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sabato 26 gennaio 2013

Giorno della Memoria: Nessuno ricorda i soldati italiani deportati in Germania e trattati da "modernin schiavi"

Domani,  27 gennaio,  in tutta Italia si svolgono incontri, e manifestazioni  in ricordo delle vittime del Nazifascismo e delle persone che hanno lottato, anche a costo della vita, contro le barbarie dello sterminio.
A volere questa ricorrenza è stata la legge 20 luglio 2000, istitutiva della “giornata della memoria”:
“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.”

A subire la deportazione, la prigionia e la morte in Germania nel corso della seconda guerra mondiale non sono stati solamente gli ebrei, che hanno pagato comunque il prezzo più alto alla furia nazista, ma anche centinaia di migliaia di soldati italiani fatti prigionieri nei giorni successivi all’8 settembre 1943, trasportati in carri bestiame in territorio tedesco e trasformati -nei campi di concentramento- in schiavi costretti a lavorare nelle industrie e nei posti di lavoro per far funzionare la macchina da guerra del terzo Raich.
A Contessa sono  ancora in vita alcuni delle decine e decine di concittadini che sono stati deportati nei campi di concentramento tedeschi in quanto militari dell’esercito italiano e che hanno opposto rifiutato alla proposta di  arruolamento nell’esercito di Salò. Nitida è ancora oggi la loro memoria sulle spaventose condizioni sopportate.

La Storia degli Internati Militari Italiani è una vicenda largamente affossata nel corso degli anni del dopo-guerra. E’ una storia dolorosa , piena di ferite fisiche e morali, che è stata subita da 600.000 italiani.

Chi scrive queste righe rievocative, fin da bambino, sulle ginocchia del padre ha potuto conoscere la storia personale di uno di questi internati, il proprio padre, appunto. Quella storia rischia di finire in oblio all’interno di tutta la vicenda più articolata della seconda guerra mondiale.

E’ opportuno ricordare che esistono pesanti e precise responsabilità storiche e morali a fondamento della condizione  in cui si trovarono i soldati italiani dopo la dichiarazione di armistizio del settembre 1943. Senza voler togliere nulla alle responsabilità della Germania Nazista, che trattò i soldati italiani alla stregua di moderni schiavi, dobbiamo tenere sempre presente che in quell’8 settembre il Re savoiardo ed il maresciallo Badoglio –dopo aver lanciato messaggi equivoci ai comandi militari italiani- fuggirono al sicuro e abbandonarono al proprio destino 800.000 soldati italiani, che non ebbero nemmeno il tempo per organizzare una difesa ed in numero di 600.000 caddero nelle successive ventiquattro ore prigionieri delle truppe tedesche. L’esercito italiano si dissolse come neve al sole.

Hitler decise che i soldati italiani finissero nei lager tedeschi con la qualifica di “traditori” e destinati a subire la violenza, il lavoro duro e la privazione. Non furono nemmeno contemplati come prigionieri di guerra e pertanto esclusi da ogni tutela della Convenzione sui diritti dell’uomo.

50.000 soldati internati persero la vita nei lager tedeschi per gli stenti e la fame e fra essi alcuni contessioti.

Domani rievocheremo i 6 milioni di ebrei che non sono mai tornati dai campi di sterminio nazista; oggi abbiamo ritenuto doveroso dedicare un pensiero ai 600 mila militari italiani internati per l’inettitudine della classe politica del tempo, un re ed un primo ministro, che pur di mettersi al sicuro personalmente ha lasciato senza disposizioni 800.000 uomini del fu Esercito Italiano.

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