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domenica 3 febbraio 2013

Importanza della masseria di Vaccarizzo come centro economico e sociale di epoche non così lontane


Incontrare i ragazzi della scuola media di Contessa Entellina e rendersi conto che la Storia, la disciplina scolastica, non è molto apprezzata induce presto a pensare che i nostri ragazzi non hanno cognizione delle origini del nostro paese, Contessa, e non hanno alcuna cognizione della funzione che esso ha assolto nel contesto della Sicilia Occidentali nei secoli passati.
I nostri ragazzi conoscono qualcosa di Garibaldi, forse di Napoleone, ma nulla sanno del ruolo assolto dalla Masseria di Vaccarizzo, e andando indietro nei secoli dai feudatari del luogo, che si chiamassero Gioeni o Sperlinga. Nulla sanno delle origini e di cosa si occupavano i loro antenati ed è verosimile che nulla sapranno immaginare su come organizzeranno la loro vita futura. Pensano infatti che qualcuno li aiuterà a costruire il loro futuro, di cui pertanto non saranno per intero padroni.
 
Eppure esistono più indicazioni legislative, nazionali e regionali, che impongono alla Scuola di scandagliare la storia locale e di valorizzare, accanto alla civiltà contadina, anche le varie ricchezze archeologiche e ambientali, ancora purtroppo non sufficentemente bene conosciute, di cui è ricco il nostro territorio.
Ricchezze -oggi stimabili di grande rilevanza culturali- che  hanno contribuito alla storia ed alla grandezza dell'intero nterritorio.
Si, oggi dobbiamo essere orgogliosi per come le generazioni che ci hanno precedute hanno saputo vivere in questo territorio, per quanto hanno dovuto sacrificarsi, per come hanno dovuto adattarsi. L'intero territorio del nostro comune va amato.

VACCARIZZO
La Masseria costituisce il simbolo del latifondo, essa era il cuore della vita socio-economica che dal settecento pulsava nel nostro territorio e e si estendeva ben oltre esso. Era la fucina delle attività agricole che si svolgeva prima sui feudi della locale baronia e poi sui vasti territori del latifondo, venutisi a creare dopo il 1812.
 La masseria era il fulcro, il centro di diramazione del lavoro di centinaia e centinaia di braccianti e di contadini senza terra: vendemmia, mietitura, raccolta delle olive, ogni attività ruotava attorno alla masseria di Vaccarizzo. Poca cosa era il provento che i contessioti ottenevano dai due feudi di Serradamo e Contesse, seppure coltivati intensivamente, rispetto al fabbisogno della comunità stanziatasi a fine Quattrocento alle pendici di Brjgnat.
Alfonso Cardona non cedette i due feudi agli arbëreshë perchè era un benefattore. Li dette in quanto una volta stanziatisi all'interno della baronia essi -per sopravvivere- avrebbero dovuto prestare lavoro a suo beneficio anche su tutti i feudi ricadenti nella baronia e non solamente negli insufficenti due feudi concessi in enfiteusi.
Da Vaccarizzo si diramavano trazzere e gravitavano greggi che sostavano in altri aggregati di case rurali  adibiti al ricovero delle mandrie, simboli di quella civiltà agricolo-pastorale che ha caratterizzato la vita delle genti di Sicilia e di gran parte della popolazione arbëreshë, venuta ad abitare in queste zone disabitate e lontane dai centri portuali.
Attorno a questi luoghi, la masseria capoluogo e le mandrie della baronia prima e poi del latifondo, ruotava la vita modesta, spesso misera e faticosa del pastore, del bracciante, del massaro, del piccolo “burgisi”; una vita che però si nutriva di echi di storie vere tramandate dai padri che via via diventavano sempre più lontane nel tempo fino ad apparire mitiche, di avvenimenti ora lieti e ora dolorosi, di momenti talvolta  tragici di rivolta, di episodi epici di difesa dai briganti, di soggezione spesso costante alla prepotenza mafiosa lungo tutta la permanenza del latifondo.

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