
Bukën tënë të përditshme

ëna neve sot,
ndjena dëtyrët tona,
ashtù si na ia ndjejëm dëtyruamvet tanë,
e mos na le të biem në ngarje,
po lirona nga i ligu.

Ashtù kloftë

Abbiamo qualche giaculatoria

Ynë Zot na ruashit - Il Signore ci protegga
Paçe lipisi për mua i Madh’Yn’Zot - Abbi pietà per me Grande Signore
Daftë Ynë Zot -Voglia il Signore
Ma anche auguri malefici

Të zëfshit hëna! - Possa perdere la ragione!
I zëftë një pikë te zëmbra! - Gli venga un colpo apoplettico! (=goccia. Italiano rinascimentale)
Të ju thaheshit gluha! - Vi si secchi la bocca!
Mos vaftë për të folë! - Non per vanagloria! Non per vantarmi!
  
Ma accanto a queste terribili imprecazioni consoliamoci - come ci dice Papas Matteo Sciambra* - con questi versi che la madre della sposa pronunzia mentre la figlia lascia la propria casa per recarsi in Chiesa per contrarre matrimonio, mentre fa piovere sul suo capo frammenti di pane con sale e fiori”:
Shtofshe e burofshe
sa rërë ka dejti e sa ilëzë ka qiellja!
Pafshe* hjen si buka e si kripa,
Vafshe veshur si ulliu e si qiparisi!

Possa tu aggiungere ed abbondare
per quanta rena ha il mare e stelle il cielo!
Possa avere onore come il pane e il sale,
Possa andar vestita come l’ulivo e il cipresso!

Altri casi comuni

Shko-fsha che io passi
La-fsha che io lavi
Bë-fsha che io faccia
Ble-fsha che io compri
Prit-sha che io aspetti
Vdek-sha che io muoia

Djeg-sha che io bruci
Pjek-sha che io arrostisca
Rua-sha che io custodisca
Dhën-sha che io dia
Pa-fsha che io veda
Thën-sha che io dica

Va-fsha che io vada
Da-fsha che io voglia
Ngrën-sha che io mangi
Ardh-sha che io venga
Pa-ça che io abbia
Klo-fsha che io sia
___________
* Matteeo Sciambra, Stato attuale della parlata albanese di Contessa Entellina (Sicilia), in Orbis - Tome XIII, N° 2,1964, Louvain
** Pafshe >Paçe

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