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domenica 17 febbraio 2013

Chiesa Cattolica. Il difficile percorso tra tradizione e modernità, Il caso di Albino Luciani

Centenario della nascita di Albino Luciani (17 ottobre 1912 –  28 settembre 19789 )
Appena pochi mesi fa, le edizioni San Paolo hanno pubblicato la prima completa autobiografia di Papa Giovanni Paolo I. L’autore è Marco Roncalli che ricostruisce la vita ed il pensiero di Papa Luciani a partire dai suoi scritti e dagli archivi, sia come seminarista, sacerdote e patriarca di Venezia.
Ne viene fuori una figura di uomo abbastanza legato alla modernità e per nulla fermo o dubbioso sul dover camminare sui sentieri che l’umanità intera percorre ai nostri giorni. Papa Luciani nel corso della sua vita di fronte alle sfide della modernità ha sempre voluto e saputo conciliare il rispetto delle tradizioni e l’apertura verso un confronto.
Nel 1969, quando era Vescovo di Vittorio Veneto dopo avere invocato una dottrina che dichiarasse lecito l’uso dei contraccettivi in determinate condizioni, nel suo libretto “Pensieri alla famiglia”, Albino Luciani esprime alcune caute concessioni alle coppie di fatto e si dichiara disposto ad una loro legalizzazione in quanto “male minore”.
La singolare posizione espressa alcuni mesi prima di essere nominato Patriarca di Venezia è testimoniata dalla risposta data a quanti gli chiedono il suo pensiero sul diritto di famiglia sotto il vaglio del legislatore di centro-sinistra. Luciani consapevole di esprimere una posizione più aperta di altri presuli afferma, premessa qualche precisazione, “Io sto per le riforme”.
Raccomanda di rimuovere dal diritto di famiglia gli istituti discriminatori e di riconoscere alla donna la pari dignità e potestà, peraltro voluti dalla Gaudium et Spes. Prendendo posizione sulle lacune che il disegno di legge sulla riforma di famiglia evidenzia e senza chiudere gli occhi sul divorzio, prospettato per taluni casi come unica soluzione,  Luciani si chiede: ma qualche soluzione, fuori dal divorzio, non si può proprio trovare ?
Vediamo cosa egli pensa sulle “unioni di fatto”, viste come “male minore”, come rimedio per evitare l’introduzione del divorzio, che  ritiene una ferita inflitta alla santità e stabilità della famiglia (come scrive Paolo VI ad Andreotti alla fine del 1969, alla luce dell’incombente modifica del diritto di famiglia). Luciani propone come alternativa al divorzio  le “unioni di fatto”, senza che queste ottenessero comunque una completa equiparazione al matrimonio, ma attribuendo loro un sufficiente riconoscimento sul piano legislativo.
Dall’esame del testo di riforma del diritto di famiglia egli ammette che il legislatore si propone di trovare una soluzione ai “casi dolorosi”, però dissente dalla soluzione ipotizzata, il divorzio, che a suo parere aggraverebbe i mali. Suggerisce di tutelare la famiglia legittima, attribuendole un posto d’onore, e poi di riconoscere qualche effetto civile alle unioni di fatto, come per esempio migliorando la posizione dei figli nati fuori del matrimonio e correggendo la ripartizione dei beni patrimoniali.
Gli viene subito obiettato dagli ambienti cattolici il “rischio” di incoraggiamento che si darebbe a nuove unioni di fatto. Ma egli intravede nella netta chiusura della Chiesa alle sue aperture  la via che obbliga il legislatore a scegliere il divorzio.
Luciani –nella- sostanza cercava una soluzione accettabile dal punto di vista dottrinale e insieme realmente praticabile per le molte situazioni inrisolvibili. La legalizzazione delle unioni di fatto gli pareva assicurare alcune garanzie ai contraenti  lasciando aperta la via delle separazioni e al contempo senza mettere in discussione il concetto di indissolubilità del matrimonio, che per lui era ciò che più di tutto contava.
In questa complessa tematica è facile cogliere la sensibilità spiccata di Albino Luciani, proteso a voler trovare soluzioni ai tanti problemi dell’odierna società senza tuttavia voler mettere in discussione le fondamenta della visione tradizionali della Chiesa.
Il dato emergente è la costante e consapevole volontà di ricerca di quella che si potrebbe definire una sorta di virtuosa e paziente mediazione tra la soda dottrina tradizionale e le nuove esigenze poste dalla realtà socio-ecclesiale di quegli anni.
Prudenza, equilibrio, moderazione, in buona sostanza.

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